Memorandum 31. A proposito della impugnazione in Consulta della L.R. sarda n. 11 del 3 luglio 2017 [di Paolo Numerico]
www.sardegnasoprattutto. com 9 settembre 2017. 1. I vari interventi su questa Rivista in merito all’alt del Governo alla legge c.d di manutenzione edilizio/urbanistica della Sardegna n. 11 del 2017, in particolare un passaggio del recente articolo di Paola Pintus, mi hanno riportato alla mente la spiegazione che un amico campidanese mi diede della “balentia” sarda. Il vero “balente” non è un violento, ma è uno che ritiene di avere una linea insuperabile di difesa del proprio essere vitale, oltre la quale egli reagisce. Non prima, però, di aver avvertito il potenziale aggressore, magari più di una volta, che sulla linea non si passa. In questo caso “balente” è stato il Governo nazionale, che, avendone gli strumenti, prende le parti dei “balentes” dell’Isola. Il suo ricorso al Giudice delle leggi ha avvisato il Legislatore regionale, pur se orientato da una classe dirigente appartenente alla medesima famiglia politica oggi alla guida il Paese, che sulla difesa del paesaggio, per come costituita dal Piano Paesistico Regionale, necessariamente codeciso fra Stato e Regione, non si può transigere, perché si tratta di una conformazione vitale dello Stato italiano, l’unico, a mia conoscenza, fra gli Stati dell’Occidente, che pone il paesaggio come oggetto di una norma (art. 9 Cost.) di essenziale principio, in quella parte della Carta che viene definita una Super Costituzione. E’ un avviso – quello che si ritrova nel ricorso – formulato con le procedure offerte dall’ordinamento, fra l’altro neppure esteso in termini sconsiderati, né portato a contestare tutto, (molto di più avrebbe potuto essere censurato; ma questa è un’altra storia). Viceversa, da parte del Governatore Pigliaru e dell’Assessore Erriu si è scritto, sulla stampa e verso vari destinatari statali e culturali di ogni rango, con lettere di fuoco ed accuse perfino di leninismo e di incompetenza tecnica e politica, costringendo un Ministro della Repubblica, del medesimo partito degli epistolanti, a prendere pubblicamente le difese di un grande funzionario di settore. Normalmente contro i ricorsi si reagisce costituendosi in giudizio e rispondendo nei modi processuali adeguati. Le repliche del tipo accennato (da definire, eufemisticamente, non composte) dimostrano che è stato toccato un punto politicamente forte degli interessi perseguiti dalla Giunta sarda in materia urbanistica. A Roma una simile condotta presta il fianco a due giudizi dialettali, che riporto per semplice curiosità: “Nun ‘ce vonno sta’”; oppure “A chi gllie capita nun s’engrugni”. 2.- Passo al commento del ricorso alla Corte costituzionale che questa Rivista ha significativamente posto in rassegna il 30 agosto scorso. 2.a.- L’iniziale oggetto di censura concerne gli artt. 13 e 29. La prima disposizione (art. 13) consente di default, per via di legge, alcune aggiuntive (rispetto a precedenti norme regionali) tipologie di interventi nelle zone soggette a “vincolo di integrale conservazione dei singoli caratteri naturalistici, storico-morfologici e dei rispettivi insiemi”: si tratta di parcheggi e strutture a servizio della balneazione e ristorazione con finalità ludico-ricreative, ovvero di infrastrutture a supporto turistico-ricreativo per la nautica, sia pure con carattere di non stabilità e non alterazione permanente; ma ognuno sa quanto è definitivo ciò che si suppone provvisorio. L’art. 29, a modifica di una legge regionale del 2015, prevede interventi di trasferimento volumetrico dichiaratamente per la riqualificazione ambientale e paesaggistica, interventi individuanti immobili incompatibili da rilocalizzare in altre aree. Il Governo ha ritenuto che tali regole legislative appartengano allo specifico delle scelte del Piano paesaggistico e debbano essere oggetto di elaborazione congiunta di Stato e Regione (artt. 143 e 135 del Codice dell’ambiente). La previsione dell’oggetto già nella legge contrasta, ad avviso del ricorrente e sulla base della giurisprudenza costituzionale (di cui vengono citati significativi precedenti fra il 2009 e il 2013; non li sto a ripetere), con l’art. 117 comma 2 lett. s) Cost e con la legge statale “interposta” di grande riforma, nel caso è il Codice dell’ambiente, che si applica anche alle Regioni a statuto speciale quale è la Sardegna. Precisa il Governo – esattamente a parere di chi scrive – che l’obbligo di codecisione deve essere non solo formale, ma anche sostanziale, sicché il susseguirsi di leggi regionali che predeterminano automaticamente e dettagliatamente quali siano i contenuti del piano rende del tutto e soltanto formalistica la regola della copianificazione paesaggistica. 2.b.- Il cuore dell’impugnativa governativa riguarda l’attacco agli artt. 37, 38 e 39, in tema di usi civici, sempre in violazione della competenza statale esclusiva (operante pure verso la Sardegna) in tema ambientale, indipendentemente dalla circostanza che la regione abbia competenza primaria sugli usi civici. Occorre premettere che in Sardegna, come molti sanno, il 20 per cento del territorio regionale, pari a più di 400.000 ettari, è interessato alla classificazione di uso civico. Il mero richiamo formalistico al procedimento di copianificazione per la sclassifica, con termini giugulatori, non rispetta la sostanza del procedimento. La valutazione riguarderà, inoltre, il solo profilo della attuale assenza di utilizzo ad uso civico, senza tener conto di possibili ritorni alla funzione paesistica tramite una ricostituzione di valori ambientali compatibili con l’antica funzione del territorio (cfr. C. Cost. 103 del 2017). Semmai, come giustamente osserva, fra gli altri, Maria Paola Morittu di Italia Nostra, ancora su questa Rivista, occorrerebbe un meccanismo di tutela più ampia quando il bene sia stato ‘torturato’ e trasformato. Ciò che la legge regionale impedisce. E’ proprio quanto viene notato dal ricorso governativo, laddove si sostiene che, nel “procedimento dettato dagli artt. 37 e 38 per la permuta, alienazione e trasferimento dei diritti di uso civico”, anticipato rispetto al vero e proprio piano generale, la potestà statale di “valutazione degli aspetti paesaggistici” si deve limitare, secondo la normativa sarda contestata, alla sola presenza o assenza di valori paesistici in capo al terreno ad uso civico, “con implicita” – ma chi commenta aggiunge: non per questo meno chiara – “esclusione di una diversa valutazione complessiva tecnico-discrezionale della sussistenza attuale di valori paesaggistici anche non strettamente identificabili con il perdurare dei caratteri e degli usi civici”. Insomma la legge regionale impedisce la possibilità di prevedere (ex art. 143 cod. ambiente) “processi di riqualificazione e recupero di contesti paesaggistici” magari solo “parzialmente compromessi o degradati”; e si preclude la pur semplice ipotesi di un possibile ripristino verso lo stato pregresso. Una simile interpretazione emerge chiaramente anche dall’art. 39 comma 1, dove si consente la sdemanializzazione dei suoli di uso civico quando abbiano perso la conformazione fisica e funzionale di terreni agrari, il che, pure in tal caso, vieta illegittimamente, secondo un’esegesi corretta suggerita dal Governo ricorrente, la facoltà di rilevare altri valori paesistici e di proporre un recupero paesaggistico, con conferma del vincolo di base. Il ricorso lamenta infine un’interferenza regionale introdotta dagli artt. 37 e 38, che aggiungono un prima non previsto potere sostitutivo ministeriale per la firma dell’accordo necessitato sulla sdemanializzazione. Non fa parte del ricorso e dunque difficilmente la Corte costituzionale se ne interesserà: tuttavia, a dimostrare una per lo meno strana (non si dice altro) volontà regionale “tollerante” verso la diminuzione degli usi civici sta l’art. 39 comma 3 della legge in esame, con cui si prevede che l’uso civico non sia trasferibile in altro sito quando i terreni del comma 1 dello stesso art. 39 siano stati destinati a generici interessi connessi alla realizzazione di opere pubbliche, di piani comunali di sviluppo produttivo ovvero di piani di edilizia popolare. Nota ancora la Morittu che qui si è di fronte ad una specie di condono mascherato. Infine, una considerazione in libertà. Forse nel soggettivo volere del Consiglio regionale non ci sarà stato l’obiettivo di cui accenno qui di seguito. Magari ci si trova di fronte ad una mera eterogenesi dei fini. Eppure un semplice continentale come me prova l’impressione – un puro brivido istintivo lungo la schiena – che la Regione abbia in mente situazioni molto note in cui industrie più o meno decotte abbiano operato su suoli di uso civico, concessi a suo tempo e necessariamente da bonificare. La sdemanializzazione servirebbe oggettivamente ad eliminare ogni obbligo ed a privatizzare i valori pubblici con spostamento dei costi, sia economici che sociali, sulla comunità (Nicolò Migheli ed altri, ancora nella nostra Rivista). Se ho pensato male, avrò peccato. *Magistrato amministrativo a riposo |