Il ritorno degli ottimati [ di Nicolò Migheli]
Un noto giornalista scrive su La Repubblica: Il pupulismo è prima di tutto un’operazione consolatoria, perché evita di prendere coscienza della subalternità sociale e della debolezza culturale dei ceti popolari. Il popolo è più debole della borghesia, e quando è violento, è perché più cerca di mascherare la propria debolezza, come i ragazzini tracotanti che fanno la voce grossa con i professori per imitazione di padri e madri ignoranti, aggressivi, impreparati alla vita. Vorrebbe essere una riflessione sull’insegnante bullizzato di Lucca; scritta il 20 aprile del 2018 e non del 1888. Berlusconi dopo il rifiuto del M5S di trattare con lui afferma che gli italiani hanno votato male, non secondo la sua razionalità. Viviamo un tempo di democrazia assediata, fuori dall’Europa imperano autoritarismi come quelli russi e anticipi di totalitarismo in Turchia. Il populismo- categoria vaghissima che dovrebbe includere i nazionalismi cripto fascisti polacchi e ungheresi, la Brexit, Marie Le Pen, la Lega e l’M5S, l’AFD tedesco, Trump, fino agli indipendentisti catalani- è il nuovo spettro che si aggira per l’Europa. Un miscuglio di movimenti, umori e rancori che spaventa l’élite europea che più che classe dirigente è diventata dirigente di una classe: quella degli inclusi, di chi ha saputo cogliere le opportunità della globalizzazione economica, di chi ha studiato e ha potuto utilizzare i legami familiari e i suoi rapporti di classe. Sì, di classe, per garantirsi migliori opportunità. Il tutto condito con il mito della meritocrazia. Però se interi gruppi sociali vengono esclusi dalle opportunità di base di che meriti cianciamo? D’altronde sono vent’anni che in luoghi come la Sardegna la mobilità sociale data dagli studi è sostanzialmente scomparsa. Senza uguaglianza non vi è democrazia, sostiene il prof. Settis in un articolo rilanciato da Sardegna Soprattutto. Però l’uguaglianza così cara agli illuministi e ai marxisti è stata scientemente esclusa, sacrificata all’altro mito del nostro tempo: quello della competizione. Società che accrescono il numero degli emarginati che poi producono scelte elettorali conseguenti. Ogni tempo ha il suo ideologo e anche questo l’ha trovato. L’università della Confindustria, la Luiss, pubblica Contro la democrazia del politologo Jason Brennan docente nella Georgetown University. Lo studioso sostiene che la democrazia è stata sopravvalutata, produce risultati inattesi, il corpo elettorale è determinato da individui manipolabili. Ad esempio la Brexit, causata dalla falsa notizia dei 350 milioni di sterline risparmiati che sarebbero stati destinati al sistema sanitario britannico. Per cui non più democrazia, governo del popolo, bensì epistocrazia, il governo di chi sa e conosce. Secondo Brennan ci sarebbero tre tipi di elettori. Gli Hobbit, che non sanno e non vogliono sapere, che non votano e quando lo fanno agiscono d’impulso sulla base di informazioni sommarie apprese in più luoghi. Le reti sociali e la tv sarebbero gli spazi preferiti di documentazione. Gli Hooligan, i tifosi, militano in un partito, zoccolo duro ideologico che vota sempre. Infine i Vulcaniani, i razionali, quelli che sanno, interessati al bene comune, consapevoli delle compatibilità, immuni alla false promesse. Quelli che una ventina d’anni fa venivano definiti ceto medio riflessivo. Stando così le cose, secondo il politologo americano, bisognerebbe istituire dei metodi di selezione degli elettori e solo chi ha fatto certi studi, o dimostra di conoscere bene i temi del dibattito politico, può votare e contribuire così alle scelte. Tesi che stanno provocando dibattiti accesi perché mettono in crisi uno dei principi cardine delle democrazie contemporanee: il suffragio universale. Non c’è da meravigliarsi troppo, è la conseguenza dei processi economici accettati dalla politica come inevitabili, quelli che negli ultimi trent’anni hanno distrutto la classe operaia, le sue organizzazioni di rappresentanza, che hanno predicato la disintermediazione e prefigurato comunità di destino uniche tra finanzieri, imprenditori e dipendenti in stato di continuo precariato. Persone, queste ultime, vittime della competizione ossessiva e trasformate in plebe, in clientes. Le tesi di Brennan non minano la democrazia liberale nata come consesso degli ottimati, di chi per censo e reddito poteva rappresentare ed essere rappresentato. Posizioni che non intaccano la libertà economica che può vivere ovunque, anzi nei regimi autoritari prospera meglio, come dimostrano il Cile di Pinocet e la Cina. Quindi non più democrazia ma di nuovo aristocrazia mascherata da epistocrazia. Le responsabilità delle sinistre di governo per questo stato di cose sono gigantesche, aver rinunciato all’uguaglianza per essere accettati nei circoli che contano, per l’attico e la villa nelle spiagge giuste. La democrazia corre il rischio di essere una parentesi nella storia europea. I sistemi preconizzati dai reazionari alla Jason Brennan il futuro. |