La sinistra ha un futuro in Sardegna? No per quella fatta di tirannos minores e tzerachia ubbidiente che non rispetta l’ecologia umana ed ambientale [di Tore Corveddu]

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Scriveva qualche giorno fa Franco Mannoni: “ma la sinistra ha un futuro (in Sardegna)”? Mi soffermo su ciò che, ormai per moltissimi, è un punto di partenza: la drammatica crisi in cui la sinistra si tormenta, ovunque, in questo scorcio del XXI secolo. Contemporaneamente i suoi gruppi dirigenti, in Italia in particolare, hanno tentato di mandare messaggi rassicuranti: il peggio è passato, la crisi è alle spalle, la produzione e l’occupazione sono in crescita. Purtroppo non recepiti perché la realtà percepita è un’altra.

Il fatto che la crisi industriale, favorita da un capitalismo liberista dedito alla speculazione finanziaria, non abbia trovato la giusta collocazione nel dibattito politico, soprattutto a sinistra, porta ovunque ad un brusco risveglio di fronte agli effetti di una selvaggia globalizzazione.

Il dato più emblematico e più recente si poteva leggere nel voto al miliardario Donald Trump: le “periferie umane” delle città deindustrializzate che per protesta votano contro le speranze tradite! Troppo lontani da noi?! Come  erano lontani gli effetti della distruzione della “finanza creativa” delle multinazionali Enron Corporate, Lehman Brothers, mutui subprime, hedge fund, bond argentini, gli oligarchi russi e così via, che hanno offuscato ma non fatto dimenticare i bond Cirio, lo IOR, Calvi e Sindona, il crac Parmalat… fino al fallimento, in casa nostra, di un numero spropositato di Casse  di risparmio.

Tutti segnali, in tempo di capitalismo libertino e di berlusconismo, che qualcosa di pericoloso stava fermentando, ovunque nel mondo occidentale. Passi, per modo di dire, che le forze neoconservatrici, quelle più fortemente responsabili di questi effetti perversi, si siano fatte “imprenditrici della paura”, ad esempio, mettendo al centro il pericolo dell’immigrazione in modo ideologico o la minaccia islamica.

Ricordate, in Italia, le “ronde padane”?! Era questa, o è, la mobilitazione psicologica e intellettuale di cui ha bisogno la staticità della politica rispetto alle contraddizioni che hanno aperto il nuovo secolo? Questa non è politica ma, purtroppo, è anche la conseguenza di una sinistra che ha passato tanto tempo in un continuo ululare alla luna, di una carenza di ricerca di una prospettiva di “governo delle esigenze” su cui riedificare soluzioni alternative ai problemi che il neocapitalismo ha prodotto.

Una crisi pesante della società, sempre più diseguale, ma con un conseguente conformismo culturale anche di larga parte delle classi intellettuali che Benedetto XVI ricordava nell’enciclica “sociale” Caritas in veritate: <l’aumento sistemico delle ineguaglianze tra gruppi sociali all’interno di un medesimo Paese e tra le popolazioni dei vari paesi, ossia l’aumento massiccio della povertà in senso relativo, non solamente tende a erodere la coesione sociale, e per questa via mette a rischio la democrazia, ma ha anche un impatto negativo sul piano economico, attraverso la progressiva erosione del “capitale sociale”, ossia di quell’insieme di relazioni di fiducia, di affidabilità, di rispetto delle regole, indispensabili ad ogni convivenza civile>.

Il Papa! E la sinistra?! Altro che smantellamento della Costituzione! In un simile quadro è apparso che i gruppi dirigenti della sinistra europea, italiana su tutte, non ha messo in campo progetti, non ha soluzioni e non è riuscita ad arginare i vari tentativi – ben riusciti – di smantellamento del welfare state.

Così è avvenuto che i temi collettivi del Novecento come il lavoro, l’occupazione, la formazione, le pensioni, la sanità, gli investimenti e i servizi pubblici, insomma l’interesse generale e collettivo, non solo sono scomparsi dall’agenda delle priorità ma sono stati sovvertiti da fenomeni politico-culturali che, in Italia, si sono declinati come “colpe del berlusconismo” a cui è seguito uno Stato centralista (governo Monti su tutti) retto da relazioni prepolitiche, cerchi magici e circuiti mondano – mediatici da perenne campagna elettorale.

Altro che politica della realtà! Se ci allontanassimo per un istante dal dibattito (!) politico-economico contingente è chiaro che a questa insostenibile situazione è necessario contrapporre, dopo qualche decennio di ostracismo, un’alternativa connessa ai problemi reali.

Questo è lo spazio che una sinistra moderna deve recuperare, anche attraverso un’analisi autocritica sui comportamenti e le decisioni politiche assunte, anche se questo significasse ripartire da capo e non solo in una dialettica interna, come succede oggi nel PD, guardando alle prospettive di medio termine di una società composita (Nord-Sud), multietnica e multirazziale.

Come ci sta in questo contesto il futuro della sinistra in Sardegna? In un Europa dove il valore etnico stenta a connotarsi, la Sardegna appare fortemente rinunciataria, attardata in una sorta di “conflitto verboso” che al più produce ulteriore assistenzialismo a caro prezzo (servitù non solo militari, se si pensa a ciò che succede sul tema energetico).

E il ceto politico sempre più autoreferenziale, ancorché finanziariamente potente,  in questa tornata elettorale è stato punito più pesantemente che altrove, con un voto di protesta omogeneo ma con picchi più dolorosi nelle aree (ex) industriali. Come se si fosse rotto qualcosa di profondo, in cui la spinta verso la sicurezza (sociale) trova uno sbocco politico in una feroce reazione ad un sistema.

Protesta e speranza insieme? Non so se si tratta di questo, certo è che questi sono gli ingredienti per chi ritiene che una riscossa  passi proprio attraverso il voto democratico. Questo mi pare il voto “contro” la sinistra in Sardegna, contro il PD in particolare, contro un’idea non chiara, generica, parolaia, di una prospettiva nuova.

Ma il suo gruppo dirigente, quello al governo, ha assunto un’immagine di barones, printzipales, che hanno pensato che gli elettori non sono altro che una tzerachia ubbidiente, remissiva, disponibile a qualsiasi sopruso.

E, invece, sa passientzia est bennida a mancare contra a custos tirannos minores. Più che altrove questo voto, infatti, dimostra di guardare oltre il ceto politico – questo ceto politico – e di rendere attive e protagoniste le forze sane della società per dare corpo ad una nuova prospettiva. Questo compito è davanti a noi, davanti a chi ha nelle proprie radici quei valori che, a forza di parlar male del berlusconismo, altri hanno ridotto a qualcosa di impresentabile. Ma la strada da fare è tanta e il testimone è per terra.

One Comment

  1. Gianni

    Se un popolo non riesce a darsi una rappresentanza degna (attraverso la partecipazione) significa che è incapace e non merita altro. Sa passientzia est bennida a mancare? Toccad a pensare chi sa limba ebbia no giuad a nudda si no ischimus fagher atteru che ciarrare.

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