La corsa solitaria del Polo dell’Autodeterminatzione: un progetto nuovo che nasce con un metodo vecchio [di Vito Biolchini]

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Prendiamola alla lontana: di chi sono le idee? Di tutti, ovviamente. Soprattutto quelle politiche, che vengono interpretate e incarnate da gruppi di persone riunite in movimenti o partiti. Questi spesso se ne appropriano e allora sono guai: avete visto cos’è successo alla sinistra italiana per aver confuso i propri valori con la propria inamovibile e stantia classe dirigente?

I gruppi che si assumono l’onere di interpretare una idea politica hanno dunque una enorme responsabilità, anche davanti a coloro che non li votano, perché la democrazia è un ecosistema dove tutti condizionano tutti.  Anche per questo la democrazia italiana è in crisi: perché piccoli gruppi hanno preso in ostaggio le idee, bloccando il confronto tra partiti e società, sclerotizzandolo.

Ora, posto che, con tutti i loro limiti, le autocandidature del Movimento Cinquestelle sono l’unico tentativo di ricreare questo rapporto virtuoso tra società e politica, è evidente che senza un rapporto anche dialettico con la società, i gruppi che gestiscono i partiti o gli schieramenti sono necessariamente condannati a rappresentare se stessi.

Finite le inutili premesse, oggi in Sardegna si celebra la nascita di un nuovo progetto politico, il Progetto Autodeterminatzione, che poi in realtà nuovo non è, così come nuovi non sono gran parte degli interpreti che lo incarnano.

E di sicuro non è nuovo il metodo utilizzato per mettere assieme il gruppo delle otto sigle fondatrici: sette micropartiti e un neonato movimento sorto evidentemente a bocca di elezioni. E le associazioni, i comitati, i gruppi che in questi anni hanno portato avanti concretamente l’idea di autodeterminazione, combattendo nel territorio innumerevoli tentativi di speculazione di ogni tipo, dove sono? Perché non sono stati coinvolti nel processo fondativo di questo nuovo soggetto? Oppure si pretende che gruppi e associazioni si aggreghino a giochi ormai fatti, senza aver potuto determinare in alcun modo qualunque scelta?

Ancora una volta le porte non sono state aperte alle forze vive della società sarda ma tutto è stato deciso nel chiuso di riunioni riservate, secondo un metodo mutuato dagli odiatissimi “partiti italiani”: io decido e tu puoi solo obbedire o farti da parte (possibilmente in silenzio).

Intanto i segni della politica autoreferenziale già si notano: dichiarazioni contraddittorie (“no ai partiti italiani ma sì ad una alleanza con il Movimento Cinquestelle”), atteggiamenti spacconeschi, una certa aggressività verbale unita ad un leaderismo non sempre equilibrato (perché il progetto che vince non certo i solisti, ma evidentemente neanche le recenti batoste elettorali hanno insegnato nulla), un più generale gioco ad escludere e non a coinvolgere, per tacere poi delle spericolate trattative con altre formazioni politiche.

Perfino l’azzardo di presentarsi alle elezioni politiche del 4 marzo è stato sottratto al confronto, così come invece era sembrato inizialmente. No, già tutto deciso prima, dai capi. Una corsa a perdifiato che rischia di pregiudicare anche le future sfide elettorali, per un progetto che rischia di essere preso in ostaggio e non condiviso con le forze vive della società sarda.

Ci sarà modo per tornare sull’argomento, ma un progetto del genere è credibile solo se porta alla nascita in tempi rapidissimi di un nuovo soggetto politico e non che si limiti a proporre solo una semplice aggregazione elettorale tra micropartiti, alcuni dei quali già evidentemente abbandonati al loro destino dall’elettorato.

Comunque, la sfida è lanciata. E per fortuna che poi con i numeri non si scherza: alle elezioni mancano 49 giorni, sotto il cinque per cento disastro, tra il cinque e il dieci buon risultato, oltre il dieci trionfo. Staremo a vedere.

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