San Tommaso d’Aquino sarebbe su Facebook [di Veronica Rosati]

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Il 28 gennaio la Chiesa ricorda S. Tommaso d’Aquino. Un lettore qualunque, anche quello poco avvezzo agli approfondimenti religiosi, molto spesso associa il suo nome ad un indefinito senso di noia o di antico. Nella nostra epoca frenetica, dove tutti sono di fretta, appare strano pensare ad un classico in maniera diversa da quella di una mera erudizione.

Se fosse un nostro contemporaneo S. Tommaso sarebbe su Facebook. Utilizzerebbe una foto del profilo qualunque, magari un po’ spartana, senza badare troppo all’abito indossato al momento dello scatto. Come immagine di copertina metterebbe probabilmente un paesaggio di Roccasecca, il suo incantevole paese natale, nel basso Lazio.  Non renderebbe visibile a tutti la sua data di nascita, il 1.225, non per presunzione ma per coerenza al suo animo semplice. Sulla mappa dei luoghi visitati indicherebbe Napoli, Parigi, Roma. Senza troppi esibizionismi, ma soltanto per chiarezza verso amici e seguaci, si definirebbe un teologo, un filosofo, ma anche un maestro di spirito. Posterebbe appena possibile passi della Summa Theologiae e della Summa contra Gentiles. Non si stancherebbe mai di rispondere alle domande di chiarimento, conducendo tutti per mano, chiunque essi siano, lungo sentieri inesplorati della ragione e della fede. Inviterebbe, probabilmente, a reperire in biblioteca tutte le altre sue opere.

Ogni anno, sin dai tempi dell’università, da quando sui banchi dell’ateneo veneziano mi sono avvicinata per la prima volta alle sue opere, rinnovo in questo giorno il desiderio di rimanere in silenzio di fronte a quelle pagine. Ne ascolto la loro profonda originalità ancora lume per il presente, lontano da quei secoli di fraintendimenti che lo hanno reso erroneamente un simbolo di staticità e di intransigenza.

Oggi è molto difficile restare in silenzio in un mondo frenetico e chiassoso, dove tutti paiono gridare dimenticando l’umile gesto di ascoltare. Il silenzio è umano, ci fa riflettere su chi siamo veramente: creature straordinarie indissolubilmente legate ai nostri limiti. Solo restando in ascolto si ha la totale libertà di percorrere tutti insieme quel cammino indicatoci da Dio. Prendendo in prestito il titolo di un’opera del teologo tedesco Karl Rahner, l’ascolto ci rende autenticamente uditori della parola, rivelata da Dio agli uomini. Nell’era digitale tutti devono avere qualcosa da dire.  Tutti sono connessi alla rete che offre infinite possibilità di informarsi, condividere, comunicare. Ormai su internet si può fare tutto. Ci s’informa, si concludono affari e transazioni finanziarie. Si conoscono nuove persone e ci si può innamorare. Tutti sono connessi a tutti. O forse sono terribilmente soli.

Recentemente Papa Francesco, in occasione del suo Messaggio per la XLVIII Giornata Mondiale delle Comunicazioni sociali, ha definito internet un dono di Dio. Nel mondo ferito da forme di esclusione sociale di diversa natura, la rete e, più in generale, i media, possono contribuire a ricostruire un senso di unità fra le persone. Ciò è possibile perseguendo una cultura dell’incontro autentica, che lascia sempre spazio all’ascolto dell’altro.

Il Papa avverte che ciò è possibile ricorrendo a quella lentezza che pare contraddire la velocità delle informazioni che viaggiano sulla rete. Solo rimanendo in silenzio si riesce a cogliere l’espressione altrui con rispetto e comprensione. Non è sufficiente avere a disposizione una moltitudine di informazioni per riuscire ad affinare la nostra capacità di riflessione e il senso critico, poiché il rischio di finire arroccati solamente in ciò che ci interessa e che corrisponde alle nostre aspettative è molto elevato. Restare in ascolto del prossimo significa permettergli di esprimere se stesso al meglio, riuscendo a coglierne le differenze. Il vero dialogo preserva le diverse specificità, individuali o culturali.

Il Pontefice argentino, con un’estrema semplicità, ci conduce al cuore del cristianesimo riflettendo su quella forma di comunicazione al servizio di una cultura autentica dell’incontro. Chiunque comunichi mettendosi in ascolto di qualcun’altro non si limita a riconoscere semplicemente l’altro come un suo simile. Al contrario, è lui stesso che, in prima persona, si fa prossimo. È qui che il comunicare diventa un modo per prendere consapevolezza di essere tutti Figli di Dio.

Il coinvolgimento personale diventa indispensabile. Non c’è nulla di asettico e neutrale nemmeno fra i freddi pixel di un pc, poiché non importa se l’incontro avviene per le strade cittadine o in quella immensa piazza virtuale che è internet. Questa forma di comunicazione rispettosa dell’altrui differenza è un modo di amare veramente.

Anche il medievale S. Tommaso non si stancava di definire questo amore del prossimo parlando dell’amicizia, nella sua forma più autentica. Essa è indispensabile all’essere umano. Il mio prossimo è un altro me stesso e non un semplice e superfluo accessorio. Ciascuno soddisfa il suo bisogno di felicità relazionandosi con l’altro, in un comune cammino.

La voce di Papa Francesco pare fare eco al lontano Angelico Dottore che associava l’amicizia alla giustizia. Incontrare e comunicare non prescindono da un reciproco scambio d’idee e di particolarità del tutto speciali le quali, in un mosaico straordinario, livellano diseguaglianze, ingiustizie e ogni forma drammatica di esclusione sociale in nome di un’unità universale. Anche la Chiesa di oggi, per Papa Bergoglio, deve percorrere tutte le strade del mondo, anche quelle nuove. Dialogare non significa rinunciare alle proprie idee e tradizioni. Si abbandona, invece, l’arrogante pretesa che esse siano assolute e uniche.

È così. San Tommaso d’Aquino sarebbe su Facebook e non si farebbe alcun problema a postare, taggare, condividere in un continuo rispettoso scambio con quell’infinita serie di amici che è l’umanità intera che cammina insieme. Starebbe fra virtuali click, ma anche fra sguardi reali. In una Chiesa universale, in ogni tempo e in ogni luogo dove Dio abbraccia la terra.

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