La formazione è l’unico strumento che consente di maturare un’idea di futuro [di Antonietta Mazzette]

libri[1]--400x300

È giusto, tutto si deve tenere se si tratta di cultura e sviluppo delle “aree interne”. Anzi non ci potrà essere occupazione senza formazione, l’unico strumento che consente di acquisire competenze e professionalità e, soprattutto, consente di maturare un’idea di futuro che vada al di là di espressioni, chiamasi distretti o altro, dietro le quali troppo spesso si nasconde il nulla programmatico e una montagna di denaro pubblico che viene sperperato in mille rivoli. E non ci potrà essere speranza per tutte quelle aree in sofferenza (che estenderei alla Sardegna intera) che non riescono a costruire un progetto collettivo, non solo per assenza di spazi pubblici (in senso lato) ma anche perché stanno venendo meno gli interlocutori principali: i giovani.

È bene ricordare che l’ultimo e unico progetto collettivo accettato da tutti, è stato quello degli anni ’60 legato alla fase del Piano di Rinascita. Di questo Piano stiamo pagando duramente gli effetti perversi di cui lo spopolamento è uno dei principali, ma di certo non dobbiamo dimenticare che ha, per un verso, contribuito a diffondere un’idea di promozione sociale attraverso l’istruzione, come ha ben ricordato Marcello Fois, in cui oggi si riconoscono solo quelli che da questa idea hanno tratto benefici, in termini non tanto di ricchezza materiale quanto di libertà di pensiero e di sicurezza sociale; per un altro verso, ha contribuito a far maturare una coscienza di classe (se si può ancora usare questa espressione), nel senso che gli allora tanti operai erano accomunati dagli stessi bisogni e finalità da raggiungere.

Questi temi come si legano ai due fatti delittuosi di Noragugume? Per limitarci agli ultimi in ordine di tempo? Si delinque perché diminuisce l’istruzione mentre cresce il malessere sociale? Oppure riemerge la faida come un fiume carsico che scompare per anni e poi all’improvviso ricompare? Non è mio compito rispondere a quest’ultimo quesito, anche se mi pare un’ipotesi troppo facile, e comunque lo faranno le forze dell’ordine a conclusione delle loro indagini. Ma per ciò che riguarda i primi interrogativi, dico con nettezza che non c’è un nesso tra malessere sociale e criminalità. Da dieci anni ci occupiamo di osservare i cambiamenti della criminalità sarda e dai nostri dati (aggiornati in tempo reale) non emerge mai questo nesso. Anzi, sono le aree più vivaci e “ricche” della Sardegna ad essere più a rischio, mi riferisco alla zona costiera Nord-Orientale. Resta però il fatto che in alcune aree della Sardegna c’è un ricorso alla violenza persistente.

Umberto Cocco racconta della folla dei ragazzi che hanno attraversato le strade di Noragugume. È un fatto positivo ma non sufficiente. Mi piacerebbe che diventasse un disvalore sociale, anzitutto, il comportamento omertoso: della serie, chi sa riferisca alle forze dell’ordine, senza clamori ed enfasi mediatica; in secondo luogo, il fatto che ci siano troppe persone che posseggono armi. Tutti gli studi sottolineano che la diffusione delle armi da fuoco in Sardegna è maggiore che in gran parte delle altre regioni italiane. È emerso chiaramente in tutte le nostre rilevazioni. Lo ripeto ossessivamente anche qui: questa diffusione, concentrata in un’area centro-orientale ben delimitata “con spiccati caratteri di omogeneità per storia, antica e recente, per condizione sociale, per risorse economiche, per usi, costumi e tradizioni”, come ha scritto nel primo rapporto di ricerca Giovanni Meloni (2006), non ha a che fare con ragioni di lavoro o difesa privata, bensì direttamente con la criminalità.

Per rifiutare l’omertà e le armi, servono certamente le manifestazioni attraverso le quali la comunità (se c’è ancora) possa riconoscersi, ma sono necessari comportamenti civici diffusi fondati sul rispetto delle norme e delle regole (e se penso al territorio, mi riferisco esplicitamente all’abusivismo troppo spesso accettato quando non sostenuto socialmente). Sotto questo aspetto conservano tutta la loro attualità gli studi sulla tradizione civica delle regioni italiane di Putnam (1993) dai quali si ricava che, almeno in parte, lo sviluppo economico è più alto nelle regioni che esprimono cittadinanza attiva e senso di coscienza sociale. E allora, tutto si tiene. Cultura e occupazione, rispetto delle leggi e delle regole, spazi pubblici dove costruire processi decisionali fortemente democratici.

Lascia un commento