Gli spazi Trans- Mediterranei contemporanei à vol d’oiseau. Una doverosa premessa (II) [di Mario Rino Me]
In Turchia, intanto, si è assistito al progressivo rafforzamento dell‘attuale sistema di governo, che persegue in politica estera direttrici autonome che iniziano a impensierire l’Alleanza Atlantica, come l’annuncio di acquisizioni di sistemi antimissile russi e il recente intervento (19 genn, 2017) contro le milizie curde di protezione popolare della regione, nel saliente di Afrin, nel Nord Ovest della Siria, armate e sostenute (anche sul terreno) dagli USA. Daesh, nonostante la perdita del territorio madre in Siria e Iraq, oramai confinato a poche chiazze, ha conservato la capacità di riconfigurarsi che gli consente di continuare a infliggere colpi bassi su svariati fronti, anche attraverso i cosiddetti Revenants (foreign fighters) e i soliti “lupi solitari” in loco. A prescindere dalle singole situazioni, tutti i paesi, rivieraschi e non, hanno a fattor comune la lotta contro l’estremismo religioso, espresso dal jihadismo sunnita che sia il sedicente Stato Islamico, oppure al Quaeda o altri gruppuscoli residuali, come AlNusra. In un mondo “fuori controllo [1]”, dove regna la confusione, come dicono tante fonti aperte, per tanto tempo diversi attori hanno combattuto e, al contempo, sostenuto finanziariamente, grazie a una giurisdizione permissiva, l’estremismo religioso, alla “fighting while funding”[2], verosimilmente, e cinicamente, per esserne risparmiati. Col nuovo corso politico Saudita, quel sostegno di prima, sarebbe venuto meno[3], ma come osserva un opinionista, rimangono le sfide per un paese che “produce, sponsorizza, dà rifugio e alimenta l’Islamismo che mina le sue stesse fondamenta e il suo futuro”[4]. Dal canto suo, il Consiglio di Cooperazione del Golfo, portato sino a qualche lustro fa come esempio di integrazione riuscita, rischia ora di venir meno, quando, dallo scorso mese di giugno, l’Arabia Saudita del nuovo erede al trono, principe Mahammed Bin Salman (noto come MBS), sostenuta da alcuni vicini di peso come gli Emirati Arabi Uniti (EAU) e l’Egitto, ha rotto le relazioni diplomatiche ed economiche con il Qatar, reo di sostenere il terrorismo, ma soprattutto per le sue relazioni di buon vicinato e d’affari, con l’Iran. Tuttavia, la rapidità delle linee politiche sul fronte interno, nonché l’ambizione per un nucleare potenzialmente duale [5]) e dell’estero vicino (come l’incoraggiamento alle tanto discusse dimissioni del premier Libanese H. Hariri [6], poi rientrate, e l’accordo senza precedenti con Israele sullo scambio di dati di intelligence in funzione anti-iraniana, iniziano a dar adito a timori di destabilizzazione della regione. In effetti, i risvolti degli interventi di inizio secolo hanno indotto forti tensioni nei vecchi equilibri, una volta ritenuti consolidati e tanta agitazione in casa Saudita può rivelarsi costosa e foriera di contraccolpi, tanto più se si considera l’impantanamento saudita e degli USA nello Yemen, ridotto sull’orlo di una catastrofe umanitaria. Questa complessità e diversità di situazioni rende difficile un approccio globale delle crisi e dei conflitti che, affrontate impropriamente, non evolvono verso scenari di pace. In effetti la caduta del sedicente Stato Islamico nelle sue roccaforti non ha avviato un irreversibile cammino verso la stabilizzazione dei paesi assoggettati, in quanto lo stato di tensione del vicinato, se non opportunamente governato, può essere foriero di altri conflitti. Di fatto, nelle continue giravolte di tweet, la Presidenza ha dato l’impressione di trovarsi, al momento, in fase di ritiro dall’esercizio della leadership planetaria, e di decidere e agire d’istinto. Aspetto, quest’ultimo, reso manifesto dalla scelta di campo nella querelle contro il Qatar, definita la riedizione di “una disputa tribale”, sorvolando su aspetti, non secondari, come ad esempio il fatto che proprio in quel paese messo all’indice, gli USA hanno la maggior base militare della regione (Al Udeid). Per un verso, tanta agitazione in casa Saudita può rivelarsi costosa e foriera di contraccolpi, dall’altro, proprio lo spettro della crescente influenza iraniana crea un allineamento tra le politiche di USA, Israele e Arabia Saudita, al punto di apparirne condizionate. Proprio la soglia della presenza militare iraniana nel sud della Siria – e conseguenti attività, ha già innescato pericolosi interventi cautelativi israeliani[7], rendendo la crisi siriana alquanto complessa per la molteplicità dei fronti. Di certo, a fronte degli intenti , non tanto cristallini degli onnipresenti attori esterni (per gli USA, protettorato al fine di giustificare le, tante, risorse profuse? la loro permanenza? ) ci troviamo di fronte a un busillis. Le forze regolari siriane, che, di fronte all’avanzata dell’Isis, avevano lasciato il campo alle milizie curde dello YPG, sono intervenute a loro sostegno contro le forze turche, impegnate nell’operazione “ramo d’ulivo” (sic). Queste intendono recidere i possibili collegamenti e sostegno da parte delle forze vicine dei Curdi turchi, appartenenti al PKK, considerato terrorista dalla Turchia. Se, da un lato, l’Iran pare oramai intenzionato a consolidarsi nella geopolitica Mediterranea, dall’altro, i ruoli sempre più netti degli altri attori esterni hanno il potenziale di trasformare il la guerra civile, di fatto conflitto internazionale armato, in Guerra tradizionale tra Stati. Peraltro, la traiettoria della Turchia appare alquanto singolare, da case study: da polo di riferimento dei movimenti sunniti, come la Fratellanza, con strizzate d’occhio anche alle frange radicali, a svolte autoritarie e ragion di stato (ottomano con eccessi fino a quella che è stata chiamata “ottomania[8]). Come già osservato col fenomeno della proliferazione, anche per lo sviluppo dei movimenti del terrorismo, sia esso sciita che sunnita, si constata l’azione della longa manus degli Stati. Su questa tela di fondo caotica nelle sponde Meridionali e Orientali, sia l’ONU che l’intero Occidente, si sono dimostrati impotenti: di fatto il sistema multilaterale è caduto en panne. Per contro, l’intervento della Russia, alla deus ex machina [9], nel ginepraio siriano in soccorso del regime Assad, ma anche, e soprattutto, in difesa dei suoi interessi in zona, la ripropone come attore globale, sia nella sfera militare che in quella politica e diplomatica, riuscendo ad essere l’unico a intrattenere rapporti con i membri dell’altra coalizione a guida USA. In questo nuovo quadro geopolitico, una “Alleanza non Santa[10]” per dirla con il citato J.M. Guéhenno, composta da Iran-Russia e Turchia, convocando le parti della lunga guerra civile in Siria, ad Astana, ha inteso presentarsi come foro ristretto in sostegno alla debole azione delle NU a Ginevra. E’ bene osservare in proposito che questa intesa appare geo-politicamente fittizia e dunque fragile dal punto di vista strutturale. La stesso vale anche per l’intesa tra il Governo di Accordo Nazionale e le tribù del Fezzan, facilitata anche dal mediatore del Pres. Putin, che, oltre alla stabilizzazione della situazione socio-politico-economica nel Sud, strumentale al contrasto dell’economia parallela dei traffici illeciti di esseri umani, mira alla riconciliazione del paese. Le varie mosse fatte dalla Russia nei vari focolai di conflitto (dalla Siria alla Libia), sono indicatori di una strategia di rientro da protagonista in uno scenario, in cui la posta in gioco è rappresentata dall’influenza sulla Regione. In questo novo quadro, la visita di Re Salman d’Arabia a Mosca, equivale a una presa di coscienza della nuova realtà[11]: affari nel campo petrolifero e, verosimilmente, qualcos’altro in materia di assetti regionali. Come per la Libia, la Russia, si colloca dunque in una posizione di privilegio con le parti in causa: con i suoi buoni legami con tutti gli attori che combattono contro lo IS, fatti salvi (ufficialmente) gli USA, Mosca dunque intende cogliere, pertanto, i frutti del ruolo di mediatore, credibile ed efficace in tutti i dossiers mediorientali. Le percezioni, come sempre detto, contano molto nelle Relazioni Internazionali, scienza “molle” per definizione. Qualunque sia l’esito finale, questo stato delle cose è emblematico di una tendenza a un cambiamento di scenario, che va al di là del perimetro regionale, un po’ come se USA e UE avessero perso la presa sulle questioni mediorientali. In effetti, l’arrivo di D. Trump alla Casa Bianca, non ha contribuito a migliorare questa situazione: rompendo gli schemi del formalismo diplomatico, e senza consultarsi con gli Alleati, il Presidente ha inferto una stoccata al sistema multilaterale (annuncio il 6 Dic. dello spostamento dell’ambasciata a Gerusalemme, con conseguente riconoscimento della città simbolo come capitale dello Stato di Israele e contestuale rinvio del trasloco [12]). Ma, la mossa di glissare sulla soluzione “due popoli –due stati” ha suscitato una tempesta nelle capitali: in specie Ankara e Parigi e Bruxelles[13]; tanto che anche re Salman d’Arabia, reagendo in condizioni di consequence management [14], ha dovuto rispolverare la vecchia posizione saudita, in base alla quale i palestinesi hanno diritto a proclamare Gerusalemme Est come loro capitale”[15]. Se da un lato, accontentando ambo le parti, Mosca mostra le credenziali di mediatore credibile, dall’altro, il Grand Problème israelo-palestinese sembra quindi destinato a una tormentata e risoluzione, cui si vengono ad aggiungere le divisioni sulla questione del nucleare iraniano. USA e sostenitori lo ritengono un brutto accordo, ma nel costume delle Relazioni Internazionali, non si può non rilevare che anche un brutto accordo è meglio di un non-accordo. Poi, l’altro problema delle istanze dei Curdi: qui appare difficile dire no a chi chiede, nuovamente, ma con tanto di crediti, la creazione di quello che venne concesso alle Comunità Ebraiche con la Dichiarazione di “simpatia” di A. Balfour nel 1917: “una casa comune” (homeland )[16]”, peraltro già riportata nelle vecchie carte geografiche come Kurdistan, dove riunire i gruppi separati del loro popolo in 4 Stati diversi. Anche la questione Curda, visto il loro consolidamento nel Nord della Siria a Est dell’Eufrate, riguarda dunque il Mediterraneo, data la sua presenza nei dossier della Turchia, ma anche di Iran e Iraq. Non a caso, i tre sono decisamente contrari all’ indipendenza del Kurdistan. Di fatto, queste istanze di rettifica di Atti Internazionali non tengono conto delle reazioni degli attori della politica internazionale, sempre più attenti alla stabilità, funzionale ai propri interessi, che, a seconda delle circostanze, prevalgono su altre considerazioni. E qui viene in mente un celebre aneddoto del grande generale D. Eisenhower che suona così :”chi mette i propri interessi davanti ai propri principi , presto perderà entrambi”. In breve, in un mondo dove il mancato rispetto delle regole, lo avvicina, di fatto a una situazione di caos, che, come nel periodo di chiusura della stagione venatoria, lascia ampi spazi al bracconaggio (peraltro eseguito con strategie raffinate), si registra una crescente opposizione internazionale a ulteriori divisioni della mappa geografica. I combattenti Curdi che abbiamo ammirato a Kobane, potrebbero essere dimenticati, se non proprio, sacrificati dall’ambiguità dei protettori. Di fronte al realismo della politica, appare difficile conciliare i diritti di popoli con le esigenze di sovranità, e dunque interessi, dei più forti. Di fatto, il sistema multilaterale Onusiano, così come è stato congegnato, appare bloccato di fronte all’esigenza di esercitare la giustizia politica. Per il momento i combattimenti, e le stragi di civili, in loco aumentano, anche perché le parti in causa, in vista di accordi, tendono ad accelerare i ritmi operativi per acquisire posizioni di vantaggio. Per questo, gli accordi di cessate il fuoco, come l’ultimo raggiunto il 24 febb. 2017 in sede NU che, tuttavia, lascia margini per la sua applicazione, sono ripetutamente violati. Se, da un lato, la Siria è il terreno di scontro dei grandi padrini (Russia e Usa che vi giocano investimenti e prestigio), dall’altra, in Libia il ruolo dei due appare marginale. Qui infatti, forse per stanchezza, la diminuzione della violenza degli scontri e la presenza di cluster di zone stabilizzate come a Misurata[17], modello da cui partire per una ricostruzione generale, si abbina a tentativi di dialogo tra le parti in causa (governi, città , milizie, tribù). Forse è un’occasione da cogliere prima che la componente legata ai traffici assuma una massa critica tale da rendere la situazione irreversibile. In definitiva, quando le ex superpotenze restano in disparte, le cose possono migliorare. Proprio allora si offrono grandi opportunità (alla UE?). Fatto sta che dopo la chiusura delle porte della UE, la Turchia iniziato a seguire la predetta linea di tendenza che pare accomuni le forti leaderships: la predilezione delle relazioni bilaterali rispetto a quelle con organismi multinazionali. In questi consessi le relazioni interessano vari dossier : con la UE, ad esempio, si tratta anche su diritti umani, stato di diritto, libertà individuali. Da qui la scelta del più facile bilaterale. (Continua) *Ammiraglio di Squadra (r) [1] JeanMarie Guéhenno, citato “The Fog of Peace”, pag 268-288. [2] The editorial Board , fighting while funding the extremism, New York Times, June 19-2017 [3] In una mail del 2014 , leaked , H. Clinton parla di Qatar e Arabia che danno “sostegno clandestino finanziario e logistico all’ISIL e altri gruppi radicali sunniti nella regione” , Carlotta Gall, Saudis bankroll Talibans even as King officially supporyt Afghan Gov, NYT Dec 6, 2016, Nel febbraio di quell’anno il governo emana una legge che definisce il terrorismo come un atto con un movente criminale che mina o mette in pericolo l’ordine pubblico e mette al bando il sostegno logistico-finanziario (http://www.bbc.com/news/world-middle-east-14703523). [4] Kamel Daud, If Arabia Reforms, what happens to Islamism elsewhere?, NYT, Nov 16, 2017. Nella vignetta, opera di un vignettista noto sotto lo pseudonimo di “le Hic” (https://www.presse-dz.com/caricatures-algerie/larabie-saoudite-luttant-contre-le-terrorisme ) il sovrano annuncia la lotta al terrorismo puntandosi la pistola alla tempia [5] alcune delle quali interpretate di facciata (decapitazione dei vertici militari, guida alle donne, lotta alla corruzione ) Verosimilmente per far fronte allo scenario di un Iran dotato di armamento nucleare [6] Ben Hubbard and David Kirkpatric, The upstart Saudi Prince who’s throwing caution to the winds, NYT Nov 14, 2017 [7] Davide Frattini , Caccia Israeliano abbattuto in Siria ”pronti a reagire”, CorSera 10-2 2018 [8] Dan Bilefsky, Turkey Reveling in its past, NYT dec 4 2009 [9] “Whirlwind” titola il NYT, 11 Dec 2017( Whirlwind Putin’s tour highlights Moscow’s new Reach in Mideast, Neil Mac Farquar and Anne Barnard) [10] Citato The Fog of Peace di Jean Marie Guéhenno, pag 287. [11] Paolo Valentino, Così il Cremlino fa affari con Riad, Corriere della sera 6 ott. 2017 [12] In pratica come hanno fatto i suoi predecessori dal 1995, Considerato che, come affermano gli esperti, ci vorranno tecnicamente 4 anni per porla in essere, in caso di mancata conferma dell’attuale Presidente alle prossime elezioni del 2020, il nuovo potrebbe dunque annullare la decisione. [13] Il vertice straordinario della Conferenza Islamica di Cooperazione convocato a Istanbul il 13 Dic., ha riconosciuto all’unanimità Gerusalemme Est come capitale dello Stato di Palestina (Marco Ansaldo, Turchia Summit Paesi Islamici-dichiariamo Gerusalemme capitale dello Stato di Palestina, La Repubblica 14 Dic. 2017). Su questa posizione , si era già pronunciata la Russia del Pres. Putin sin dal precedente mese di aprile, sostenendo pertanto il processo di pace sotto la regia delle Nazioni Unite, con Gerusalemme Est come capitale dello Stato Palestinese, https://www.haaretz.com/israel-news/1.782109. Se il Pres R. Erdogan, che l’ha convocata, ha parlato di “Linea Rossa per i Musulmani (http://www.aljazeera.com/news/2017/12/erdogan-jerusalem-status-red-line-muslims-171205070449352.html), il Presidente Macron nell’imbarazzo generale del Vecchio Mondo , ha qualificato la decisione come “deplorevole.. irresponsabile nonché “pericolosa minaccia alla pace”, al punto di chiedere un ripensamento sulla strategia intrapresa(http://www.lemonde.fr/proche-orient/article/2017/12/06/macron-juge-regrettable-la-decision-de-trump-de-reconnaitre-jerusalem-comme-capitale-d-israel_5225828_3218.html [14] L’erede al trono saudita risulta aver subordinato una proposta congiunta al placet palestinese. [15] http://www.dailymail.co.uk/wires/afp/article-5175059/Palestinians-right-Jerusalem-capital-Saudi-king.html [16] http://www.history.com/this-day-in-history/the-balfour-declaration [17] Oltre alle missioni della Marina, sia per l’UE, che nazionali /umanitarie , si segnalano l’assistenza e il supporto sanitario, le attività di supporto umanitario, la formazione, l’istruzione, la consulenza, l’assistenza e il tutoraggio per le forze di sicurezza libiche (come la Guardia Costiera) e le istituzioni governative. Un ospedale Role2 dell’Esercito ha operato fino al 31 dicembre 2017 a Misurata. Per venirne a capo , è comunque necessario un enorme sforzo, |