Il Natale di tiu Marengo [di Nicolò Migheli]

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L’Unione Sarda 22 dicembre del 2012. Brou Sias Pietro era un nome segreto ben custodito nei registri del parroco. Il suo proprietario non lo ricordava più. Per tutti era tiu Marengo. Quel nomignolo rilucente gli venne dato quando dalla tasca di don Filutrau cadde una moneta d’oro sonante. Quel nobile sordo manco se n’era accorto. Tiu Marengo la raccolse e andò fino al palazzo nobiliare per renderla a quel vecchio taccagno.

Don Filutrau gli diede come premio mesu petza, una infima moneta di rame. «Se voglio rubare, rubo! Non in faccia al paese però!» Così tiu Marengo rispondeva, con voce tonante, a tutti quelli che in Uràssala continuavano a canzonarlo per quella moneta resa, anche se era un fatto avvenuto nella notte dei tempi. Era nell’inverno dei suoi anni. Più di ottanta, quasi novanta. Non lo ricordava con precisione. A chi glielo chiedeva rispondeva sorridendo «Quando sono nato io gli anni non li avevano ancora inventati!» Non gli pesavano, si sentiva ancora in forze.

Tutto quel tempo trascorso a fare il servo pastore in altopiani sferzati dalla tramontana e da piogge incessanti gli si era calcificato nelle ossa; in certi giorni, quando il clima cambiava, era tutto un dolore. Non si lamentava, la vecchiaia vuole il suo prezzo e lui era contento di pagarlo. Lui c’era, mentre gran parte dei suoi coetanei era diventata terra per cipressi nel camposanto di Pala Trubìu. Natale 1847, il paese in festa per la fusione della Sardegna con gli stati di terraferma savoiardi.

A tiu Marengo di questo non importava nulla. La sua unica compromissione politica era avvenuta nell’altro secolo, quando Uràssala si era rivoltata contro i feudatari. «Ho fatto la rivoluzione, e poi i ricchi che erano con me e quelli che mi volevano morto, si sono chiusi le tanche; e noi miseri come prima, anzi peggio.» Tutta la sua vita in dignitosa povertà. Fame no, però carne solo quando gliela regalava il padrone, anche se da ragazzo qualche pecora se l’era rubata. Così dicevano le male lingue. Lui in verità non era neanche mai riuscito ad allevarsi un maiale per le provviste, altro che rubare le cose altrui. Anche il lardo glielo regalavano.

Tutti gli anni per dicembre, quando veniva macellato su mannale, c’era sempre chi si ricordava di lui. Gli mandavano un piatto avvolto in un tovagliolo, contenente un pezzo di carne e un trancio di sanguinaccio. Su senzu, il segno dell’amicizia e lui ricambiava con quel poco che aveva: castagne, noci. Se vuoi che l’amicizia si tenga, un piatto che vada e uno che venga. Adesso che era diventato vecchio tutto questo lo mortificava. Quell’anno però era riuscito a procurarsi un maialino macilento. Si era tolto cibo di bocca per darlo a quella bestiola.

Lo ingrassava nello scantinato di casa, solo una stanza con un soppalco. Giù il maiale e lui su, dove aveva un focolare senza camino, un pagliericcio, un tavolo e quattro sedie. In una cassapanca tarlata tutto il suo corredo, un abito liso e coperte di stracci. Le stoviglie appese alle pareti o poggiate sul pavimento di legno. «Lo sai che dovrò ucciderti?» Chiedeva, quasi scusandosi, al maiale che carezzava; questo grugniva soddisfatto, sentiva che quel vecchio non gli faceva mancare nulla, tanto gli bastava. Il giorno fatidico l’animale venne macellato.

Per la prima volta anche tiu Marengo aveva qualcosa da regalare che non fossero castagne e noci. Preparò i suoi piatti e un ragazzino fece le consegne: «Questo ve lo manda tiu Marengo!» Tutti ringraziavano, gli regalavano altra carne, dolci, culurzones, casizolu, vino ed olio. Il vecchio era felice, come può esserlo chi vede un sogno che diventa realtà. Il Natale dell’abbondanza, non gli mancava nulla. Quell’anno lo invitarono anche ad un cenone dopo la Messa del Gallo, ma lui disse di no, che era troppo vecchio, no, sarebbe rimasto a casa a godersi quella notte. Che notte. Nevicò tanto che il paese venne avvolto da un silenzio irreale che rendeva sordo il mondo.

Tiu Marengo accese un bel fuoco, ci mise ad arrostire in uno spiedo di legno un trataliu che gli avevano donato, mentre il fumo asciugava il lardo e i salumi appesi. Cenò con gusto, si concesse anche qualche bicchiere in più. Andò a dormire in pace con sé e con gli altri. La mattina di Natale Uràssala era coperta di neve che a mala pena si camminava. Tiu Marengo si recò alla messa cantata. Fuori dalla chiesa furono per lui complimenti e auguri.

Altri anni come questo tiu Marengo! A tarda mattina riprese a nevicare. Il vecchio aggiunse legna al fuoco, poi aprì la piccola finestra che dava sulla strada, mostrando il suo viso barbuto in una aureola di sbuffi di fumo; guardò il cielo livido  con in mano un pezzo di lardo e borbottò compassionevole: «S’iscuru a chie no tenet porcu ocanno…» Povero chi non ha maiale quest’anno. I vicini sorridendo: «Tiu Marengo, ocanno bo la gosades!».

Quest’anno ve la godete! Fu l’ultimo Natale per Brou Sias Pietro. Lo trovarono qualche giorno dopo rigido sul suo giaciglio. Se n’era andato. Troppi anni e troppo lardo.

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