Referendum per l’insularità in Costituzione, Delibera di inammissibilità dell’Ufficio Regionale e Condizioni per ricorrere [di Paolo Numerico]
Pubblichiamo il contributo che Paolo Numerico, già Presidente del TAR Sardegna e di una Sezione del Consiglio di Stato, ha voluto generosamente mettere a disposizione del Comitato per il Referendum del principio di insularità in Costituzione. Lo ringraziamo e invitiamo chi legge ad approfondire il tema, a diffonderlo, a farlo proprio. Partecipiamo compattamente ad una battaglia contro ogni forma di discriminazione verso la Sardegna e quindi verso chiunque abbia la fortuna di viverci (mam). L’Ufficio regionale sardo per il referendum, con delibera 26 gennaio 2018 n. 1, ha dichiarato inammissibile la richiesta referendaria di 92mila cittadini sardi (oltre il 6 per cento della popolazione) e da più di duecento comuni dell’Isola, con la quale richiesta si formulava il seguente quesito: “Volete voi che la Regione autonoma della Sardegna intraprenda le iniziative istituzionali necessarie a richiedere allo Stato il riconoscimento del grave e permanente svantaggio naturale derivante dall’insularità mediante l’inserimento del detto principio nella Costituzione in coerenza con l’art. 174, terzo comma, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea?”. Va premesso che consta ufficiosamente l’esistenza di almeno un’opinione dissenziente, emergente dal verbale che fonda la presa della deliberazione, per cui sarebbe bene acquisire detto verbale con una celere richiesta di accesso, eventualmente da formulare anche durante il giudizio contro la stessa deliberazione. Sempre come premessa, le condizioni per ricorrere ci sono, come si vedrà appresso. Trattandosi di lesioni a diritti politici la via da percorrere sembra essere quella del Giudice ordinario, come è avvenuto in un caso precedente su altro referendum sardo, in cui fu appunto scelto il giudice dei diritti. A scanso di equivoci si può pensare ad un raddoppio dell’azione al TAR, sapendo però che si tratta di una forma di tutela tuzioristica. Nel merito, il primo motivo di inammissibilità, per giunta quello che, davvero stranamente, viene ritenuto fondamentale a sostegno dell’inammissibilità e su cui l’Ufficio si dilunga, consiste in una difformità del quesito rispetto alla formalità ed all’oggetto in tesi giudicati come prescritti. Si dà atto, nella deliberazione, che il quesito “si aggancia” all’art. 1 lettera f) della legge sarda sui referendum (L. reg. 17 maggio 1957 n. 20, nel testo novellato con L. reg. 15 luglio 1986 n. 48), laddove all’istituto si affida la finalità, fra le altre, di “esprimere parere su questioni di particolare interesse sia regionale che locale”. E si sostiene:
Ad a). Non è vero che nella legge si richiedono questioni controverse, ma soltanto questioni di particolare interesse regionale. E non è chi non veda come, se, per esempio, il gas di casa si paga sul continente 0,53 cent. di euro e sull’isola 1,98 euro, tale situazione e tante altre simili, discendenti appunto dall’insularità, raggiungono il livello di questioni di particolare interesse per un isolano, come è costretto ad essere il sardo. Non si può far dire alla legge regionale ciò che essa non richiede, cioè che il parere può essere domandato solo se c’è un dilemma e ci siano diverse soluzioni fra cui scegliere, a parte che qualche masochista che voglia pagare il gas circa quattro volte in più del resto del Paese lo si trova sempre. E’ la questione, ossia il problema da risolvere, in definitiva, a dover interessare i sardi. Ad b). E’ vero che il parere è un’opinione, ma l’opinione è espressa perché poi da questa opinione si tragga un indirizzo, cioè si segua il contenuto del parere. Sembra veramente assurdo puntare su questo aspetto formalistico, che non supporta la tesi che se ne vuole trarre: cioè che siccome non c’è la parola parere si è fuori dalla tipicità, questa, sì, effettivamente prescritta, delle richieste al referendum. Ovviamente il referendum resta sempre consultivo, pur se, appunto, non si usa il termine parere. Non si comprende come la maggioranza dell’Ufficio – formata in ogni caso, la maggioranza, da magistrati che dovrebbero indicare ciò che è “diritto” – si sia lasciata orientare da ciò che è “storto” o quanto meno da un argomento da “azzeccagarbugli” (una sorta di “fiat iustitia et pereat mundus”, laddove dovrebbe seguirsi Hegel, che mutò il detto in “fiat iustitia ne pereat mundus”, vale a dire: si faccia giustizia affinché il mondo non perisca). Come secondo argomento, “ad abundantiam”, della supposta inammissibilità si cita la c.d. riserva statutaria, che invece è argomento più serio. Si dice:
c.bis e d bis) si citano a sostegno – ma si dirà: a sproposito -, alcune sentenze della Corte Costituzionale che avrebbero avallato la tesi per cui i referendum regionali non potrebbero coinvolgere scelte costituzionali, riconoscendosi, per altro, che la sentenza evocata aveva aperto al referendum del Veneto, ma perché legittimata dalla possibilità di differenziazioni della autonomie regionali consentite dall’art. 116 comma 3 Cost.. Dunque, oltre ad eccedere forma e funzioni dei referendum sardi – e si è visto sopra che così non è assolutamente -, il quesito vorrebbe modificare la Carta, anziché lo Statuto eccedendo i limiti previsti all’autonomia.La risposta all’argomentazione, da valutare come un tutto unico, nonostante l’apparente suggestività, è semplice, pur dovendo essere articolata. Innanzi tutto le sentenze costituzionali citate ed in particolare la 118 del 2015 impediscono ai referendum regionali di predisporre “sovvertimenti istituzionali radicalmente incompatibili con i fondamentali principi ci unità ed indivisibilità della Repubblica di cui all’art. 5 Cost.”. Ovviamente ciò non è per il principio di insularità e dunque il precedente è stato richiamato con una qualche ambiguità, che non ci si attenderebbe da un collegio di tipo paragiudicante. Tanto è vero che la deliberazione è costretta ad ammettere che nel caso la Corte diede varco al referendum del Veneto per ottenere autonomie più marcate. Un’altra notazione può essere tratta dall’art. 10 della l. cost. n. 3 del 2001, anch’essa, si badi, dello stesso livello della Costituzione e degli Statuti speciali. La norma prevede che sino all’adeguamento degli stessi statuti le disposizioni della legge di modifica del titolo V della Costituzione “si applicano anche alle Regioni a statuto speciale…. per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle attribuite”. Tutto questo significa che anche le Regioni speciali possono aspirare al meccanismo dell’art. 116 comma 3°, indipendentemente dalla loro specialità riconosciuta nel 1° comma dello stesso articolo. E se per ottenere questo scopo il meccanismo è quello di introdurre in Costituzione (ma perché questo non potrebbe poi rifluire nei singoli Statuti speciali “interessati”?) il principio di insularità, la circostanza non intacca la riserva di statuto, vigendo il predetto art. 10 L. cost. n. 3 del 2001. La norma appena citata è una chiave di volta per consentire, purché a favore delle Regioni speciali, modifiche che formalmente non sarebbero altrimenti possibili, pure oltre lo e fuori dello Statuto. Quanto alla preoccupazione che poi anche altre Regioni potrebbero ambire ad un trattamento uguale, basta ricordare il principio che si trae da una pur risalente, ma mai smentita sentenza della Corte costituzionale, la 829 del 1988, al seguito di una autorevole dottrina (Martinez-Ruggeri, nel testo sul diritto regionale del 1987), secondo cui l’interesse regionale non coincide con le competenze assegnate alla Regione (cfr. anche nota sul Foro italiano 1989 colonna 927). Insomma il principio di insularità non confligge certamente con l’art. 5 Cost. (lo si dice a chiusura anche se la delibera da impugnare sembra rivolgersi solo implicitamente a questo tema), non urta, vale a dire, con l’indivisibilità ed unità della Repubblica. La stessa sentenza n. 118 del 2015 riconosce che “l’ordinamento repubblicano è fondato, altresì, su principi che includono il pluralismo sociale e istituzionale e l’autonomia territoriale, oltre che l’apertura all’integrazione sopranazionale”. E proprio ai principi di pluralismo e di riconoscimento della condizione di debolezza delle regioni –isole, presente, questo, nel trattato europeo, risponde il referendum sardo illegittimamente avversato. *Magistrato amministrativo a riposo
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