Anche per la Corte d’Appello il blocco dei lavori a Tuvixeddu era legittimo. Ecco la Sentenza n. 2245/2018 pubblicata il 09/04/2018 RG n. 4263/2013 [di Redazione]
REPUBBLICA ITALIANA In nome del Popolo Italiano LA CORTE D’APPELLO DI ROMA Seconda Sezione Civile Così composta: dr. Edoardo Cofano Presidente rei. dr. Benedetta Thellung . Consigliere dr. Patrizia Mannacio . Consigliere riunita in camera di consiglio ha pronunziato la seguente SENTENZA nella causa civile in grado di appello, iscritta al n. 4263 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell’anno 2013, trattenuta in decisione all’udienza collegiale del 7/2/2017 e vertente TRA REGIONE AUTONOMA DELLA SARDEGNA (8002870923), elett.te dom.ta in Roma, via Lucullo 24 presso l’Ufficio di rappresentanza della Regione, difesa dagli avv. ti Federico Sorrentino e Giovanni Parisi dell’Ufficio legale che la appresentano e difendono come da delega Impugnante NUOVA INIZIATIVE COIMPRESA S.R.L.( c.f. 01873210924) elett.te dom.ta in Roma, via Giovanni Nicotera 31 presso lo studio dell’avv. Francesco Astone, che la rappresenta e difende insieme con gli avv.ti Alberto Picciau e Marcello Vignolo Impugnata Oggetto impugnazione per nullità di lodo rituale Conclusioni Per la Regione Autonoma della Sardegna: ” voglia codesta Ecc.ma Corte d’Appello adìta ………….. previa, ove occorra, dichiarazione di parziale nullità della clausola compromissoria contenuta nell’accordo di programma 15 settembre 2000 di cui in e narrativa, accertare e dichiarare la nullità del lodo parziale in quanto la controversia introdotta con la domanda di arbitrato era estranea all’oggetto della clausola compromissoria di cui all’art. 7 dell’Accordo di programma del 15.9.2000; in subordine accertare la integrale nullità del lodo definitivo e del lodo parziale per l’invalidità della clausola compromissoria di cui all’art. 7 ….in quanto contrastante con l’art. 35 del decreto legislativo 80/1998, ovvero dichiarare la nullità del lodo in quanto pronunciato su una controversia non arbitrabile ai sensi dell’articolo 12 del decreto legislativo 104/2010 (già art. 6 comma 2 legge 205/2000); in via di ulteriore subordine, accertare la nullità di entrambi i lodi impugnati in quanto pronunciati su un caso in cui il merito della controversia non poteva essere deciso ed in violazione del principio del contraddittorio stante la mancata chiamata in giudizio del Comune di Cagliari; in via di ulteriore subordine accertare la nullità di entrambi i lodi impugnati in quanto pronunciati in violazione degli artt. 48 e 49 delle norme tecniche di attuazione del Piano Paesaggistico della Regione Sardegna approvato con delibera della Giunta Regionale 36/7 del 5 settembre 2006; in via di ulteriore subordine accertare la nullità di entrambi i lodi impugnati in quanto pronunciati in violazione di precedente giudicato facente stato tra entrambe le parti; in via di ulteriore subordine accertare la nullità del lodo definitivo nella parte in cui, in violazione del medesimo giudicato, ha riconosciuto la responsabilità della Regione Sardegna per il blocco dei lavori di cui all’Accordo di programma al di là del periodo dal 9 agosto all’8 settembre 2006; in subordine, accertare la nullità del lodo nella parte in cui – in violazione degli artt. 1223 e 1227 c.c. – ha riconosciuto la responsabilità della Regione Sardegna in misura del tutto eccessiva, e riformare dunque I’imparto della condanna nella misura Sentenza n. 2245/2018 pubbl. il 09/04/2018 RG n. 4263/2013 ritenuta di giustizia e cdh1uhUe riòri §uoeMore a tuelIa indicata dall’arbitro dissenziente (€ 3.6000.000,00); in via di ulteriore subordine accertare la nullità del lodo per violazione di norme di legge (art. 194 c.p.c.) nonché per violazione del principio del contraddittorio (art. 829 comma i n.4 c.p.c.).” Per Nuova Iniziativa Coimpresa s.r.I. : “Voglia I’Ecc.ma Corte d’Appello, respinta ogni contraria istanza, eccezione o deduzione…..in via pregiudiziale dichiarare l’inammissibilità e/o improcedibilità e/o irricevibilità dell’impugnazione proposta …avverso il lodo arbitrale non definitivo in data 16/6/2011 già autonomamente impugnato dalla Regione con atto di citazione iscritto a ruolo presso la Corte d’Appello di Roma …..per tutte le ragioni esposte in narrativa; sempre in via pregiudiziale dichiarare l’inammissibilità ……..dell’impugnazione proposta avverso il lodo definitivo in data 23/4/2013 per tutte le ragioni esposte in narrativa; e ciò, sia con riferimento all’impugnazione interposta nel suo complesso, sia con riferimento ai singoli motivi di impugnazione, e specialmente ai numeri 1,2,3,4 e 5 dell’impugnazione avversaria; ancora in via pregiudiziale ed in ogni caso, dichiarare l’inammissibilità, ex art. 829 comma 3 c.p.c. dei motivi di impugnazione nn. 4, 6 e 7 articolati ex adverso poiché fondati sulla presunta violazione di regole di diritto relative al merito della controversia; In via subordinata nel merito rigettare integralmente l’impugnazione avversaria, perché infondata in fatto e diritto, per tutte le ragioni esposte in narrativa….. In ogni caso, con vittoria di spese…” Ritenuto in fatto All’esito di una lunga e complessa vicenda che aveva riguardato l’area collinare della città di Cagliari denominata “Colli di San Avendrace” o “Colli di Tuvixeddu e Tuvumannu” – nel cui versante sud ovest è ubicato un importante sito archeologico gravato da un vincolo archeologico ai sensi della legge 1089/1939 – nel corso della quale, sin dal 1987, la s.r.I. Nuova Iniziative Coimpresa (di seguito: Coimpresa) aveva presentato al Comune di Cagliari un progetto di riqualificazione urbana ed ambientale – che comprendeva la realizzazione di un parco archeologico e un Sentenza n. 2245/2018 pubbl. il 09/04/2018 RG n. 4263/2013 insediamento residenziale – in data 15/9/2000 sveniva sottoscritto un articolato accordo. Con tale scrittura, conclusa tra il Comune, la Regione Autonoma della Sardegna, Coimpresa e soggetti privati proprietari di aree all’interno del comprensorio, si dava atto che le parti intendevano disciplinare la sistemazione urbanistica, la realizzazione del Parco archeologico – oggetto di un separato accordo di programma – e le opere di interesse pubblico a carico dei soggetti stipulanti, tramite pattuizioni che regolavano distintamente i rapporti tra i diversi soggetti stipulanti. In particolare la Regione, premesso che la sua partecipazione all’Accordo era connessa alla verifica “sotto il profilo tecnico” dell’attuazione della variante urbanistica secondo gli “standard” pattuiti e nel quadro di un intervento coordinato e unitario, si impegnava con il Comune a contribuire al finanziamento del Piano urbano e archeologico denominato PIA CA 117 Sistemazione dei Colli a trasferite al Comune un’area del demanio regionale da ricomprendere nel Parco urbano (art.3). Il Comune di Cagliari ed i soggetti privati si impegnavano a transigere le controversie in corso aventi ad oggetto le aree in questione e a stipulare una Convenzione urbanistica, anche mediante il trasferimento al Comune delle aree private indicate nel piano attuativo; era altresì previsto il rilascio di concessioni edilizie in relazione alle parti di proprietà privata site all’interno del comprensorio (artt. 4 e 5). Coimpresa si impegnava nei confronti del Comune a predisporre la progettazione esecutiva di un asse viario di interesse urbano e del Parco oggetto del PIA CA 17, a realizzare le opere di urbanizzazione primaria e secondaria e la progettazione architettonica necessaria per le concessioni edilizie, nonché, quale soggetto autore del(‘investimento finanziario, a stipulare con Regione, Provincia e Comune un separato Accordo di Programma per il “PIA CA 117” – effettivamente sottoscritto il 3 ottobre di quello stesso anno – e a predisporre la progettazione esecutiva del Parco; a completare l’intervento nel termine di 10 anni (a’rt.5). Coimpresa, avvalendosi della clausola compromissoria contenuta nell’art. 7 dell’Accordo, proponeva, con atto notificato alla Regione il 19/4/2010, domanda di arbitrato nei confronti della Regione deducendo che la convenuta si era resa inadempiente agli obblighi assunti con la scrittura dei 15/9/2000, e chiedendone quindi la condanna al risarcimento del danno. Sentenza n. 2245/2018 pubbl. il 09/04/2018 RG n. 4263/2013 Il Collegio arbitrale – èdrnposto dall’Arbitro nohihato dall’attrice, da quello designato dal Presidente del Tribunale di Cagliari (attesa la mancata nomina da parte della Regione) e dal Presidente designato dagli altri due – si costituiva in data 28/9/2011.
Riteneva che l’eccezione così qualificata – osservando come alle medesime – conclusioni si sarebbe pervenuti anche ipotizzando la natura giurisdizionale dell’arbitrato ( cfr. p. 15-16) – era infondata, affermando che l’elemento dirimente, sul punto, era costituito dalla situazione giuridica di diritto soggettivo azionata dall’attrice, attesa la disposizione di cui all’art. 6 della legge 205/2000 che espressamente consente, in tale caso, la deferibilità in arbitri delle controversie devolute alla giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo. Il Collegio, segnalato Io stretto collegamento esistente tra le diverse pattuizioni ed i diversi rapporti originati dall’Accordo, affermava che l’attrice aveva agito deducendo la violazione di un diritto soggettivo, avendo addebitato alla Regione Sardegna di essersi resa inadempiente alle obbligazioni assunte con la scrittura del settembre 2000. L’argomento sostenuto dalla Regione – secondo la quale nell’aprile 2010, allorquando era stata proposta la domanda di arbitrato, l’Ente aveva già esercitato il – proprio potere autoritativo imponendo sull’area una serie di vincoli diretti alla tutela del paesaggio e del territorto, di guisa che le altre parti dell’Accordo avrebbero Sentenza n. 2245/2018 pubbl. il 09/04/2018 RG n. 4263/2013 potuto vantare solo interessi legittimi – veniva respinto dal Collegio sulla base di due considerazioni.
Da un lato tali provvedimenti regionali erano stati annullati dal Giudice Amministrativo con diverse sentenze pronunziate negli anni 2007 – 2008; dall’altro il Piano paesaggistico regionale adottato nel settembre 2006, nel quale era stata inserita l’area in questione, conteneva, all’art. 15 delle norme tecniche di attuazione, una disciplina transitoria che avrebbe consentito la realizzazione degli interventi previsti negli strumenti urbanistici attuativi approvati e con Convenzione efficace alla data di adozione del Piano (pp. 13-14). L’atto concluso nel settembre 2000 rientrava nella categoria degli “accordi di programma quadro” tra privati e Pubbliche Amministrazioni di cui all’art. 2 della legge 662/1996, espressamente ritenuti vincolanti dalla norma, che enumerava atti il cui oggetto era significativamente coincidente con il contenuto dell’Accordo oggetto di controversia (pp. 14-15). Avverso tale lodo proponevano separate impugnazioni, successivamente riunite, la Regione Autonoma della Sardegna da un lato, ed il Soru ed il Sanna dall’altro; il relativo giudizio è stato definito con separata sentenza. Nel prosieguo del procedimento arbitrale veniva disposta CTU diretta ad accertare il danno in ipotesi subìto da Coimpresa, affidata, su concorde indicazione delle parti, alla società Deloitte Financial Advisory Services s.p.a. La società depositava la relazione datata 19/4/2012, ed un secondo elaborato in data 17/10/2012 con il quale ha risposto sui chiarimenti richiesti dal Collegio Arbitrale. Con il lodo definitivo adottato a maggioranza, sottoscritto e depositato il 23/4/2013, il Collegio Arbitrale statuiva nei seguenti termini: a)accertava che la Regione Sardegna si era resa inadempiente alle obbligazioni assunte nei confronti di Coimpresa s.r.l. con l’Accodo di programma del 15/9/2000; b) condannava la Regione a pagare in favore dell’attrice, a titolo di risarcimento del danno, la somma di € 77.827.800,00 oltre interessi, nella misura legale, dalla domanda; c) compensava tra le parti le spese nella misura di 1/4k condannando la Regione a rifonderle per i restanti %; d) ripartiva nella stessa percentuale tra le parti le spese per il funzionamento del collegio arbitrale – e gli onorari al CTU – liquidate con separato provvedimento. In particolare gli Arbitri, quanto alla validità della clausola compromissoria, dopo avere dato atto che la questione aveva formato oggetto del lodo non definitivo, affermavano in linea generale che dalla stipula di un contratto con soggetti privati, l’Ente pubblico vedeva limitati i propri poteri autoritativi ed era tenuto ad osservare un comportamento caratterizzato da trasparenza e lealtà. Nella specie la Regione, che avrebbe dovuto svolgere una funzione di garanzia, si era ritenuta invece estranea alla pattuizione con i privati, ed aveva espressamente ipotizzato, quando era cambiato il quadro politico, di sostituire con uno diverso e alternativo l’originario progetto, destinato a garantire nello stesso tempo la salvaguardia del paesaggio, la conservazione e l’autonomia di un prezioso sito archeologico, la realizzazione di un coerente assetto viario e, infine, l’attuazione di un piano urbanistico ed edilizio di qualità tale da non compromettere il contesto paesaggistico, storico e culturale ( pp. 15-17). Sempre il linea generale il Collegio riconosceva alla Regione il potere di incidere su situazione sorte in conseguenza di precedenti “vincoli convenzionali”, segnalando come, in presenza di un interesse pubblico legittimante l’esercizio ditali poteri, l’art. 21 quinquies della legge 241/1990 prevedesse l’obbligo della P.A. di corrispondere un indennizzo parametrato al solo danno emergente; dalla norma, che qualificava la corresponsione dell’indennizzo alla stregua ‘di un “obbligo”, derivava il corrispondente diritto soggettivo del privato creditore dell’indennizzo (pp.18-20). Dalla richiamata disposizione – e da quella contenuta all’art. 11 comma 4 della stessa legge – discendeva tuttavia che qualora la parte privata avesse dedotto, come nel caso di specie, l’esercizio illegittimo dei poteri autoritativi della pubblica autorità incidenti su diritti soggettivi sorti antecedentemente sulla base di un accordo, la controversia, devoluta alla giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo, era deferibile in arbitrato, ai sensi dell’art. 6 comma 2 legge 205/2005 (pp. 20-21). Il lodo (definitivo) passava quindi ad esaminare (dal §3 – p.22) le difese svolte dalla Regione e dirette a far valere la legittimità della propria condotta – ed in particolare della adozione del PPR – alla luce delle numerose sentenze pronunziate dal TAR della Sardegna. Prendeva altresì in esame la pronunzia del Consiglio di Stato, che , con la sentenza n.1366/2011, riformando la sentenza n.2241/2007 del Giudice amministrativo di primo grado, aveva da un lato escluso l’esistenza di vizi nel procedimento che aveva Sentenza n. 2245/2018 pubbl. il 09/04/2018 RG n. 4263/2013 portato alla adozione del PPR, e, dall’altro, aveva affermato l’applicabilità, quale norma transitoria, dell’art. 49 delle NTA e non dell’art. 15, ritenuto applicabile dal TAR. Le statuizione del Giudice Amministrativo di secondo grado erano decisive, secondo la Regione, per dimostrate l’assoluta legittimità della propria condotta, in quanto la disposizione ritenuta applicabile dal Consiglio di Stato, a differenza di quella richiamata dal TAR, non consentiva alcuna edificazione all’interno dell’areà oggetto del vincolo paesaggistico, sino a quando il Comune di Cagliari non avesse adottato un Piano regolatore conforme al PPR. Il Collegio arbitrale osservava, disattendendo la tesi della Regione: a) che nel ricorso originario il ricorrente Comune di Cagliari si era doluto della mancata previsione, nel Piano, della “salvezza degli accordi di programma e della disciplina urbanistica conseguente”; b) che il TAR, dando atto di tale omissione, aveva affermato che gli accordi, “se sfociati in una disciplina urbanistica attuativa, sono fonte di vantaggi consolidati”; c) che l’appello della Regione aveva riguardato solo la “perimetrazione cartografica dell’area”, e non l’affermazione del primo Giudice in ordine alla mancata incidenza del PPR sugli accordi di programma che, nella specie, erano stati approvati ed attuati con una specifica Convenzione (pp. 23-24). Gli Arbitri, dopo avere censurato la sentenza del Consiglio di Stato nella parte in cui aveva attribuito natura di obiter dicta alle valutazioni di merito espresse sul punto dal TAR – pur avendo ravvisato il difetto di interesse del Comune a impugnare il Piano sotto questo profilo – escludevano che sulla applicabilità dell’art. 49 (anziché dell’art. 15) delle NTA si fosse formato un giudicto esplicito o implicito, ed hanno affermato che il giudicato si era invece formato sulla affermazione del TAR in ordine alla mancata incidenza del PPR sui diritti acquisiti dai provati a seguito della sottoscrizione dell’Accordo del settembre 2000( pp:.25-26). A sostegno delle conclusioni raggiunte gli Arbitri indicavano la sentenza 84/2009 del TAR che aveva dichiarato illegittimo l’art. 15 comma 4 delle NTA, peraltro ravvisando il difetto di interesse di Coimpresa in quanto l’applicabilità degli altri commi della stessa disposizione e avrebbe comunque consentito la realizzazione degli interventi previsti da accordi di programma; l’applicabilità di detta disposizione “tecnica” era stata affermata anche dalle sentenze 541 e 542 del medesimo TAR con le quali erano state annullati i provvedimenti della Soprintendenza che avevano annullato due autorizzazioni paesaggistiche rilasciate alla società dal Comune di Cagliari. Sentenza n. 2245/2018 pubbl. il 09/04/2018 RG n. 4263/2013 Erano altresì richiamati i giudicati che si erano formati in relazione ad altre sentenze del TAR della Sardegna, i quali comportano che – per individuare i termini di durata del periodo con riferimento al quale il comportamento della Regione può essere considerato come inadempimento degli obblighi assunti con l’accordo del 2000, con il conseguente diritto di Coimpresa ad essere risarcita del danno eventualmente derivatone – l’entrata in vigore dei piano paesaggistico regionale avvenuta l’8 settembre 2006 non comporta gli effetti auspicati dalla Regione (p.30). Sulla base di queste motivazioni il lodo definitivo confermava l’applicabilità dell’art. 15 delle NTA, già affermata nella precedente pronunzia. Il dodo prendeva poi in esame i risultati ai quali era pervenuta la società Deloitte escludendo che il CTU si fosse discostato, quanto alla valutazione del nesso di causalità tra i dedotti inadempimenti ed il danno subìto dall’attrice, dal criterio della causalità materiale. Premesso che era incontestata la circostanza che i lavori di cui Coimpresa avrebbe dovuto curare l’esecuzione secondo il Progetto [erano] tuttora bloccati, salva la realizzazione di una limitata parte di quelli di edilizia residenziale (p.33) gli Arbitri, seguendo la ripartizione temporale adottata nella consulenza d’ufficio, distinguevano tre periodi. Quanto al primo, compreso tra il 9/8/2006 (data del primo provvedimento regionale di sospensione dei lavori) ed il 4/12/2008 (nella quale erano cessati gli effetti della sospensione medesima) osservava che la sospensione era stata dichiarata illegittima dal CdS con la sentenza 3894/2008, che aveva affermato come con essa la Regione aveva abbandonato i precedenti assetti progettuali concordati con il negozio del settembre 2000 (p.37). Dalla relazione peritale, inoltre, emergeva che la mancata prosecuzione dei lavori determinata dal provvedimento di sospensione aveva determinato dapprima un differimento e poi il definitivo rifiuto degli Istituti bancari di concedere i finanziamenti a Coimpresa (p.39); dalle sentenze del TAR risultava la volontà dell’Ente di attuare una finalità non conforme a legge con la conseguente responsabilità per i danni subìti dall’impresa sino alla data della sentenza di secondo grado (4/8/2008 – pp. 41-42). Alla luce dei conteggi eseguiti dal CTU – che, peso in esame l’utile che sarebbe derivato all’attrice se i lavori fossero stati realizzati, aveva accertato in € 38.900,00 20 1/ Sentenza n. 2245/2018 pubbl. il 09/04/2018 RG n. 4263/2013 il pregiudizio subìto per ciascun giorno di ritardo, gli Arbitri liquidavano in relazione a tale periodo l’importo complessivi di € 33.015.000 (€ 38.900,00 x 847 giorni pp.43-44). Il secondo periodo esaminato dal CTU – e dagli Arbitri – era quello successivo al deposito della sentenza del CdS e sino ai 31/12/2011; in relazione a detto torno temporale la consulenza, in presenza di ostacoli provenienti da altri soggetti pubblici E – ed in particolare dal Ministero – aveva ravvisato a carico della Regione un concorso nella determinazione del danno nella misura del 62%, quantificandolo in € 27.294.000 (pp. 349-350 della relazione). Le conclusioni esposte nella relazione venivano peraltro disattese dal Collegio Arbitrale, che osservava come negli anni presi in considerazione la Regione, pur lasciando cadere ogni riferimento al disegno di realizzare, in luogo del progetto approvato con l’accordo di programma del 2000, la diversa soluzione delineata dallo studio Clement. ….. ha continuato a sostenere l’assoggettamento della fattispecie alla disciplina transitoria posta dall’art. 49 delle norme tecniche di attuazione del piano paesaggistico di regionale entrato in vigore 1’8 settembre 2006, ritenendo che in conseguenza la concreta attuazione di quel progetto doveva ritenersi rinviata all’esito di un’intesa di copianificazione, allo stato comunque non intervenuta (p.53). Richiamati i motivi alla luce dei quali tale tesi doveva ritenersi errata, gli Arbitri osservavano che da una valutazione complessiva degli atti emanati dalla Regione emergeva che i provvedimenti adottati nel secondo periodo da autorità non regionali non possono considerarsi cause sopravvenute da sole sufficienti a determinare l’evento costituito dal blocco dei lavori, in quanto dagli atti risulta che l’intero corso di tale periodo è stato caratterizzato dalla prosecuzione da parte della Regione dell’atteggiamento di opposizione al Progetto già da essa tenuto nel primo periodo, di guisa che i comportamenti tenuti dal Ministero e dal Comune di Cagliari pur inserendosi nella successione dei fatti non hanno reciso il nesso tra i ricordati comportamenti della Regione e gli eventi dannosi costituiti dai ritardi (cfr. p. 55). Il danno relativo a tale periodo doveva essere quindi essere liquidato nella somma complessiva di €43.606.000,00. In relazione al terzo periodo, successivo all’1/1/2012( essendo emerso che la realizzabilità dell’opera era altamente improbabile se non impossibile” e non essendo l’attrice riuscita a chiarire quale comportamento della Regione avrebbe Al Sentenza n. 2245/2018 pubbl. il 09/04/2018 RG n. 4263/2013 potuto impedire l’indefinito protrarsi nel tempo del danno, quest’ultimo veniva limitato a quello verificatosi nel mese di maggio 2012 e liquidato in complessivi € 1.205.900,00. Veniva infine respinta la domanda avente ad oggetto la rifusione del danno alla immagine (pp.57-58). Avverso i due lodi la Regione Autonoma della Sardegna ha proposto impugnazione con citazione notificata il 22/7/2013. La s.r.l. Nuove Iniziative Coimpresa si è costituita resistendo all’impugnazione. All’udienza del 7/2/2017 la causa è stata trattenuta in decisione, previa concessione alle parti dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. Considerato in diritto Va preliminarmente respinta l’eccezione con la quale Coimpresa s.r.I. ha dedotto l’inammissibilità della presente impugnazione, proposta nel 2013 avverso entrambi i lodi, non definitivo e definitivo, essendo stata la prima pronunzia oggetto di una precedente impugnazione; alla stregua della norma di cui all’art. 827 comma 2 c.p.c., infatti, la sanzione di inammissibilità della impugnazione del lodo non definitivo non preclude alla parte di impugnare successivamente entrambe le pronunzie arbitrali, così come disposto dalla norma sopra richiamata. L’impugnazione peraltro è estesa alla violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia, pur in assenza di uno specifico richiamo alle stesse nella clausola compromissoria, atteso il principio affermato nelle note sentenze 9341,9284 e 9285 pronunziate nell’anno 2016 dalle Sezioni Unite della Corte di legittimità. La Regione Autonoma della Sardegna (di seguito: R.A.S) ha articolato sette motivi di impugnazione. Con il primo (p.37 e segg.) ha dedotto la nullità del lodo ai sensi dell’art. 829 n.4 c.p.c. per avere pronunciato fuori dei limiti della convenzione di arbitrato; a sostegno del motivo la R.A.S. ha osservato in primo luogo che, non avendo essa assunto con la sottoscrizione dell’Accordo alcuna obbligazione nei confronti di soggetti diversi dal Comune di Cagliari, non era configurabile una controversia assoggettata alla clausola compromissoria; comunque, pure ipotizzando il sorgere di rapporti giuridici con le parti private, la controversia non avrebbe potuto consistere nell’esercizio di poteri pubblicistici concernenti la tutela di interessi indisponibili quali il paesaggio ed i beni archeologici. Con il secondo motivo (pp.38 e segg.) la Regione ha eccepito la nullità dei lodi derivante dalla invalidità della clausola (art. 829 comma 1 n.1) e comunque per avere pronunziato in un caso nel quale il merito della controversia non poteva essere deciso (art. 829 comma 1 n.4 c.p.c.). Ha in proposito sostenuto che, contrariamente a quanto ritenuto dal Collegio – Arbitrale, la situazione giuridica soggettiva azionata da Coimpresa con la domanda di arbitrato, valutata alla luce del principio del ”petitum sostanziale”, andava qualificata alla stregua di un interesse legittimo – e non di un diritto soggettivo – in quanto, al di là della prospettazione formale, la società aveva agito in conseguenza della illegittimità di provvedimehti adottati nell’ambito di poteri autoritativi; ne conseguiva la non deferibilità in arbitri della controversia, ammessa, a termini dell’art. 6 comma 2 della legge 205/2000, solo per la violazione di diritti soggettivi rientranti nella giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo. Anche la assenta “campagna mediatica” addebitata alla R.A.S. era intrinsecamente connessa alla adozione dei provvedimenti autoritativi, trattandosi di articoli di stampa relativi alla vicenda o a dichiarazioni rese dall’allora Presidente della Giunta regionale volte a difendere la legittimità dei provvedimenti vincolistici adottati. Con la terza censura (pp.44 e segg.) la Regione hadedotto la violazione del principio del contraddittorio (art. 829 comma 1 n.9 c.p.c.) in quanto il lodo non definitivo aveva affermato la complessa natura dell’Accordo che “implica e compone unitariamente un’articolata serie di negozi ..” e la connessione tra loro esistente; dalla ravvisata “inscindibilità” dei rapporti derivava che tutte le parti dell’Accordo erano litisconsorti necessari nell’ambito del procedimento arbitrale. Con il quarto motivo la R.A.S. ha censurato i lodi per violazione di norme di diritto – artt. 48 e 49 delle Norme tecniche di attuazione( di seguito: NTA) del Piano Paesaggistico Regionale (PPR) approvato con la Delibera di Giunta 36/7 del 5/9/2006. Premesso che, trattandosi di controversia connessa alla materia dei lavori pubblici, l’impugnabilità dei lodi per violazione delle norme di diritto ai sensi dell’art. 48 della legge 134/2012 – e comunque la portata non retroattiva della modifica apportata dalla legge 40/2006 (pp.46-52) – la R.A.S. ha segnalato come, essendo stato il PPR approvato il 5/9/2006, era applicabile l’art. 49 delle NTA ai sensi del quale per la categoria dei di beni paesaggistici di cui all’art. 48 comma i lett. a) sino all’adeguamento dei piani urbanistici comunali al P.P.R. si applicano le seguenti prescrizioni…. b) nelle aree è vietata qualunque edificazione o altra azione che possa comprometterne la tutela, disposizione che aveva determinato il necessario “blocco” di qualsiasi attività edificatoria da parte di Coimpresa prevista dall’Accordo del 2000, “blocco” dal quale, secondo il Collegio Arbitrale, era derivato alla società un pregiudizio quantificato, sulla base della esperita CTU, in € 38.900,00 per ogni giorno di ritardo. Tuttavia nel lodo all’origine del risarcimento non era stata posta la – eventuale – illegittimità della qualificazione delle aree operata dal P.P.R., ma l’avere la Regione Sentenza n. 2245/2018 pubbl. il 09/04/2018 RG n. 4263/2013 erroneamente applicato l’art. 49 delle NTA laddove, secondo il Collegio, sarebbe stata applicabile la disposizione dell’art. 15 delle tesse Note tecniche, che avrebbe consentito la realizzazione del programma edificatorio previsto nell’Accordo. In tal modo, peraltro, era stata ignorata la natura specifica della disposizione dell’art. 49, applicabile alle aree che avevano ricevuto, come quella oggetto della presente controversia, una particolare qualificazione paesaggistica, mentre l’art. 15, di portata più generale, si applicava agli “ambiti di paesaggio costieri” non caratterizzati da una particolare qualificazione in termini di paesaggio. L’applicabilità nella specie della disposizione di cui all’art. 49 NTA è stata oggetto anche della successiva censura, formulata ai sensi dell’art. 829 comma i n.8 c.p.c. per violazione del giudicato che, sul punto, si sarebbe formato alla luce della sentenza del Consiglio di Stato 1366/2011, che aveva riformato la sentenza 2241/2007 del TAR della Sardegna, che aveva invece ritenuto applicabile la disposizione di cui all’art. 15 delle più volte richiamate Note tecniche. La contraria affermazione contenuta nelle pronunzie arbitrali – secondo la quale sarebbe in realtà divenuta definitiva la sentenza di primo grado, in assenza di specifica impugnazione, nella parte in cui aveva ritenuto applicabile la disposizione contenuta nell’art. 15 NTA – non aveva tenuto conto che la pronunzia 2241/2007 del TAR Sardegna aveva ritenuto il difetto di interesse del Comune, attore in quel giudizio, di dolersi delle conseguenze che sarebbero derivate dalla applicazione dell’art. 49. Né potrebbe pervenirsi a conclusioni diverse alla luce delle altre sentenze del TAR, pure richiamate nei lodi impugnati, atteso che le sentenze nn. 541 e 542 del 2009 erano state riformate dal Consiglio di Stato e che nei procedimenti definiti da tali pronunzie, così come in quello concluso con la sentenza 84/2009, non era stato, sottoposta alla valutazione del Giudice Amministrativo la questione relativa al rapporto tra le diverse discipline transitorie previste nelle due disposizioni delle NTA. Conseguentemente nessun addebito avrebbe potuto essere mosso alla Regione per il periodo successivo alla adozione del PPR; a tutto concedere il comportamento illegittimo della Regione avrebbe potuto essere riconosciuto solo per il breve periodo intercorso tra il provvedimento dell’Assessorato regionale che nell’agosto 2006 aveva in via cautelativa inibito qualsiasi attività edificatoria e la data del nella quale la medesima attività era stata preclusa, in conseguenza del vincolo paesaggistico imposto sull’area (pp.64 e segg.). Con il sesto motivo il lodo è stato impugnato in quanto contrastante con nome di diritto (art. 829 comma 3 .p.c.) e per contraddittorietà tra le sue disposizioni (art. 829 comma 2 n.11). Sotto il primo profilo la pronunzia arbitrale è stata censurata per non avere tenuto conto che la realizzazione di quanto previsto ,nell’accordo del 2000 era stata impedita – dopo la pronunzia della sentenza 127/2008, risalente al febbraio di quell’anno, di annullamento dei provvedimenti regionali che avevano “bloccato” i lavori di edificazione – dal provvedimento in data 12/9/2008 con il quale il Ministero aveva annullato due autorizzazioni accordate dal Comune di Cagliari; annullati nel febbraio 2008 i provvedimenti regionali, nessun successivo evento avrebbe potuto essere ascritto alla R.A.S. (p.70). In questi termini il lodo aveva violato la disposizione di cui all’art. 1223 c.c., secondo la quale il risarcimento spetta solo in relazione a quei danni che siano conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento. Analoga valutazione avrebbe dovuto essere effettuata anche per il secondo periodo – come si è visto, ricompreso tra il 5 dicembre 2008 ed il 31/12/2011 – in relazione al quale gli Arbitri avevano ravvisato il persistente inadempimento della Regione nella condotta tenuta da quest’ultima, che avrebbe indotto altre Amministrazioni ad adottare provvedimenti che, a loro volta, avevano impedito l’esecuzione dei lavori, nonché all’errata applicazione dell’art. 49 NTA. Richiamate le osservazioni già formulate in merito alla disposizione delle Note tecniche, e premesso che di tale induzione non era stata fornita alcuna prova, la Regione ha segnalato la contraddittorietà del lodo nella parte in cui, dopo avere affermato l’influenza esercitata dalla Regione sulle altre Amministrazioni, aveva tuttavia riconosciuto il carattere vincolante del parere espresso dal Ministero tramite la Soprintendenza per i Beni architettonici, paesaggistici, storici artistici etnoantropologici della Provincia di Cagliari, che aveva disatteso una Relazione della Regione sostanzialmente favorevole in ordine alla compatibilità paesaggistica dell’intervento da autorizzare (p. 69). Con lo stesso motivo la Regione ha preso in esame le vicende relative ai comparti edificatori contraddistinti come B2 – Cl – C2B – C3 – C4 e C5 per i quali, a partire Sentenza n. 2245/2018 pubbl. il 09/04/2018 RG n. 4263/2013 dall’ottobre 2008, a seguito dell’annullamento o revoca dei provvedimenti impeditivi adottati dalla Regione, era venuto meno qualsiasi ostacolo all’inizio dell’opera di edificazione. Richiamando la difesa di Coimpresa, secondo la quale tali lavori avrebbero potuto – essere eseguiti solo dopo la realizzazione dell’asse viario – a sua volta impedita dalla adozione di provvedimenti regionali – la Regione ha dedotto che l’assunto risultava
a scorrimento veloce all’interno del cosiddetto “canyon” sino a quando, con il decreto n. 81 dell’8/7/2010, aveva imposto uno specifico vincolo sul complesso minerario. In relazione ai singoli comparti edificatori la Regione ha dedotto: – quanto al comparto E2 che, a fronte di una concessione edilizia presentata dalla società il 28/11/2006, solo nell’agosto 2009 il Comune aveva comunicato un preavviso di rigetto; – la completa realizzazione del comparto El. La R.A.S. ha poi addebitato agli Arbitri di avere acriticamente fatto proprie le conclusioni del CTU, errate nella parte in cui, procedendo al calcolo del lucro cessante, non avevano tenuto conto dell’andamento decrescente dei valori del mercato immobiliare, avevano conteggiato a carico della Regione impedimenti ai quali l’Ente era del tutto estranea, aveva calcolato un danno superiore all’utile che l’impresa avrebbe realizzato se il progetto avesse avuto regolare attuazione. In realtà, ha sostenuto la Regione, nessuna responsabilità risarcitoria poteva esserle attribuita in relazione al periodo successivo alla data – 8/2/2008 – nella quale era stata depositata la sentenza del TAR che aveva annullato il provvedimento di sospensione dell’agosto 2006 (pp. 77-78). »- In ogni caso, anche qualora nn fosse stata riconosciuta l’autonoma efficienza causale degli atti e comportamenti degli altri Enti nella determinazione del ritardo nella esecuzione dell’Accordo, la misura del risarcimento avrebbe dovuto essere ridotta tenuto conto della loro interferenza. Con il settimo ed ultimo motivo, infine, la Regione ha sostenuto la violazione di norme di dritto e del principio del contraddittorio per avere gli Arbitri illegittimamente definito il merito della controversia con riferimento alla CTU espletata, ed in particolare per essersi quest’ultima discostata dai quesiti articolati e utilizzando personali criteri in punto di responsabilità dell’Ente e di nesso causale. I chiarimenti forniti con la relazione depositata il 17/10/2012 dovevano ritenersi a loro volta nulli in quanto non preceduti da alcuna convocazione dei nominati consulenti di parte. La Regione ha inoltre censurato i criteri seguiti dal consulente d’ufficio nella individuazione del periodo da prendere in considerazione e l’epoca alla quale fare riferimento per valutare la capacità produttiva dell’impresa alla quale era stata affidata la materiale esecuzione delle opere ( 2010 anziché 2008/2009); altra censura ha riguardato l’omessa indicazione del metodo utilizzato per calcolare i prezzi al 2006 e la mancata considerazione delle conseguenze derivanti dai vincoli idrogeologici esistenti su taluni dei comparti edificatori e sul tratto stradale che avrebbe dovuto attraversare il cosiddetto “canyon”. I primi tre motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto concernenti il potere degli Arbitri di decidere sulla controversia – affermata nel lodo non definitivo e ribadita in quello definitivo – sono infondati. In entrambe le pronunzie il Collegio ha evidenziato in modo convincente come con l’Accordo concluso nel settembre 2000 al di là delle singole pattuizioni in esso previste – tra le quali il finanziamento della Regione al Comune – fosse stato regolato il complessivo “Programma di riqualificazione urbana e residenziale” dell’area in questione, così come l’oggetto dell’Accordo era stata espressamente indicato nella intestazione dell’atto. La partecipazione della Regione all’Accordo trovava giustificazione in quanto soggetto titolare dei poteri volti alla tutela dell’interesse pubblico in materia – paesaggistica e di beni storici ed archeologici, direttamente coinvolti nel programma Sentenza n. 2245/2018 pubbl. il 09/04/2018 RG n. 4263/2013~ di riqualificazione che, come hanno affermato gli Arbitri, solo la presenza autorevole della Regione era in grado di garantire (p.16 lodo definitivo). Da tale premessa deriva l’infondatezza non solo dell’assunto secondo il quale la Regione non sarebbe vincolata dalla clausola compromissoria contenuta all’art. 7 dell’Accordo, ma anche dell’argomento relativo alla eccepita nullità della medesima clausola, posto che essa non era affatto diretta a deferire agli arbitri l’esercizio dei poteri discrezionali connessi alla funzione pubblica della quale la Regione era titolare (p. 38 atto di impugnazione). Le concrete modalità con le quali tali poteri sono stati esercitati hanno infatti formato oggetto dei numerosi giudizi intrapresi (anche) da Coimpresa dinanzi al Giudice Amministrativo; la clausola aveva invece ad oggetto le controversie che avessero ad oggetto la violazione di diritti soggettivi sorti con la conclusione – dell’Accordo, e risulta conseguentemente del tutto valida. Deve essere disattesa anche la censura secondo la quale i due lodi impugnati sarebbero nulli per avere deciso, in violazione dell’art. 829 comma i n. 4 c.p.c., una controversia in materia di interessi legittimi riservata, ai sensi dell’art. 6 comma 2delle legge 205/2000, alla giurisdizione del Giudice Amministrativo. Proprio alla luce del criterio del cosiddetto petitum sostanziale richiamato dalla R.A.S. nel proprio atto di impugnazione rileva la Corte come con la domanda di arbitrato Coimpresa abbia richiesto il risarcimento dei danni asseritamente patiti in conseguenza di atti e deliberati e di comportamenti materiali posti in essere dalla Regione, sintomatici della volontà di quest’ultima di sottrarsi all’adempimento delle obbligazioni assunte con l’Accordo e, verosimilmente sulla base di un modificato “quadro politico”. Già nel lodo non definitivo, d’altra parte, gli Arbitri hanno escluso che nella specie sia ravvisabile una sfera di discrezionalità della P.A. – e quindi la configurabilità, in capo al soggetto privato, di meri interessi legittimi – inquadrando l’atto del settembre 2000 nella categoria degli Accordi di programma quadro di cui all’art. 2 comma 203 della legge 662/1996 – disposizione espressamente richiamata nella intestazione dell’atto – tra privati e pubbliche amministrazioni, volti a disciplinare interventi che coinvolgevano una molteplicità di soggetti pubblici e privati, accordi che la stessa norma definisce vincolanti per tutti i soggetti che vi partecipano (pp.14 e 15 lodo non definitivo). Nel lodo definitivo, quale ulteriore argomento a supporto della ravvisata natura dì diritto soggettivo della situazione giuridica vantata dalla società attrice, gli Arbitri hanno richiamato l’art.21 quinquies della legge 241/1990, disposizione che, in presenza di una revoca di precedenti provvedimeiti dovuta a sopravvenuti motivi di pubblico interesse… o di una nuova valutazione dell’interesse pubblico prevede l’obbligo di corrispondere un indennizzo che, qualora la revoca vada ad incidere su “rapporti negoziali”, è limitato al danno emergente. Da tale normativa il Collegio ha correttamente tratto due conseguenze: da un lato, richiamando la norma un “obbligo” della pubblica amministrazione, la corrispondente situazione giuridica delle parti private interessate non poteva che essere qualificata in termini di diritto soggettivo ( e non di interesse legittimo); dall’altro qualora tali diritti siano stati sacrificati in modo non consentito dalla legge, la riparazione economica dell’ingiusta lesione… deve avvenire in chiave non di mero indennizzo bensì di vero e proprio risarcimento del danno (p.20). Questa ricostruzione del quadro normativo di riferimento non è stata d’altra parte contestata dalla Regione per quanto concerne la natura dell’atto come accordo di programma quadro disciplinato dall’art. 2 comma 203 della legge 662/1996. Nessuna censura è stata articolata neanche in merito alle conseguenze che il Collegio arbitrale ha tratto, quanto alla situazione giuridica di diritto soggettivo in capo all’impresa, da tale disposizione e da quella contenuta nell’art. 21 quinquies della legge 205/2000; risultano quindi prive di effettiva rilevanza, sotto questo profilo, le considerazioni, rilevanti piuttosto in punto di fondatezza nel merito della domanda, relative al prevalente rilievo che l’originaria attrice avrebbe assegnato, quali eventi dai quali sarebbe derivato il proprio pregiudizio, alla illegittimità degli specifici provvedimenti rispetto ai comportamenti materiali posti in essere dalla Regione. Neanche il terzo motivo .può essere d’altra parte accolto; la circostanza che l’Accordo del 2000 contenesse la regolazione di interessi diversi da parte dei singoli soggetti, pubblici e privati, che l’avevano sottoscritto, e la connessione esistente tra essi non comportava certo un litisconsorzio necessario di tutte le parti dell’atto, in presenza di un addebito di inadempimento mosso dalla società attrice nei confronti della sola Regione e non degli altri soggetti e, in particolare, del Comune di Cagliari. Con il quarto ed il quinto motivo la R.A.S. ha impugnato entrambi i lodi nella parte in cui gli Arbitri hanno ritenuto applicabile, quale norma transitoria dopo l’approvazione del PPR del 2006, l’art. 15 anziché l’art. 49 delle NTA; in tal modo da un lato incorrendo in violazione di norme di diritto, e, dall’altro, pronunziando incontrasto con il giudicato formatosi sul punto con la sentenza 1366/2011 del Consiglio di Stato. Prima di scrutinare la fondatezza dei motivi appare opportuno ricostruire i tempi ed il contenuto delle sentenze dei Giudici amministrativi che si sono pronunziate sul punto, in 1″ ed in 2″ grado, e la motivazione adottata in proposito dal Collegio arbitrale per disattendere i rilievi formulati dalla Regione. Il Comune di Cagliari aveva impugnato il PPR dinanzi al TAR articolando varie censure e sostenendo tra l’altro una illegittima estensione a 50 ettari il vincolo sull’area di cui si controverte; con il motivo n.22 iI’PPR era stato censurato in quanto non prevedeva la salvezza degli accordi di programma e della conseguente disciplina urbanistica; nel giudizio era intervenuta Coimpresa. Il TAR, con sentenza 2241/2007, aveva parzialmente accolto il ricorso del Comune; quanto al motivo n. 22 lo stesso era stato tuttavia dichiarato inammissibile in quanto non indicava I’ atto del quale si chiedeva l’annullamento; il Tribunale comunque affermava: in effetti il piano non si occupa degli “accordi di programma “stipulati tra le amministrazioni interessate per diversi interventi, ma questo può solo significare che gli stessi seguono la disciplina generale che è loro propria a livello statale o regionale e che, sul punto, niente viene modificato o regolato transitoriamente (fino all’adeguamento dei PUC al PPR). In effetti tali accordi, se sfociati in una disciplina urbanistica attuativa sono fonti di posizioni soggettive di vantaggio consolidate e saranno regolati dal regime relativo alla zona su cui i relativi interventi vanno a incidere (pp. 91 e 92 sent.). Impugnata dalla Regione, la pronunzia è stata riformata dal Consiglio di Stato con la già richiamata sentenza 1366/2011. In particolare il Giudice di secondo grado ha statuito: a) che il PPR poteva, ai sensi dell’art. 134 lett. c) del D.L.vo 41/2004 – Codice dei beni culturali e del paesaggio o “Codice Urbani”— direttamente qualificare come beni paesaggistici aree ulteriori rispetto a quelle dichiarate tali in via amministrativa o ex lege; b) che la qualificazione come “bene paesaggistico” presupponeva una valutazione diversa da quella alla base di un mero vincolo di bene culturale”; c) che in questo quadro normativo la Regione aveva correttamente esercitato il potere che le era stato attribuito nel momento in cui aveva perimetrato l’area di Tuxiveddu – Tuvumannu quale area caratterizzata da preesistenze con valenza storico-culturale ai sensi dell’art. 48 delle NTA con conseguente sottoposizione alle prescrizioni dell’art. 49 delle medesime …. e tra queste per la categoria dei beni paesaggistici (prescrizioni consistenti essenzialmente in misure di salvaguardia in attesa dell’adeguamento dei piani urbanistici comunali a! PPR (p.21 sent.); d) che la preventiva attività istruttoria doveva ritenersi correttamente eseguita sulla base della pronunzia resa il 16/10/1997 dalla Commissione Provinciale per la tutela delle bellezze naturali di Cagliari; e) che quindi doveva ritenersi legittimo l’uso concreto della discrezionalità tecnica propria della pianificazione paesaggistica. La questione dell’applicabilità dell’art. 49 delle NTA e la valutazione delle relative conseguenze è stata peraltro diffusamente trattata anche in una più recente sentenza del TAR della Sardegna (n.33/2013) conia quale è stato rigettato il ricorso proposto da Coimpresa avverso la Determinazione dell’1/2/2012 n. 464 che aveva respinto la richiesta della società volta al rinnovo della autorizzazione paesaggistica. Sul punto la richiamata sentenza, dopo avere affermato, all’esito di un articolato percorso argomentativo, che la perimetrazione dell’area era “perfettamente inquadrabile negli artt. 47 e 48 comma i NTA, ha fatto discendere da tale premessa la conseguenza, in modo conforme a quanto già statuito dal Consiglio di Stato con la sentenza 1366/2011, della sottoposizione al regime di salvaguardia previsto dal successivo art. 49, a mente del quale :” i per la categoria di beni paesaggistici di cui all’art. 48 comma i lett.a) sino all’adeguamento dei piani urbanistici comunali al PPR si applicano le seguenti prescrizioni: a)… .;b) nelle aree è vietata qualsiasi edificazione o altra azione che possa comprometterne la tutela (pp.48-49). Il TAR, affermata l’inconferenza dell’art. 15 NTA (pp.52-54) ha poi segnalato, riferendosi alla precedente pronunzia 2241/2007, come – in presenza di una declaratoria di inammissibilità del motivo del ricorso concernente le ricadute del PPR sugli accordi di programma, fossero mere obiter dicta le successive argomentazioni in ordine alla sostanziale irrilevanza, quanto alla persistente efficacia di tali accordi, delle prescrizioni contenute nel PPR(pp. 62 e segg.). Nel corso del presente giudizio la sentenza 33/2013 del Tar è divenuta definitiva, a seguito della pronunzia, da parte del Consiglio di Stato, della sentenza 1183/201 Sentenza n. 2245/2018 pubbl. il 09/04/2018 RG n. 4263/2013 con la quale è stato respinto l’appello proposta da Coimpresa ( allegata alla comparsa conclusionale della RAS). Dalla ricostruzione che precede risultano quindi smentite le affermazioni del Collegio Arbitrale in merito al formarsi del giudicato sulla irrilevanza del PPR quanto alla possibilità, che sarebbe rimasta integra, di dare esecuzione all’Accordo del 2000 (v. pp. 24 e segg. lodo definitivo). Al contrario, allo stato deve ritenersi definitivamente riconosciuta l’applicabilità dell’art. 49 delle NTA, e la conseguente impossibilità di eseguire opere di edificazione all’interno dell’area ricompresa nel Piano Paesaggistico, sino a quando il Comune di Cagliari non avesse adeguato il proprio Piano regolatore (PUC) alle prescrizioni del PPR. La sentenza 1366/2011 risulta in conclusione di particolare rilevanza anche sotto un altro profilo, in quanto, essendo stata definitivamente accertata la legittimità del PPR, resta esclusa la possibilità di configurare la sua adozione quale inadempimento delle obbligazioni assunte con l’Accordo di programma del settembre 2000. D’altra parte gli stessi Arbitri non hanno certo affermato che l’adozione del Piano configurava automaticamente l’inadempimento della Regione rispetto agli obblighi assunti con la conclusione dell’Accordo, nella misura in cui taluni degli interventi previsti in quest’ultimo atto fossero divenuti incompatibili con le prescrizioni del Piano. Al contrario, espressamente disattendendo questa tesi dell’impresa, il Collegio arbitrale ha affermato che in linea di massima si deve ammettere che, pur dopo l’instaurazione di un rapporto di questo genere, l’amministrazione ben possa – esercitando un potere conferitole da/la legge – verificare se il programma negoziale concordato sia ancora conforme all’interesse pubblico e, una volta esclusa tale perdurante conformità, adottare provvedimenti idonei ad incidere negativamente su quel rapporto, fino a sottrarsi all’obbligo di adempiere gli impegni assunti (p.18 lodo definitivo). Gli Arbitri hanno in proposito richiamato, quale “punto di equilibrio” tra gli opposti interessi l’obbligo, gravante sulla Regione, di motivare l’esistenza dell’interesse pubblico che deve risultare “proporzionato” al provvedimento adottato, requisiti che debbono ritenersi nella specie pienamente rispettati, alla luce delle sentenze del Consiglio di Stato sopra richiamate. Solo omettendo di considerare la reale portata della sentenza 1366/2011 del Consiglio di Stato e della 33/2013 del TAR gli Arbitri hanno potuto da un lato non tenere conto della (definitivamente) accertata legittimità del PPR, e, dall’altro, affermare che nonostante l’adozione del Piano fosse possibile il proseguimento del Progetto nei suoi termini originari. Solo in comparsa conclusionale Coimpresa ha introdotto l’argomento secondo il quale, fermo restando che l’applicazione dell’art. 49 NTA non potrebbe giustificare l’inadempimento della Regione, come in punto di fatto accertato dagli arbitri anche in quanto dette disposizioni non rappresentano altro che un provvedimento che la Regione stessa ha assunto e – a posteriori – deciso di realizzare con il preciso intento di precludere l’esecuzione dell’Accordo si Programma ( p. 78 e 79) la disposizione in parola violerebbe il principio di affidamento che la giurisprudenza comunitaria assume quale corollario del più ampio principio della certezza del diritto (p.77). Ha quindi sollecitato l’inoltro di un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea affinchè giudichi della legittimità dell’Ordinamento nazionale italiano nella parte in cui consente che la pubblica amministrazione possa unilateralmente sottrarsi, anche attraverso l’adozione di provvedimenti amministrativi, alle obbligazioni assunte con un accordo formale nei confronti di un soggetto privato, senza essere poi tenuta al risarcimento di tutti i danni lamentati da quest’ultimo (p.77). Rileva in proposito la Corte come, qualora il PPR fosse stato adottato non per tutelare interessi pubblicistici, ma strumentalmente e pretestuosamente, per consentire alla Regione di sottrarsi agli obblighi sorti con la sottoscrizione dell’Accordo, sarebbe ravvisabile un vizio del Piano che non è stato oggetto di impugnazione dinanzi al Giudice Amministrativo né ravvisato dagli Arbitri. In ogni caso, è di tutta evidenza sia la genericità del richiamo alla “giurisprudenza comunitaria” in punto di affidamento, sia una adeguata valutazione del quadro normativo nazionale nel quale il provvedimento si colloca, ed in particolare dell’art. 145 decreto legislativo 42/2004 e, quanto alla tutela di natura indennitaria, dell’art. 21 quinquies della legge 241/1990, come modificato dal decreto legislativo 104/2010. La richiesta di rinvio alla Corte di Giustizia deve essere quindi respinta. Dall’accoglimento del 5″ motivo di impugnazione – che importa i l’assorbimento dei 4″, essendosi il Collegio Arbitrale erroneamente limitato ad attribuire efficacia di meri obier dicta alle affermazioni contenute nella sentenza 1366/2011 in punto di applicabilità dell’art. 49 NTA- consegue che deve essere esclusa la possibilità di ravvisare un inadempimento della Regione nella stessa adozione del PPR, entrato in vigore l’8/9/2006. Con il 6″ motivo di impugnazione (pp. 65 e seggjla Regione Sardegna ha dedotto la violazione degli artt. 1223 e 1227 c.c. in assenza di un rapporto causale tra il proprio comportamento ed i danni subìti dalla società Coimpresa in conseguenza di atti emanati da altri soggetti pubblici (Ministero e Comune di Cagliari). In relazione al 2″ periodo preso in esame nel lodo (4/12/2008 – 31/12/2011) sono stati valutati dal Collegio Arbitrale i seguenti atti o comportamenti omissivi: 1) provvedimento in data 12/9/2008 con il quale il Ministero competente aveva annullato due autorizzazioni paesaggistiche rilasciate dal Comune di Cagliari per le unità residenziali dei comparti Fi e E3 del Progetto; 2) procedimento avviato dal Comune il 16/3/2009 per recedere dal contratto con il quale aveva appaltato alla s.p.a. Safab i lavori della strada di collegamento con la zona del Progetto Parco di Tuxiveddu; 3) decreto 8/7/2010 n. 81 con il quale il Ministero aveva imposto il vincolo storico-artistico sul complesso minerario p industriale ubicato sul colle di Tuxiveddu; 4) determinazione dell’1/12/2012 con la quale l’Assessore regionale aveva deliberato di non accogliere la richiesta di rinnovo dell’autorizzazione paesaggistica presentata da Coimpresa per le opere di urbanizzazione primaria; 5) mancato tempestivo rilascio da parte del Comune della concessione edilizia per il comparto E2, richiesta da Coimpresa sin dal 2006; 6) mancata sollecita approvazione da parte della Regione della sistemazione progettata da Coimpresa ai sensi delle norme sul piano di assetto idrogeologico per ridurre i rischi di frana, valutato favorevolmente dalla Sovrintendenza sin dà [ dicembre 2008. Il Collegio Arbitrale ha ritenuto che dell’intero ritardo la Regione dovesse rispondere in quanto dalla documentazione in atti emergono indici idonei alla conclusione che in tale periodo la Regione… ha continuato a sostenere l’assoggettamento della fattispecie alla disciplina transitoria posta dall’art. 49 delle norme tecniche di attuazione del piano paesaggistico regionale entrato in vigore 1’8 settembre 2006, ritenendo che in conseguenza la concreta attuazione di quel Progetto doveva ritenersi rinviata all’esito di un’intesa di copianificazione, allo stato comunque non intervenuta (p.53 lodo definitivo). Essendo questa tesi, secondo gli Arbitri, infondata, il Collegio ha concluso che le condotte del Ministero e del Comune ,pur inserendosi nella successione dei fatti non hanno reciso il nesso tra i ricordati comportamenti della Regione e gli eventi dannosi costituiti dai ritardi (p.55). La Regione ha contestato la propria responsabilità per atti posti in essere autonomamente da altri Enti pubblici, segnalando in particolare, quanto all’atto sopra riportato con il n.4), come la relazione tecrica istruttoria da essa predisposta fosse stata sostanzialmente favorevole, laddove era stata la Sovrintendenza a formulare un parere negativo di natura vincolante, al quale era seguito il rigetto dell’istanza di rinnovo dell’autorizzazione paesaggistica. La medesima censura è stata articolata anche in relazione al primo periodo in quanto, a partire dalla data di deposito della sentenza del TAR che aveva annullato i primi provvedimenti vincolistici, era venuto meno il “blocco” delle opere (p.70). Il motivo è ammissibile, in quanto con esso, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa di Coimpresa, la Regione non ha contestato in punto di fatto la ricostruzione operata nel merito dagli Arbitri, ma la specifica violazione di norme di diritto, contenute negli artt. 1223 e 1227 c.c. La censura è fondata. Premesso che l’argomentazione degli Arbitri risulta esplicitamente basata sull’assunto della inapplicabilità dell’art. 49 NTA che invece il Consiglio di Stato ha definitivamente ritenuto applicabile, e passando all’esame nel merito della pretesa, rileva la Corte come la Regione non possa essere chiamata a rispondere dei ritardi cagionati all’originaria attrice da provvedimenti emanati, nell’ambito delle rispettive competenze, da altri soggetti pubblici quali il Ministero o il comune di Cagliari. Con riferimento al mancato accoglimento dell’istanza di rinnovo dell’autorizzazione paesaggistica di cui al n.4) Coimpresa non ha contestato, nella propria comparsa di costituzione, l’efficacia vincolante del parere negativo formulato dalla Sovrintendenza, ma ha sostenuto: a) che il provvedimento richiesto avrebbe dovuto solo prorogare il termine di validità dell’autorizzazione; b) che la relazione predisposta dalla Regione aveva una autonoma efficacia causale; c) che tale relazione aveva erroneamente richiamato l’applicabilità dell’art. 49 NTA (p. 50 e segg. comp.cost.). Nessuno degli argomenti sostenuti dalla società risulta peraltro conferente ai fini di poter configurare l’esistenza del nesso causale tra il provvedimento di rigetto adottato dalla Regione, attesa l’oggettiva irrilevanza della prima deduzione e – l’infondatezza delle altre due, fondate su un presupposto – l’inapplicabilità dell’art. 49 NTA e delle preclusioni al proseguimento dell’attività edificatoria da essa dipendente – che, come più volte osservato, deve ritenersi attualmente un principio non più contestabile, alla luce della sentenza 1366/2011 del Consiglio di Stato e delle successive pronunzie del Giudice Amministrativo. Per la stessa ragione deve ritenersi infondato l’addebito mossa dalla società alla odierna impugnante di voler procedere ad una “parcellizzazione” della propria “responsabilità sul blocco dei lavori”, addebito ancora una volta basato sulla assenta inapplicabilità della più volte richiamata disposizione delle note tecniche (cfr. p. 57 comp.cost.). In realtà, oltre a quello appena scrutinato, l’unico comportamento addebitabile anche alla Regione, oltre che ad altri soggetti pubblici, è costituito dalla mancata approvazione, da parte dell’odierna impugnante, del progetto presentato da Coimpresa per ridurre il rischio geologico rappresentato da possibilità di frane. Dalla CTU depositata, peraltro, risulta che tale rischio aveva determinato la necessità di discostarsi dall’originario progetto, e che il ritardo non era dipeso dalla inerzia della Regione, ma dalle eccezioni sollevate dall’arch. Garzillo in rappresentanza della Direzione Regionale per i’Beni Culturali e Paesaggistici della Regione (p. 241) di guisa che solo qualora tali eccezioni fossero risultate pretestuose – ma l’assunto non è stato provato e, in realtà, neanche allegato – sarebbe ravvisabile un comportamento configurabile quale inadempimento della RAS. Quanto ai comportamenti materiali tenuti da componenti la Giunta e dirigenti della Regione che, secondo l’attrice, avrebbero configurato autonome fattispecie Sentenza n. 2245/2018 pubbl. il 09/04/2018 RG n. 4263/2013 di inadempimento, dagli atti depositati risultano esclusivamente dichiarazioni con le quali i soggetti in questione avevano difeso l’adozione del PPR e manifestato l’opinione, rivelatasi fondata, secondo la quale l’approvazione del Piano era incompatibile con la realizzazione del Progetto secondo i termini originariamente previsti. In conclusione il risarcimento non può che essere limitato all’unico provvedimento risultato illegittimo e che aveva determinato un ritardo nei lavori, vale a dire quello di sospensione dei lavori, emanato nell’agosto del 2006, e quindi prima della entrata in vigore del PPR – l’8 settembre di quello stesso anno – dichiarato illegittimo dal Giudice Amministrativo. Con l’adozione del Piano Regionale e della disposizione transitoria di cui all’art. 49 NTA, peraltro, l’esecuzione di lavori di edificazione all’interno dell’area inserita nel piano era divenuta irrealizzabile. Ne deriva che indipendentemente dalla perdurante efficacia – sino all’annullamento avvenuto con le sentenze del TAR del febbraio 2008, confermate dal Consiglio di Stato nel successivo mese di agosto 2008 – di questo e degli altri provvedimenti cautelari illegittimi, l’edificazione era stata comunque impedita dalla intervenuta approvazione della misura transitoria di salvaguardia, sino a quando il Comune di Cagliari non si fosse dotato di un Piano regolatore conforme al PPR. Deve quindi escludersi che, con riferimento al periodo successivo all’8/9/2006, sia ravvisabile un nesso causale tra l’emanazione dei provvedimenti regionali successivamente annullati ed il blocco dei lavori all’interno dell’area oggetto del vincolo paesaggistico. La Regione Autonoma della Sardegna deve essere ritenuta responsabile solo per i giorni di ritardo compresi tra il 9/8/2006 e l’8/9/2006. Tenuto conto che per ogni giorno di ritardo è stato calcolato un pregiudizio della società Coimpresa pari ad € 38.900,00, la Regione deve essere condannata al pagamento dell’importo complessivo di € € 1.205.900,00 (€ 38.900,00 x 31 giorni). L’esito complessivo della lite ed I termini contenuti nei quali la domanda è stata accolta rispetto alla originaria pretesa inducono la Corte a compensare tra le parti le spese del presente giudizio (cfr. Cass.21069/2016) e di quelle del procedimento arbitrale (cfr. Cass. 891972012). La Corte, definitivamente pronunziando sull’impugnazione proposta dalla Regione Autonoma della Sardegna avverso il lodo non definitivo depositato il 16/6/2011 e quello definitivo depositato il 23/4/2013 nella controversia tra la s.r.l. Nuova Iniziative Coimpresa s.r.l. e la Regine Autonoma della Sardegna, così provvede: 1) in accoglimento dei motivi 5 e 6 di impugnazione, dichiara la nullità parziale dei lodi; 2) condanna la Regione Autonoma della Sardegna a pagare in favore di Nuova Iniziative Coimpresa s.r.I. a titolo di risarcimento del danno l’importo complessivo di € 1.205.900,00 oltre interessi, nella misura legale, decorrenti dalla domanda; 3) compensa integralmente tra le parti le spese del procedimento arbitrale e quelle del presente giudizio di impugnazione. Così deciso nella camera di consiglio del 27/6/2017.
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