La meritocrazia è di destra o di sinistra? [di Tomaso Patarello e Ferdinando Boero]
MicropMega.com 5 aprile 2018. La proposta di istituire un “Ministero della meritocrazia” e le reazioni contrarie di una parte della sinistra alle proposte di introdurre criteri di valutazione per Università e docenti vengono qui discusse da due illustri scienziati: i biologi Tomaso Patarnello, Università di Padova, e Ferdinando Boero, Università di Lecce. Davvero premiare i migliori è discriminante? La competizione implica di per sé ingiustizia e la valutazione è necessariamente di destra? O non è forse proprio il merito a garantire l’eguaglianza di tutti e di ciascuno nelle opportunità di accesso alla carriera scientifica e universitaria, contro qualsiasi privilegio di casta, di classe e di famiglia? Comunque la si pensi, premiare capacità e merito fa parte dei dettami costituzionali. Nel dibattito pubblico e nella campagna elettorale che si è appena conclusa si è spesso parlato di merito e di qualità come valori positivi che vanno riconosciuti e premiati. Tra i politici c’è addirittura chi propone un “Ministero della meritocrazia”. La definizione di “merito” secondo l’enciclopedia Treccani è “il diritto che con le proprie opere o le proprie qualità si è acquisito all’onore, alla stima, alla lode, oppure a una ricompensa …”. Sinonimi di “merito” sono “valore, qualità, prestigio”. A questi è associato il termine “meritocrazia”, concetto introdotto in Italia (dagli Stati Uniti) negli anni 1970 (fonte Treccani) “con riferimento a sistemi di valutazione scolastica basati sul merito (ma criticati perché ritenuti tali da discriminare chi non provenga da un ambiente familiare adeguato) e alla tendenza a premiare, nel mondo del lavoro, chi si distingua per impegno e capacità nei confronti di altri, ai quali sarebbe negato in qualche modo il diritto al lavoro e a un reddito dignitoso. Altri invece usano il termine con connotazione positiva, intendendo la concezione meritocratica come una valida alternativa sia alle possibili degenerazioni dell’egualitarismo sia alla diffusione di sistemi clientelari nell’assegnazione dei posti di responsabilità”. Ho voluto trascrivere per intero quanto riportato dalla Treccani riguardo al termine meritocrazia perché ben sintetizza l’evidente dicotomia tra premio ai “migliori” – in genere pochi – e la penalizzazione dei “non migliori” (peggiori?) – in genere tanti. Da un lato il premio ai migliori potrebbe essere considerato punitivo per chi il premio non lo riceve. D’altro canto un premio dovrebbe essere visto in positivo come una conseguenza del proprio valore, della propria qualità, del proprio impegno. Non ha alcun senso premiare tutti allo stesso modo, anche chi non ha dimostrato valore, qualità e impegno. Si rischierebbe di scadere – per usare le parole della Treccani – nelle degenerazioni dell’egualitarismo o nella diffusione di sistemi clientelari. Non siamo tutti uguali. Ricevere un premio deve dipendere semplicemente dal fatto che chi lo riceve è più bravo di chi non lo riceve (e non più amico o parente della “giuria”). Negli Stati Uniti la meritocrazia non è nata per escludere le classi più disagiate ma, al contrario, per contrastare i privilegi dei ricchi che potevano accedere alle Università più prestigiose e alle posizioni più rilevanti non in virtù delle loro capacità ma grazie ai loro soldi e/o alla potenza delle loro famiglie. Il merito, quindi, opposto al privilegio. Se volessimo applicare al “merito” una valenza politica usando categorie tradizionalmente attribuite alla sinistra, la contraddizione sarebbe evidente: merito come strumento per definire differenze quindi “discriminare” opposto a merito come strumento per contrastare i privilegi (dei ricchi). Privilegi ed arbitrarietà sono stati e sono ancora oggi molto radicati nel Belpaese e tutti, da destra e da sinistra, dichiarano di volerli contrastare (almeno a parole). E’ un privilegio ottenere un “premio” che non si è meritato (una promozione, un incarico pubblico). Ma chi decide se quel premio è stato meritato da tizio e non da caio? Questo è il punto chiave del riconoscimento del merito. Lo strumento con cui lo si valuta. Assumiamo che esistano strumenti di valutazione del merito efficaci e oggettivi, come in effetti esistono in molti settori. Ora, nasce la domanda (riferita in prima istanza al settore pubblico): è giusto misurare la qualità e il merito con l’obiettivo di premiare i migliori? Io ritengo di sì perché è un modo per spronare tutti a mettersi in gioco, per stimolare la crescita del singolo e quindi dell’intera collettività. Ovviamente, in questo modo, si “discriminano” i più bravi dai meno bravi. Evitare la valutazione per non “discriminare” porta alla conseguenza che fare bene o fare male è la stessa cosa con costi sociali enormi. Nel privato questa sarebbe una scelta suicida che porterebbe ad un licenziamento molto probabile. Nel pubblico è stata invece la regola dominante per decenni; per fortuna con non poche eccezioni ma tutte essenzialmente basate sulla buona volontà e sulla coscienza dei singoli. Nelle Università si dovrebbero coltivare le eccellenze intellettuali di un Paese. Ci si aspetta quindi che nelle Università più che altrove venga premiata la qualità e il merito. Le scorse settimane, in occasione della campagna elettorale, abbiamo rivolto sei domande ai candidati premier per sapere quale fosse la loro visione sul futuro delle Università italiane. Tre di queste chiedevano ai politici di esprimersi sulla premialità del merito nel mondo accademico sia nei concorsi universitari con meccanismi di valutazioni ex post (ed eventuali sanzioni) delle politiche di reclutamento, sia nella comparazione tra Atenei premiando quelli con prestazioni migliori. Una domanda in particolare toccava un tema di grande rilevanza e cioè la possibile abolizione del valore legale del titolo di studio. Quest’ultima aprirebbe una vera e propria competizione tra Atenei e potrebbe rappresentare una rivoluzione copernicana, come sostenuto anche da Massimo Cacciari in un suo recente articolo su Repubblica. Tra l’altro, l’abolizione del valore legale del titolo di studio porrebbe un freno al dilagare di quelle Università private – a cominciare dalle Università telematiche – che sono essenzialmente dei “titolifici” privi di reali contenuti culturali e professionali. L’unica risposta alle domande e arrivata da Marco Rizzo del Partito Comunista, che ringrazio, con una critica feroce al principio della competizione e della premialità in quanto causa di discriminazione tra Atenei (di seria A e di serie B). Mi piacerebbe sapere se questa è l’opinione di tutta la sinistra italiana. Oggi già esiste una grande differenza tra Atenei molto polarizzata geograficamente (nord-sud). Ma non è facendo finta che questa differenza non esista che si risolve il problema. Tanto meno si risolve dicendo che non bisogna valutare chi fa bene e chi fa male. E’ proprio lasciando fare a ciascuno quello che gli pareva per decenni, senza controlli e senza valutazioni, che siamo arrivati a questo punto. E’ vero che lo Stato dovrebbe garantire opportunità di istruzione “uguali per tutti”, ma oggi sappiamo che non è così perché chi frequenta le Università del sud non ha la stessa possibilità di formazione di chi frequenta le Università del nord (con poche eccezioni). Se nessuno dice alle Università di bassa qualità che hanno standard di ricerca e didattica bassi e che devono migliorare – magari con un sistema di premi/penalità – il principio “uguale per tutti” non può che comportare un generale livellamento verso il basso. Premiare la qualità dovrebbe invece spingere le Università a migliorarsi e il livellamento, se mai, sarà verso l’alto. Il principio “liberista” della competizione può avere certamente delle storture e degli eccessi nel mondo dell’impresa. Gli imprenditori hanno, per definizione, un solo obiettivo: il profitto. Spesso il profitto è fatto a discapito del capitale umano tenendo basso il costo del lavoro. Se vogliamo estendere l’analogia della competizione “liberista” al mondo accademico (come propone Rizzo), allora il “profitto” non può essere altro che l’aumento delle conoscenze, le nuove idee, le innovazioni tecnologiche. In una parola: il progresso. Che non è patrimonio della singola Università ma dell’intera collettività. Se questo è il risultato del liberismo nel “mercato” della conoscenza, ben venga. Tomaso Patarnello *** La meritocrazia non è né di destra né di sinistra Cinquant’anni fa, nel 1968, avevo 17 anni e, al liceo, mi battevo contro la meritocrazia, i voti. Li ritenevo di destra, classisti. Forse perché i miei voti erano bassi e sono stato bocciato due volte. In effetti non mi piaceva imparare (spesso a memoria) una marea di nozioni per me insulse, e vedere il mio “merito” valutato su quanto fossi in grado di diventare un docile robot in grado di memorizzarle. Continuo a pensare nello stesso modo (memorizzare insulse nozioni ed esser valutato per l’abilità nel farlo non è una buona misura di merito), ma ho cambiato idea sulla meritocrazia. L’articolo di Tomaso Patarnello riporta una reazione di Marco Rizzo, del Partito Comunista, a un suo appello a favore della meritocrazia. La risposta è simile alle mie posizioni di 50 anni fa. La meritocrazia è ancora vista come un ostacolo per chi “non se lo può permettere”, un’ingiustizia. Poi mi viene in mente l’articolo 34 della Costituzione: La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso. Capaci e meritevoli. E alle borse di studio si accede per concorso. Un concorso, evidentemente, teso a valutare capacità e merito, in modo che siano i capaci e i meritevoli a raggiungere i più alti gradi degli studi. Quando arrivai all’Università qualcuno invocò il 18 politico. Dove si era mai visto che il professore giudicasse lo studente? Era un modello oppressivo. Tutti gli studenti hanno il diritto di passare gli esami! L’esame teso a valutare le loro capacità e il loro merito è una forma di oppressione capitalista! Anzi, fascista. Il bello è che questi principi sono stati pienamente recepiti. Se gli studenti non superano tutti l’esame (e quindi almeno con 18) significa che il docente non è bravo. E la sua Università viene penalizzata se boccia i cosiddetti ciucci! Il che significa 18 politico. Chi non si adegua, e boccia i ciucci, viene richiamato perché danneggia l’Università. Col numero chiuso, però, si devono superare prove d’accesso basate sul più bieco nozionismo. Ovviamente i ricchi mandano i figli in ottime Università, anche all’estero. Mentre chi non se lo può permettere li manda a seguire corsi sempre più scadenti, quelli col 18 politico. Cosa è rivoluzionario? Io credo che sia rivoluzionario fornire a tutti gli studenti la possibilità di accedere all’Università, e che sia altrettanto rivoluzionario promuovere solo chi lo merita. Differenziando i voti di esame e di laurea. Prima si laureava solo il 10, 20% degli iscritti al primo anno, a seconda dei corsi di laurea, mentre ora, con le triennali, si laureano tutti. Non c’erano prove di ammissione, la selezione (altra brutta parola) avveniva durante il percorso degli studi. La meritocrazia si misura solo nelle prove di ammissione. Ma ora sono giudicati gli Atenei, per la ricerca scientifica, e ci si lamenta se non tutti sono valutati bene. Uno scandalo: si vogliono distinguere le Università di serie A da quelle di serie B! Uno scandalo! E già: le Università sono tutte uguali, vero? Solo la meritocrazia rappresenta una garanzia per i più deboli. L’ho capito una volta finita l’Università. Quando mi laureai (con lode), nel 1976, capii immediatamente di non avere molte possibilità di intraprendere la carriera universitaria. Figlio di portuale, non avevo alcuna entratura “giusta”. Mi piaceva molto la biologia marina, volevo continuare. A quell’epoca cominciai ad avvicinarmi alla musica e al pensiero di Frank Zappa e mi colpì questa frase: Non fermarti mai fino a quando il tuo buono diventa meglio, e il tuo meglio diventa il meglio. Ecco cosa devo fare, mi dissi. Se esistono possibilità che qualche concorso possa essere “giusto”, bene, io devo essere pronto a meritare di vincere, perché devo essere il più capace e il più meritevole tra i concorrenti. Senza rendermene conto avevo cambiato idea. Vinsi il concorso a professore associato. Tutti quelli con santi in paradiso restarono nelle loro Università e io fui mandato dove non voleva andare nessuno: Lecce. In commissione c’era anche Danilo Mainardi, il famoso zoologo della televisione. Dopo tanti anni gli chiesi come mai mi avevano promosso, visto che non avevo alcuna raccomandazione. Beh, caro Nando, mi disse, dopo aver promosso tutti quelli con un padrino, alla fine è rimasto un posto e abbiamo deciso di darlo al candidato migliore… Ora, la meritocrazia è di destra o è di sinistra? Mah. Per me sarebbe come chiedere se la salute è di destra o di sinistra. Che domande sono? Se dovete farvi operare vi informate, no? Volete sapere chi è il chirurgo migliore, chiedete referenze, valutate. Ne volete uno che sia stato giudicato in modo ferreo, durante il suo percorso universitario, e volete sapere come se la cava, quante operazioni ha fatto, qual è la percentuale di successo. Tutti fanno questo, sia quelli di destra sia quelli di sinistra. Valutano il merito, e vogliono il meglio. Credo che lo faccia anche Marco Rizzo, che parla dell’ingiustizia nel classificare le Università in serie A o in serie B. Tutte uguali! Ma lo vorrei vedere, se dovesse essere operato, se considererebbe tutti uguali gli ospedali. Premiare capacità e merito fa parte dei dettami costituzionali. Una Costituzione scritta anche da molti comunisti dei quali Marco Rizzo è un epigono; ma non mi sentirei di dire che la meritocrazia sia di sinistra, per questo. Ci potrebbero essere modalità di destra o di sinistra nel metterla in pratica, a seconda di come viene valutato il merito. Ma il principio rimane ed è, per me, assoluto. Chi pensa che gli incapaci e i non meritevoli siano da premiare quanto i capaci e i meritevoli è probabilmente un incapace e un non meritevole che, comunque, pretenderà di essere assistito da personale capace e meritevole, quando avrà bisogno di cure. Ferdinando Boero |
Sarei curioso di sapere se si è posto la domanda sul perché gli ospedali non siano tuttti uguali. Lei, legittimamente, ha cambiato idea e sta cercando delle giustificazioni “etiche” per il suo arrivismo.
Lei ci dice che viviamo in un mondo perfetto, ignorando le infinite contraddizioni della nostra società. Lei è un falso profeta e sicuramente non contribuirà nel migliorare la vita di nessuno.