Franceschini e la politica [di Tomaso Montanari]
la Repubblica, blog Articolo 9, 14 febbraio 2018. Per la seconda volta in poco tempo (la prima qualche giorno fa a Otto e mezzo, la seconda oggi a L’Aria che tira), il ministro uscente per i Beni Culturali Dario Franceschini risponde alle mie obiezioni in materia di governo del patrimonio culturale dicendo che non parlo da storico dell’arte, ma da politico. Ebbene, vorrei rispondergli una volta per tutte: e vorrei farlo perché quella sua affermazione (che è, di fatto, una piccola furbizia mediatica) è capace di rivelare molto circa la concezione della politica che è propria non solo di Franceschini, ma di una larga parte del nostro ceto politico. C’è innanzitutto un ammiccamento all’antipolitica, un inchino al populismo. Franceschini dice ai cittadini: “badate che Montanari non parla come tecnico autorevole, o come cittadino indignato, ma come politico. E dunque non dice la verità, ma fa propaganda”. L’opposizione popolo-politica è il cardine stesso di ogni populismo. Così come la presunzione che il politico sia mendace per natura, e, più in generale, il disprezzo per la politica. A me non verrebbe mai in mente di dire: “guardate che Franceschini è un politico”. Perché ho un’enorme considerazione per la vera politica, e semmai penso proprio il contrario: e cioè che il nostro ministro abbia un’idea assai modesta della politica. Troppo modesta. Se Franceschini invece ricorre a questo “argomento” è proprio – questo è il paradosso –a causa della sua consumata abilità di professionista della politica come la intende lui. Di politico abilissimo a galleggiare in ogni stagione: un vero e proprio”autoreggente”della politica, come lo definisce Alessandro Gilioli in questo immortale ritratto pubblicato sull’Espresso. Una carriera inaffondabile: Franceschini è in politica dal 1980, quando era già consigliere comunale. Grazie a questa carriera Franceschini ha imparato ad annusare l’aria: e ora sa bene che lui (purissimo politicante da una vita) deve cavalcare l’antipolitica e mescolare le carte. Fino ad arrivare a suggerire che la politica è una cosa sporca, intessuta di menzogne: e che dunque chi parla da ‘politico’ non merita una risposta nel merito. Ma perché Franceschini mi definisce politico? Forse perché, con molti altri colleghi storici dell’arte, archeologi, archivisti, bibliotecari abbiamo organizzato un cartello di associazioni che si chiama Emergenza Cultura, e che cerca di difendere le ragioni dell’articolo della Costituzione che dà il nome a questo blog. O forse ancora perché sono il presidente di Libertà e Giustizia, una associazione di cultura politica, che non dà indicazioni di voto e che è guidata da un consiglio di presidenza composto da persone che nessuno definirebbe “politici” (Sandra Bonsanti, Salvatore Settis, Gustavo Zagrebelsky, Lorenza Carlassare, Nadia Urbinati, Roberta de Monticelli, Paul Ginsborg, Valentin Pazè, Elisabetta Rubini). O infine perché ho cercato (senza peraltro riuscirci) di costruire una sinistra nuova e radicale, nel cosiddetto percorso del Brancaccio. Un percorso in cui ho annunciato fin dall’inizio che non mi sarei candidato ad alcunché e che concepivo quell’impegno come una forma di cittadinanza attiva. Quello stesso modo di fare politica senza essere un politico per cui oggi ho presentato la proposta di reddito minimo di dignità della Rete dei Numeri Pari di Libera: e non so se Franceschini chiamerebbe “politico” anche don Ciotti, che sedeva al mio stesso tavolo. Insomma, se un cittadino prova a dedicare una parte della sua vita a invertire la rotta di questa sciagurata società; se prova a intendere la politica non come una cosa che serve a cambiare la sua stessa vita, ma quella di tutti; se prova a correggere i danni fatti dai professionisti della politica, come Franceschini: ecco che questi ultimi si difendono nel più incredibile dei modi: “sei un politico, e dunque non ti rispondiamo”. E così siamo oggi davanti al paradosso di un Franceschini che (vivendo di politica da quando io avevo nove anni, ed essendo oggi candidato al Parlamento) dice che io (che faccio un altro lavoro, e non sono candidato al Parlamento) lo attacco “da politico”. No, signor ministro: io la attacco da cittadino, da storico dell’arte, da intellettuale.E visto che da anni le pago, con le mie tasse, il suo lauto stipendio mi aspetto che risponda ai miei argomenti con altri argomenti. E non con quelli che vorrebbero essere insulti. |