La questione catalana è centrale per la democrazia europea [di Nicolò Migheli]
Dopo le elezioni del 21 di dicembre la Catalogna è scomparsa dai giornali italiani. Ne hanno continuato a parlare le riviste specializzate, siti e blog, ma il grande pubblico dei lettori non ha avuto più informazioni. È la stampa bellezza, si potrebbe dire. I quotidiani inseguono l’emergenza del giorno e altro non trova spazio. Eppure la vicenda catalana è paradigmatica dello stato della democrazia europea, della volontà dei cittadini dell’Unione, della separazione dei poteri e dell’indipendenza della magistratura. Dopodomani comincia un fine mese cruciale per quella regione spagnola. Non è più in gioco l’indipendenza che ci sarà quando sarà, ma la democrazia e la sopravvivenza dell’istituzione autonomistica della Generalitat che vanta secoli di storia. Il giornale La Nuova Sardegna il 15 gennaio ha pubblicato questo articolo con il titolo “In Catalogna possiamo perdere anche l’Europa”; articolo che fa il punto della situazione e vorrebbe, anche qui, riaprire il dibattito. Mercoledì 17 è convocato il Parlament catalano con gli eletti del 21 dicembre. Si dovrà eleggere il presidente dell’assemblea e i componenti della Mesa, l’organo di governo del parlamento. Entro il 31 di gennaio dovrà essere nominato il presidente della Generalitat. Le elezioni volute dal governo spagnolo dopo la dichiarazione unilaterale di indipendenza non hanno modificato il quadro politico, la maggioranza dei deputati appartengono all’area indipendentista: 70 su 135. Per al prima volta nell’Europa democratica ci sarà la convocazione di un parlamento con 8 eletti in galera o nell’esilio. I due partiti maggioritari dell’area indipendentista si sono accordati per rieleggere presidente della Generalitat Carles Puigdemont, attualmente esule in Belgio. Elezione che avverrà in maniera telematica, visto che il presidente deposto verrebbe arrestato se dovesse rientrare in Spagna. Il vicepresidente uscente Oriol Junqueras, anche lui rieletto, non ha ottenuto dal Tribunale Supremo la scarcerazione perché secondo la motivazione del magistrato potrebbe reiterare il delitto. Il ministro dell’interno spagnolo ha già dichiarato che una elezione in assenza del candidato presente, non verrà considerata valida, nonostante il regolamento parlamentare pare non la richieda. Con 62 seggi gli indipendentisti avrebbero solo la maggioranza relativa. Numeri che mancano anche all’opposizione per poter governare. Le prospettive di soluzione della crisi restano incerte e l’ipotesi di una ulteriore applicazione dell’articolo 155 della Costituzione e l’indizione di nuovi comizi è molto probabile. Madrid non ha voluto rispondere con il dialogo ma con lo scontro. I rapporti tra catalani e potere madrileno hanno avuto nella storia alti e bassi. Il desiderio di indipendenza dei primi data dal 1714. Da quando i Borbone, conquistando Barcellona schierata con gli Asburgo nella guerra di successione spagnola, abolirono l’autonomia della Corona di Aragona. Tra Ottocento e Novecento ci furono tre proclamazioni della repubblica dentro un repubblica federale spagnola. Oggi è condizione differente, una parte consistente del popolo catalano, sogna di lasciare per sempre la Spagna e la monarchia. Lo scontro è anche tra forme istituzionali, non solo territoriale. Come si è potuti giungere a questo punto? Si sarebbe in questa condizione se il Partido Popular di Rajoy non avesse impugnato nella Corte Costituzionale uno statuto già ratificato dai parlamenti spagnolo e catalano e da un referendum? Forse no, perché gli indipendentisti fino al 2010 erano una minoranza. I fatti sono andati talmente avanti che neanche una riforma federale potrebbe essere la soluzione. La Ue si è schierata con la Spagna: è un loro fatto interno, hanno detto. Eppure la Catalogna interroga la democrazia europea, è bisogno di politica e l’unica risposta sono stati gli arresti ordinati da tribunali in sospetto di essere collusi con il potere politico. Si può essere d’accordo o no su quella voglia di indipendenza, ma le aspirazioni delle nazioni senza stato sarebbero opzione plausibile se non ci fosse la Ue? Se non esistesse uno spazio di libera circolazione di capitali e persone? I Padri Fondatori sognavano un rapporto tra eguali tra i territori d’Europa mentre gli stati tradizionali agiscono perché non si realizzi una Europa compiuta. Lo strappo catalano è il termometro che segna la febbre della democrazia. L’uso di parte della legalità, buona per tenere in carcerazione preventiva gli indipendentisti ma lenta nel perseguire la corruzione del PP, come sottolinea il richiamo alla magistratura spagnola da parte del Consiglio d’Europa. Il bisogno di democrazia, il sogno delle nazioni senza stato, non scomparirà con la eventuale sconfitta catalana. È necessità di questo tempo. Solo una Europa vicina ai cittadini potrà essere la soluzione. “Meritiamo di perdere la Catalogna” scrisse nel 1907 il filosofo e politico Miguel de Unamuno dopo l’ennesima protervia madrilena. Adesso si rischia di perdere anche l’Europa.
|