Dell’amore per gli altri [di Giampaolo Cassitta]

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L’occasione era interessante. Un sociologo come Luigi Manconi, una ricercatrice presso A buon diritto onlus come Valentina Brinis, un Ministro come Anna Maria Cancellieri che ha ricoperto i ruoli di ministro dell’Interno e, attualmente, Ministro della Giustizia, davanti ad un tavolo nel salone degli eventi della Nuova Sardegna a parlare di immigrati raccontati nel libro scritto a due mani da Luigi Manconi e Valontina Brinis (Accogliamoli tutti, Il saggiatore € 13) Detto così potrebbe essere anche un discorso scontato, un narrare che parte dalla tragedia del 3 ottobre 2013 quando 368 persone si stima siano morte. Non è, dunque, un dato certo. Da questo punto ci si rende conto che la materia è difficile, complessa, dura, a tratti sconvolgente.

Per spiegare quel “si stima”, Luigi Manconi ricorre ad un dato storico, di quando ad emigrare eravamo noi: «Dal 1861 ad oggi sono emigrati, nel mondo, 38 milioni di italiani ma, secondo altri studi, sarebbero circa 42 milioni. Vi è un’approssimazione di quattro milioni.» Di uomini. E di cuori. E di affetti. Quattro milioni di storie sconosciute, che nessuno riuscirà mai a raccontare. Come per le 368 persone figlie di un destino approssimativo, anonimo, di identità non conosciute. Perché poi, infine, è di uomini che ci stiamo occupando, delle loro storie, delle loro vite, delle loro esistenze. E delle loro morti. Manconi snocciola dati, prova a razionalizzare la pancia dei pensieri di chi, invece di dire “accogliamoli tutti”, come il provocatorio titolo del libro, urla quasi quotidianamente “andatevene tutti a casa”.

Eppure, in Italia abbiamo bisogno di loro, abbiamo bisogno delle loro braccia, abbiamo bisogno delle badanti. Si calcola, per esempio, che su 60 milioni di italiani 12 milioni appartengono alla fascia d’eta compresa tra i 65 e i 105 (Manconi, cavallerescamente e giocosamente dice tra i 65 e l’infinito), molti di essi hanno una badante (sono circa 1.700.000 le badanti straniere in Italia) e, nei prossimi anni il numero si incrementerà di ulteriori 750.000. Siamo un paese di vecchi e, solo grazie agli stranieri, l’incidenza demografica non si appiattisce. Tra l’altro – ed è un dato sociologicamente rilevante – la crescita degli stranieri in Italia si è rallentata perché arrivano meno stranieri e molti di loro presenti da qualche anno abbandonano il paese.

Paradossalmente potremmo affermare di essere un paese con pochi stranieri e solo gli stereotipi fondati su assunti ideologici ci fanno pensare il contrario. Manconi ci racconta, inoltre, di una scarsa concorrenza nei posti di lavoro – almeno finora – tra italiani e stranieri perché questi ultimi sono stati utilizzati per le mansioni più umili, proprio perché in Italia esiste un sistema produttivo non adeguato e ha bisogno, essenzialmente, di mano d’opera non qualificata, quasi tutta straniera. E’ possibile che questo scenario sia destinato, tra qualche anno, a modificarsi soprattutto se perdurerà la recessione. E’ anche vero che in alcuni casi la convivenza è stata dolorosa con episodi di razzismo eclatante, ma gli episodi di inclusione sociale sono assai più numerosi e tutti ben radicati nel territorio. In realtà Manconi sottolinea la “mala politica nazionale” in contrasto con tutte le buone pratiche esistenti nel sistema locale come, per esempio, il progetto Benénnidas, istituito presso il comune di Sassari dal 2007 che prepara gli aspiranti collaboratori domestici a mansioni di assistenza agli invalidi, agli anziani e ai bambini, oltre che ai lavori di pulizia e di cura della casa.

Un progetto diventato best pratics e citato, a buon diritto, all’interno del libro. Un libro che chiede e si chiede e accetta molte risposte, accende provocazioni e pone come proposta il permesso-lavoro annuale per garantire il diritto-dovere di un emigrante a cercare una soluzione alla sua richiesta di dignità. Oggi, invece, in Italia, esiste ancora il reato di clandestinità. «A chi sostiene che è un reato esistente in altre nazioni democratiche ricordo sempre che ci sono, nel mondo, undici paesi considerati di democrazia avanzata dove persiste ancora la pena di morte e quindi non è una buona ragione», dice Manconi aggiungendo, subito dopo: «Noi abbiamo cancellato lo Stato di diritto, dove si prevedeva il reato quando c’è un atto che lede terzi o interessi collettivi protetti.

Oggi, con questo reato utilizziamo una condizione come quando si condannavo i vagabondi, i giudei. Potremmo, per assurdo, introdurre il reato di povertà.». Manconi racconta, infine, il dramma dei CIE (centri di identificazione per l’espulsione) centri che lui e Valentina Brinis conoscono molto bene e sanno di trovarsi davanti a delle vere e proprie galere. Ma, decisamente peggiori perché sono dei “Non luoghi” dove esiste il “non tempo” utilizzato solo ed esclusivamente per soddisfare le esigenze fisiologiche basilari: mangiare, dormire, urinare, defecare. Perché dovremmo aprire le porte ai fratelli immigrati? Perché, come afferma Cécile Kyenge nella prefazione al libro «l’immigrazione non può essere semplicemente osteggiata, né banalmente subita. L’immigrazione va governata. Solo così può diventare una risorsa.» Della risorsa “straniero” chiaramente non se ne discute né in Italia e né tantomeno in Sardegna. Nella campagna elettorale è un tema davvero marginale. Eppure, almeno da queste parti, dovremmo parlarne. Per amore dei nostri tanti emigrati, per le loro sofferenze, le loro sconfitte, le loro umiliazioni subite. Per provare a raccontare il mondo con molti più colori e più occasioni: culturali, spirituali, musicali, storiche.

Per raccontare un mondo dove le terre, una volta erano tutte unite. Per raccontare un mondo dove il mare non deve più essere utilizzato per restituire corpi ma come momento di viaggio, di avventura, di scoperta. Di amore.

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