Donne, madri, lavoro precario e globalizzazione. Storia di Francesca [di M. Tiziana Putzolu]

Members of a 'gulabi gang' (pink gang), a women's vigilante group, as they meet for a protest in Allahabad, India, Monday, July 6, 2009. The group is so named after their pink dresses that they wear and was formed in Uttar Pradesh State's Banda district. They brandish sticks and fight for social issues and one of their demands is to ban the sale of liquor in the villages. (AP Photo / Rajesh Kumar Singh)

Mi chiamo Francesca e ho trentadue anni.  Qualche anno fa ho trovato lavoro in una piccola azienda che fornisce servizi di logistica per una grande società famosa nel mondo che produce e commercializza arredi ed accessori per la casa a basso costo.

Ero molto felice, direi anche al settimo cielo. Ero stata assunta da un’agenzia di lavoro interinale che somministrava il mio lavoro all’azienda di logistica… trasporti in pratica… naturalmente a tempo determinato. Lavoravo molte ore al giorno, ed in alcuni periodi, come sotto le feste natalizie, i ritmi erano incessanti. Ero molto apprezzata per il mio lavoro.

Mi consideravano seria ed affidabile oltre che competente. Le mie valutazioni erano sempre al massimo. Mi avevano promesso che, alla fine del rapporto di lavoro con l’agenzia interinale sarei stata assunta direttamente dall’azienda utilizzatrice, cioè quella che fornisce i servizi di logistica per la grande società di prodotti ed arredi per la casa.

Ho i gomiti appoggiati al tavolo e lei è seduta di fronte a me. La guardo con maggiore intensità. Minuta. Senza trucco, capelli mossi, occhiali, jeans e maglietta. Attendo che prosegua.

Poi, quindici giorni prima della fine del rapporto di lavoro a tempo determinato con l’agenzia interinale, una mattina ho ricevuto la chiamata dall’ospedale che mi seguiva per la fecondazione assistita. Avrei dovuto sottopormi all’intervento dopo qualche giorno. E così è stato. Sono rientrata al lavoro appena ho potuto. Solo qualche giornata di degenza.

Sono tornata al lavoro immediatamente ed il contratto stava per scadere. Mi è stato comunicato subito che l’azienda utilizzatrice non aveva più bisogno di me. Come! ho quasi protestato, mi avevate detto…garantito…. No guardi, mi hanno risposto, purtroppo hanno cambiato idea…sa com’è….Ma, ho replicato, il lavoro c’è, è sempre di più, come è possibile, perché tutto questo! Non è possibile.Sono stati irremovibili. Non è giusto.

Continui.

Mi sono informata attraverso un collega amico. Mi hanno già sostituito con un dipendente che hanno fatto venire da fuori. Per oltre un mese. Poi, guardi qua, ho trovato questo annuncio nella bacheca on line di un’altra agenzia di lavoro interinale. Ecco, questo è il mio posto di lavoro, cercano una figura che faccia esattamente quello che facevo io. Si rende conto? Ma si sono affidati ad un’altra agenzia interinale…cosa posso fare? Ma non possono fare questo…

Sono perplessa, il caso è molto difficile. Non voglio darle illusioni. Le chiedo, come sta? quasi a deviare il discorso. La gravidanza? Mi risponde che dopo la fecondazione assistita era in attesa di due gemelli, ma che da circa dieci giorni uno dei due feti non ce l’aveva fatta. Era rimasto il secondo. Il viso si rabbuia. Poi si rianima. E mi incalza.

Cosa può fare per me?

Nulla ragazza mia, quasi nulla. Ci sentiamo, apriamo il fascicolo… vediamo, stiamo in contatto.

Va via, non so se delusa o con qualche timida speranza.

Entro nel sito della grande società internazionale che sta alla fine di questa catena di Sant’Antonio del lavoro precario. Non sono interessata a nessuno sgabello che si monta con una semplice brugola e che costa solo 10 euro. Neppure alle tende, mobiletti, vasetti, vasettini e cianfrusaglie varie ed inutili che riempiono le nostre sempre più piccole case.

In un video di qualche minuto la manager spagnola di quest’azienda presenta la sua, di famiglia. Casa con giardino e cani. Tre figli, un marito che l’aiuta moltissimo, che crede in lei, nelle sue grandi doti di manager. È anche molto bella. Sorride. Per lei il tema della conciliazione vita lavoro è una cosa risolta. Tutto è in linea con un’azienda che sulla famiglia ha costruito i suoi slogan.

Che dire? Non è l’unico caso. Prima che un’azienda italiana scoprisse quanto rendeva la pubblicità di un noto attore ed una gallina dentro un mulino, c’era una famiglia dolcissima che ogni mattina faceva colazione intorno ad un tavolo in un altro mulino. Esattamente come i diversi milioni di famiglie al mondo, del resto. Potenza della pubblicità.

Mentre percorro Viale Marconi verso il mio lavoro, cartelloni pubblicitari mi indicano la direzione dello store di quella famosa multinazionale. Mamme papà e figli giocano lanciandosi i cuscini sul lettone. Vedo la grande insegna gialla. Mi sembra meno luminosa, anzi addirittura opaca. Diverse auto parcheggiate al di fuori. Non posso non pensare che a Francesca.

Vorrei fermarmi, mettermi all’ingresso e dire a tutti non comprate nulla, perché dietro ad un armadietto a basso costo o ad una lampada consegnata a casa comprata on line c’è un esercito silenzioso di lavoratori e lavoratrici precari, falangi di un esercito invisibile che a livello mondiale soddisfa quella ‘necessità’ del consumo che sarebbe alla base della ‘crescita’.

Credo che non comprerò mai nessun oggetto là dentro, né on line. Sarà il mio modo personale di fare qualcosa per Francesca. E di combattere una battaglia assolutamente inutile.

Mi ha scritto una mail qualche giorno fa. Mi ha chiesto se avevamo esaminato il suo caso, se vi fossero delle novità. La chiamo. No, le rispondo, no. Lei come sta? Ho perso il bambino, mi dice. Ora non ho più né il lavoro né un figlio.

One Comment

  1. Antonello Farris

    Grazie Tiziana. Troppo spesso ci dimentichiamo che di questi tempi il mondo va così. E in questi anni l’Italia, quanto a diritti negati, non si è tirata indietro anzi è più avanti delle altre nazioni europee(!) Le grandi catene alimentari francesi e tedesche la domenica restano chiuse per permettere ai propri dipendenti di godere della festa e qui da noi, quelle stesse aziende, impongono l’apertura domenicale: ”Tanto in Italia si può fare tutto e nessuno ti dice niente”, loro sostengono. E hanno ragione. Anch’io, nel mio piccolo, evito di acquistare libri su Amazon per un duplice motivo: per il cattivo trattamento dei propri dipendenti e perché davanti alle tante librerie delle nostre città che languono e che rischiano di chiudere preferisco aiutare queste ultime. A quando un risveglio della coscienza sindacale? Se non si lotta non si otterrà nulla.

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