L’Huff.it 5 /03/2018. “L’Europa dell’austerità e dei “cappi” di bilancio sta generando tutto questo. La Brexit doveva suonare anche per l’Italia come un campanello d’allarme: perché l’Europa dell’iper-rigorismo, dell’assenza più totale di politiche di sviluppo e di occupazione, è stata percepita come una minaccia soprattutto dai ceti più deboli, meno garantiti sul piano sociale.
In questa ottica, dire solo più Europa, senza premettere di essere contro l’Europa dell’austerità, ha finito per alimentare la protesta. Di Maio e Salvini devono ringraziare l’Europa rigorista”. A sostenerlo, in un’intervista concessa a HuffPost è Jean-Paul Fitoussi, professore emerito all’Institut d’Etudes Politiques di Parigi e alla Luiss di Roma, secondo cui bisogna tuttavia distinguere fra M5S e Lega, il primo “capace di catturare consensi in varie fasce sociali e anagrafiche”, la seconda “espressione di un populismo di destra”. Per questo Fitoussi non crede a un’alleanza M5S-Lega.
Come giudica il risultato elettorale in Italia? “Il voto è l’effetto e non la causa del terremoto politico italiano. Ne è l’effetto, perché l’Italia andava male anche prima di questo voto. Perché i governi che si sono succeduti nell’arco di un ventennio, siano essi politici o tecnici, non hanno risolto i problemi della gente. I problemi veri, quelli legati alle condizioni materiali di vita.
Si è, non so quanto consapevolmente, fatto finta che in Italia non esistesse una grande e irrisolta questione sociale. Mutatis mutandis, il centrosinistra italiano ha fatto lo stesso errore, devastante, dei democratici americani: sottovalutare gli effetti della crisi, non agire con la necessaria efficacia contro la finanziarizzazione dell’economia, incapaci di una critica non protezionistica, ma non per questo meno radicale alla globalizzazione. La disoccupazione è rimasta alta, soprattutto tra i giovani, i salari bassi, così come le pensioni, e nuove povertà si sono aggiunte a quelle vecchie”.
Non ha pagato una narrazione che ha puntato sul racconto di una Italia in crescita. “Non solo non ha pagato, ma ha contribuito ad alimentare la rabbia che si è innestata sul disagio sociale. Se c’è stata un po’ di crescita, questa ha finito per favorire una fascia ristretta della società. E ciò ha finito per accrescere la rabbia di quanti non hanno ricevuto alcun dividendo da questa mini-crescita.
Non si tratta di mettere in contrasto diritti civili e diritti sociali, ma quest’ultimi non possono essere considerati un retaggio del passato, perché a orientare le scelte restano in primo luogo le condizioni materiali per sé, i propri figli. Potrà sembrare poco poetico, ma è così. Ed è questo un discorso che vale per l’Italia, come per la Francia, la Gran Bretagna e, in prospettiva ravvicinata, anche per la Germania…”.
Considera quello che ha premiato il Movimento 5 Stelle e la Lega un voto anti-establishment? “Manca un aggettivo: incompetente. La gente bada al sodo. Un amministratore delegato di un’azienda pubblica può anche prendere stipendi d’oro, ma se si rivela un incapace è certo che la protesta è destinata a travolgere non solo lui, ma i governanti che lo hanno nominato. Vede, a volte, nei salotti dei benpensanti e acculturati, si pensa di poter spiegare fenomeni di massa usando e abusando di parole che finiscono per diventare vuote: l’anti-politica, il populismo…
E di grazia quale sarebbe la buona politica che contrasta l’anti? E qual è l’antitesi del populismo: l’esaltazione dei tecnici, una idea elitaria della democrazia? Il fatto è che il voto in Italia ha reso più evidente un fenomeno che è proprio di tutte, o quasi, democrazie occidentali ed europee: la crisi di una sinistra storica o di rassemblament nati senza una discontinuità col passato. La sinistra e il centrosinistra sono stati vissuti come forze di conservazione, e questo non paga neanche quando, è il caso della Francia o dei Paesi del Nord Europa, s’intende conservare alcune realizzazione del welfare”.
Quale ricaduta può avere il voto italiano in una ottica europea? “Io ribalterei lo schema. È questa Europa ad aver contribuito a determinare il voto italiano. L’amara verità è che oggi l’Europa manca su tutti i fronti. Manca sul fronte dell’occupazione, della lotta alla precarietà: manca sul fronte della lotta al terrorismo, manca sul piano militare. E l’elenco sarebbe interminabile. Il problema è che non può durare a lungo così. L’Europa non può dire: non ci sono i soldi. Questa giustificazione non regge più.
Puntare, anche attraverso l’intervento pubblico, su settori strategici è investire sul futuro, e lo è anche se questo significa, nel presente, allargare i vincoli di bilancio. Non farlo, significa condannarsi non solo alla marginalità nella competizione internazionale ma favorire le spinte sovraniste nazionali. Il paradosso, che genera ‘mostri’, è che questa mancanza viene però percepita come una presenza opprimente dai settori più deboli nei singoli Paesi dell’Unione, in questo caso è l’Italia. E’ una presenza-assenza che provoca ostracismo, che innesca insicurezza, e che finisce per premiare le forze meno accostate a questa Europa dell’austerità e dei cappi di bilancio”.
Molto si è discusso in passato e ancor più lo si farà dopo l’indiscutibile successo elettorale, sulla natura dei 5 Stelle. C’è chi sostiene che sono un movimento populista di destri e chi, al contrario, li pensa come qualcosa di più complesso e più orientato, almeno sul terreno sociale, a sinistra. “La forza dei 5 Stelle sta, a mio avviso, nella capacità dimostrata di mantenersi border line, sviluppando una sorta di ‘ermafroditismo’ politico, capace di catturare consensi in varie fasce sociali e anagrafiche.
Proprio per questo sarei stupito se Luigi Di Maio guardasse in direzione della Lega, essa sì espressione di un populismo di destra come lo è il Front National in Francia, per avere i numeri per governare. Un’elezione si può vincere, ma poi si deve poi dimostrare di essere più competenti dell’establishment di incompetenti che il voto ha terremotato…”.
È la prova del governo, dunque, che darà la vera cifra dei 5 Stelle? “Più che di governo, parlerei di cambiamento. Quest’ultimo sarà, a mio avviso, il vero banco di prova dei 5 Stelle. Quali saranno le scelte che, se dovessero essere chiamati alla guida dell’Italia, faranno sull’occupazione, le tasse, i diritti sociali e di cittadinanza, sul rapporto con l’Europa, sui migranti…Il cambiamento non è neutro, anche per i 5 Stelle”.
*Giornalista, esperto di Medio Oriente e Islam
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