Gli spazi Trans- Mediterranei contemporanei à vol d’oiseau. Una doverosa premessa (I) [di Mario Rino Me]
Rivista Marittima, edizione Marzo 2 Parlando di MEDITERRANEO …..Come detto in varie occasioni, la visione di Fernand Braudel, ci ha reso consapevoli del fatto che il Grande Mare, o Mediterraneo Allargato, é un vasto insieme di spazi strategici, marittimi e terrestri; essa ha trovato conferma anche nel mondo contemporaneo sempre più spumeggiante e confuso, dove gli schemi della globalizzazione con il sottostante dell’interdipendenza, hanno allargato il suo perimetro ben oltre la distesa marina. In effetti, il vecchio “Mare tra le Terre” è divenuto l’epicentro di uno spazio in subbuglio di notevole profondità strategica [1]. Questa prospettiva, tradotta sulla carta, ci porta dunque a considerare un Mar Mediterraneo, composto da diversi bacini, così identificati: un Mediterraneo Atlantico [2] degli approcci Euro-Africani definito dal perimetro che racchiude le sponde euro-africane e le isole Azzorre e Canarie, un Mediterraneo Occidentale e un Mediterraneo Orientale separati dalla penisola Italiana -“asse meridiano[3]”-, un Mediterraneo Rosso, uno Nero e, infine, quello Arabo Persico. A loro volta, essi sottendono una successione di paesi con il loro entroterra: lo spazio trans- e cis-Mediterraneo, considerata la presenza di attori esterni, é dunque un insieme geostrategico. In effetti, se consideriamo che la geopolitica (essenzialmente lo studio di chi siamo e dove vogliamo andare) entra in scena quando una regione dello spazio terrestre è oggetto di controversie o di conflitto tra poteri, associabili non esclusivamente a entità statuali ma anche a movimenti o gruppi politici (clan, gruppi armati o tribali). Oggi, nella realtà contemporanea di una geografia di rischi intrecciati e transnazionali, si sente più che mai l’esigenza di ampliare l’indagine e dunque la prospettiva, con un ventaglio di strumenti conoscitivi. Ancor più dove i confini sono divenuti più porosi e quindi labili. In breve, la sicurezza del bacino del Mediterraneo dipende anche da ciò che accade anche nella successione dei suddetti mari adiacenti; il che porta alla costituzione di prossimità, che portano i paesi attigui a occuparsi e preoccuparsi di ciò che accade in quelle contrade. Certo, come in tutte dinamiche anche socio-politiche, c’è un limite, la cui definizione porta a identificare i fattori. Nel caso del Mediterraneo dobbiamo quindi enucleare quelli che possono incidere, anche con i loro intrecci, sulle coste del suo perimetro geografico, anche se l’origine è ubicata in paesi al di fuori di esso. La mappa geopolitica è dunque allargata, al punto di dare al Mare Nostrum “un vétement démesuré[4]”; di conseguenza, le linee guida afferenti la politica estera e la sicurezza vanno adeguate alle nuove realtà. Ecco perché mi sembra che la geopolitica Mediterranea, con la sovrapposizione delle mappe della geografia politica (la rappresentazione statica delle cose ) e della geopolitica, cioè la dinamica in divenire, debba tener conto e integrare tutti i fattori che potrebbero avere implicazioni dirette su uno o più paesi del Mediterraneo, ivi incluso il ruolo degli attori esterni. Del resto, qualsiasi strategia generale, o globale che dir si voglia, dopo aver analizzato pericoli e minacce, non può fare a meno di definire il raggio d’azione delle sue forze di azione esterna (diplomatiche, militari, economico-culturali ecc.). Di conseguenza, si deve poter intervenire, anche con le limitazioni del caso, dove si hanno interessi prioritari. La situazione del Mare Nostrum à vol d’oiseau. Quello che viviamo quotidianamente nel Mediterraneo, visto nell’accezione completa del “Grande Mare”, altri non è che il prodotto di una crisi senza precedenti che avvolge in modo particolare la geografia artefatta degli Stati del Vicino e Medioriente dopo la fine dell’Impero Ottomano. Nelle sponde orientali e meridionali, i vecchi rais che assicurarono una apparente stabilità in nome della quale furono avviate linee di cooperazione Nord-Sud, una volta rimossi appartengono alla storia del passato recente, ma le tre vecchie linee di frattura, (politica, economico-sociale e demografica) sono rimaste in piedi e, dopo un periodo di oblio, si riaccende anche la vertenza della madre di tutti i problemi, cioè la pluri-decennale disputa israelo-palestinese, tornata di colpo alla ribalta. Senza poi trascurare la linea di faglia della competizione nel mondo musulmano, riaccesa nel 1979 con la rivoluzione Komeinista in Iran e la deriva wahhabita in Arabia Saudita in esito all’attentato alla grande moschea della Mecca, che. nell’aggregato, è divenuta, nelle parole di un mio maestro all’École Militaire, l’Amm. J. De Lanxade , “la montée de l’Islam”. Ora la stessa geografia del Levante e del Medioriente, che abbiamo conosciuto, potrà essere verosimilmente soggetta a modifiche. Emblematico il caso dei Curdi che hanno aiutato sul terreno la coalizione anti-ISIS, a traino USA, a combatterlo efficacemente: una tematica ricorrente sin dagli anni 20 del secolo scorso con la creazione degli Stati Mediorientali, tornata a galla nel 1988, alla fine della sanguinosa guerra tra Iran e Iraq. Già da allora ci si rese conto che le vecchie rivendicazioni curde, superata la fase dell’evoluzione sociale, si sarebbero potute estendere a macchia d’olio nell’area[5]. Dinamiche contemporanee. Il paese già simbolo del mondo Arabo, l’Egitto, è alle prese con una insurrezione strisciante nella Penisola del Sinai, in specie nelle zone sottosviluppate del Nord, dove sin dal 2014 vige uno “stato di emergenza”. Il governo Al Sisi, che a quanto dicono le cronache tratta con sdegno e arresti di massa le comunità Beduine locali, combatte l’insurrezione con metodiche da soluzione” militare” senza venirne a capo; morale: sono stati registrati più di 130 attacchi nel solo primo trimestre del 2017 [6], i cui obiettivi di natura religiosa, prima esclusivamente cristiani, includono ora anche gruppi religiosi musulmani considerati apostati, i Sufi. Il caso della Libia è emblematico dello stato di confusione e fragilità, che si avvicina sempre più all’Europa: in particolare, il perdurare della frammentazione dei gruppi in lotta, ha indotto il nuovo rappresentante speciale Hassan Salamé a orientarsi verso la rinegoziazione dell’Accordo Politico siglato tra le parti nel Dicembre 2015 in Marocco, appena scaduto. L’ONU dunque rilancia il processo di pace, cercando di facilitare un “dialogo sulla sicurezza”, di cui è stato presentato un relativo piano d’azione, in modo da portare le parti dal terreno di scontro al tavolo negoziale [7]. Il problema deriva dal fatto che, nonostante le forti ingerenze di attori esterni, si continua a cercare una soluzione locale tra le forze all’interno del paese da far convergere verso il governo riconosciuto. Per questo, si assiste da tempo al confronto tra due governi e potentati locali [8] e per un pò, sempre in nome della stabilità, si è accarezzata una prospettiva che l’ex Commissario UE, prof R. Prodi ha definito “paradossale”: si è rimosso un dittatore e, per rimediare all’instabilità, “se ne prospetta un altro”[9]. Sul terreno, la situazione ha registrato un peggioramento al punto di rendere ineludibile qualche cambiamento di rotta. Infatti, gli attentati del gennaio 2018 a Bengasi, che hanno coinvolto personaggi dei servizi di sicurezza, hanno leso il prestigio del Gen Haftar, che aveva più volte dichiarato di aver sconfitto gli integralisti. Dunque, la lotta tra le milizie continua e non si intravedono soluzioni politiche. Del resto, un’ampia letteratura dimostra che le guerre intestine sostenute dall’esterno sono difficili da combattere e vincere. In Siria, la guerra civile, che dilania il paese dal 2012 e che ha causato oltre 400.000 vittime civili, 4,8 milioni di rifugiati e 6,3 milioni di sfollati all’interno del paese[10], è tornata alla ribalta e fa ora da sfondo per una ulteriore crisi aperta su due nuovi fronti: tra Siria e Turchia , e tra Iran e Israele. Proprio la questione della guerra civile in Siria si configura come il tornante della rilevanza delle Nazioni Unite: a differenza di quanto avvenuto per l’intervento in Libia nel 2011, l’intervento esterno non si è potuto concretizzare per la Siria, per la netta opposizione della Russia e della Cina. Fatto questo riconducibile all’interpretazione del mandato, “uso della forza per la protezione dei civili” come sottolinea J. M. Guéhenno, che, in Libia, ha provocato la caduta del regime, ma non ha provveduto a colmare il vuoto che ne è risultato, peraltro previsto dalle clausole dell’istituto della “Responsabilità di Proteggere[11]”. Esso prevede infatti anche la “responsabilità di ricostruire“, che suona come “chi rompe paga” (you break, you buy). Da qui l’estrema riluttanza Occidentale a intervenire[12], in specie USA, si spiega con il timore di rimanere impelagati nel groviglio mediorientale dopo interventi e lavori ancora in corso in quelle contrade. Negli interventi umanitari si è visto che il rischio di rimanere impelagati nelle questioni regionali e locali è divenuto concreto, se non proprio la norma. Il che è all’origine di un ripensamento sul paradigma di intervento militare, basato su telearmi in tandem con forze speciali in sostegno a quelle locali.(Continua) *Ammiraglio di Squadra (r) **Foto: Corriere.it Bibliografia [1] Vedi saggio autore Il caleidoscopio dei Mediterranei, Lug-Agosto 2017 [2] Non a caso sia la Mauritania che il Portogallo si considerano Mediterranei al punto di aderire all’Iniziativa Euro Maghrebina del 5+5. [3] Citato Fernand Braudel, pag 17. L’autore prosegue “e’ lì che il paese trova il suo destino…. [4] Citato F Braudel , La Méditérranée, pag. 48. [5] Yves Lacoste (sous la direction de) Dictionnaire de Géopolitique, Flmmarion, Paris, pag. 888-889. [6] Mona Eltahawi, Egypt is failing to deal its Sinai insurgency, NYT , Nov 24, 2017. [7] Restoring UN leadership in Libya’s Peace Process , https://www.crisisgroup.org/middle-east-north-africa/north-africa/libya/restoring-un-leadership-libyas-peace-process [8] Come negli scontri tra milizie all’aeroporto di Tripoli del 15 genn.2018. w.corriere.it/esteri/18_gennaio_15/libia-attacco-aeroporto-tripoli-cdec0380-f9de-11e7-b7a0-515b75eef21a.shtml [9] Romano Prodi, Dopo aver eliminato Gheddafi ora speriamo in un nuovo Dittatore, Il Messaggero 19 Nov. 2017 [10] Vedi SIPRI Yearbook 2017, pag. 4, ttps://www.sipri.org/sites/default/files/2017-09/yb17-summary_ita.pdf [11] Jean Marie Guéhenno, The Fog of Peace, The Brookings Institution, Washington D.C. 2015, pag310 [12] Vedi saggio autore , Il dilemma mediterraneo: contenere o affrontare i conflitti in atto?, Osservatorio Strategico 2016, Edizione Speciale, Il Ritorno della Geopolitica, |