Sardegna. Il tempo non aspetta tempo ( IV) [di Pietro Soddu]
Pubblichiamo la quarta parte di Il tempo dei Sardi di Pietrino Soddu. L’esponente politico, che è stato Presidente della Regione e Parlamentare, si misura con la scrittura poetica e, attraverso questa, traccia un epos. Si tratta della storia della Sardegna ab antiquo filtrata attraverso un punto di vista di chi è stato protagonista e testimone delle vicende dell’isola dagli anni Cinquanta. Il suo sguardo tematizza una vicenda che dall’antichità arriva ad oggi nella convinzione che soltanto una diversa narrazione può restituire alla contemporaneità un senso per procedere e per oltrepassare un presente affatto confuso. L’opera fu presentata nell’iniziativa “Sardeide: dalla sarditudine alla Sardegna. Una narrazione da riscrivere” dall’Associazione Lamas il 12 luglio 2013 nella chiesa di San Giovanni a Pattada. A quell’incontro dialogarono di Sardegna con Pietrino Soddu storici, filosofi, amministratori, sindacalisti, un pubblico numeroso e senza barriere anagrafiche. Quel dibattito lo vorremo aprire ad un pubblico più vasto. Soprattutto in questo momento è utile chiedersi e riflettere sui temi relativi ai quesiti “Chi siamo” e “Cosa saremo”. La prima parte con il titolo Il tempo è stata pubblicata lunedì 30 dicembre 2013. La seconda parte con il titolo Passaggi è stata pubblicata lunedì 6 gennaio 2014. La terza parte con il titolo Il tempo dei Sardi: Non più e non ancora è stata pubblicata lunedì 13 gennaio 2014 (Maria Antonietta Mongiu).La nuova questione sarda I PARTE Dialogo tra un federalista, un sovranista, un autonomista. 1ª voce federalista: Ho chiesto di incontrarvi per confrontarci senza pregiudizi su un tema infinito: la riforma dello Statuto di autonomia speciale. È da troppo tempo che stiamo girando a vuoto senza riuscire a trovare una base di partenza comune. Forse discutendo senza preconcetti e senza pregiudiziali tra noi tre riusciremo a comprendere i pro e i contro, i vantaggi e gli svantaggi, la fattibilità e gli ostacoli del problema nostro e del più vasto orizzonte europeo e mondiale dei diversi modi di rinegoziare il Patto costituzionale che ci lega alla Repubblica italiana. Proviamo dunque a parlare della questione sarda guardando sia in casa nostra che più lontano. 2ª voce: sovranista Sono d’accordo sul tema e sul modo, ma vorrei capire che cosa vuol dire “guardare più lontano”.Vuol dire forse che noi non possiamo aspirare all’autogoverno senza chiedere il permesso a qualcuno?Vuol dire che per essere considerati democratici non è sufficiente che la nostra azione si ispiri ai princìpi fondanti della democrazia moderna?Vuol dire che per noi i diritti umani non hanno lo stesso valore che hanno per gli altri popoli? Non credo che tu voglia dire questo. Ma in qualche modo le tue parole un po’ lo fanno pensare, perché ne traspare una certa sfiducia sul fatto che un’entità così piccola come un futuro Stato nazionale sardo possa far fronte ai nuovi compiti a cui è chiamata a rispondere la politica del XXI secolo. 3ª voce: autonomista Anch’io sono d’accordo sul confronto, ma per ora preferisco ascoltare le vostre ragioni e i vostri argomenti. Interverrò più avanti. 1ª voce: federalista Va bene. Comincio io. Quando sottolineo la vastità degli orizzonti nei quali si colloca oggi l’agire politico voglio dire che, diversamente da quanto avveniva nel XIX e nel XX secolo, oggi bisogna tener conto della nuova realtà mondiale e dei nuovi poteri che operano in essa al di fuori di qualsiasi condizionamento. Le sorti del popolo sardo non sono più, se non in minima parte, nelle sue mani, così come non lo sono le sorti di nessun popolo, neanche dei più grandi e dei più potenti.Tanti fattori e tanti soggetti intervengono nella nostra vita e in quella di tutti, e non in maniera marginale ma profonda e spesso decisiva. Per questo, se si vuole evitare di essere dominati, occorre un governo che incida sulle condizioni del mondo, almeno per gli aspetti che ci riguardano più da vicino. A condizionare il peso di questi fattori sulla società non può essere un governo dello Stato sardo, come non lo è il governo dello Stato italiano. 2ª voce: sovranista Se ho capito bene tu dici che neanche i governi di Stati molto più grandi della Sardegna e neppure una grande federazione di Stati come l’Unione europea controllano oggi questi poteri, perché le forze della globalizzazione operano al di fuori di tutti i confini, al di sopra di tutte le leggi, al di là di ogni controllo, operano senza vincoli e senza obblighi, senza dover rispettare i princìpi a cui sono tenuti tutti i soggetti che operano invece all’interno degli Stati. Per me è facile dedurre che se per controllare e per condizionare almeno in parte i nuovi poteri supernazionali gli Stati nazionali sono costretti ad associarsi in varie forme, anche noi ci assoceremo con altri Stati per avere un governo più ampio e più forte. 1ª voce: federalista Questo si può fare, ma il problema è più complesso. Se lo Stato nazionale è molto piccolo avrà difficoltà ad assolvere compiti, come si dice, di ordinaria amministrazione, perché non dispone delle risorse necessarie. Se è troppo piccolo, dipenderà dall’aiuto di altri Stati anche per materie come la giustizia, la previdenza, lo sviluppo. La sua indipendenza sarà solo apparente e anche la realizzazione di una politica aperta e socialmente equa, in grado di dare attuazione ai diritti fondamentali nei campi della sanità, dell’istruzione, della sicurezza sociale e dello sviluppo sarebbe molto difficile. Per avere la formale indipendenza politica saremmo costretti a veder crescere altre dipendenze in economia e nei servizi sociali: a diventare cioè molto più dipendenti di quanto saremmo se rimanenessimo dentro lo Stato italiano. 2ª voce: sovranista Io non credo che questo sia inevitabile. Ci sono Stati indipendenti piccoli come la Sardegna che godono di maggiore libertà, di maggior benessere e di una qualità della vita migliore della nostra. Hanno una sanità, una scuola, una sicurezza, un sistema giudiziario e un sistema di trasporti migliori dei nostri. Naturalmente non sono isolati dal resto del mondo. Sono uniti in qualche forma ad altri stati e così fanno fronte ai compiti che ciascuno stato da solo non sarebbe in grado di svolgere. Dall’indipendenza la Sardegna non avrebbe niente da perdere ma tutto da guadagnare. 1ª voce: federalista Forse stai semplificando troppo. Stai ragionando come se il tempo si fosse fermato al XX secolo, agli schemi della politica e dell’economia del novecento, a una realtà internazionale fatta di blocchi contrapposti, a una società compatta divisa sostanzialmente solo in due grandi classi, ad una economia strutturata su sistemi nazionali protetti. Ma la realtà non è più questa. Il mondo è entrato in una fase di grande cambiamento. Gli schemi con i quali siamo abituati a ragionare sono superati in tutti i campi. La stessa concezione della democrazia va sottoposta a verifica per capire se i suoi meccanismi e le sue regole rispettano la sovranità popolare, se la democrazia rappresentativa è ancora in grado di reggere nella realtà alla prova dei fatti e al controllo dei nuovi poteri che operano nel mondo. In questo senso l’indipendenza nazionale rischia di essere una scatola vuota se non addirittura un pericolo per la libertà e il rispetto della dignità e dei diritti delle persone. Il grande valore dello Stato nazionale, anzi dello Stato nazione nato dal Romanticismo, che invocava una patria, uno stato e una lingua per ogni nazione, è diventato obsoleto: un mito che sopravvive, svuotato della sua antica forza liberatrice. Questo è sotto gli occhi di tutti. Inganniamo noi stessi facendo finta di non vedere la realtà e continuando a sostenere la sua forza emancipatrice. Si tratta di una inutile, per non dire pericolosa fuga in avanti che serve per uscire, ma solo momentaneamente, dalle difficoltà e dall’impasse che ci paralizza da tempo per non essere riusciti ad elaborare proposte più moderne, più efficaci e più idonee ad affrontare e risolvere i problemi che abbiamo di fronte. 2ª voce: sovranista Anche la posizione pregiudiziale che tu sostieni, di verificare meglio il tutto prima di avanzare qualsiasi proposta, potrebbe essere definita una fuga in avanti. Infatti non è stato ancora elaborato alcun progetto alternativo all’indipendenza. Ci si è limitati a sostenere princìpi astratti che lasciano il tempo che trovano e non risolvono il problema della dipendenza e della marginalizzazione crescente della Sardegna. La proposta dell’indipendenza non ha solo la forza evocatrice del mito, come tu dici, ma si fonda anche sull’esperienza degli Stati moderni nati proprio sulla spinta della dottrina politica che ha visto nello Stato nazione la soluzione più idonea non solo per la costruzione degli Stati nazionali monarchici a base dinastica ma anche per gli Stati fondati sulla democrazia rappresentativa. Aggiungo che non solo i valori legati alla nazione, alla lingua, alla cultura, alle fedi religiose e ai costumi nazionali, ma anche i diritti umani hanno trovato nello Stato nazione la sede politica più adeguata per la loro affermazione. 1ª voce: federalista Se continuiamo a discutere con queste pregiudiziali rischiamo di non fare nessun passo avanti, di rimanere bloccati nella stessa trama che ha immobilizzato da tanto tempo la politica regionale. Bisognerà tentare un altro approccio che non sia un dilemma indipendenza sì indipendenza no, che non limiti i pro e i contro a una preferenza espressa pregiudizialmente.Rovesciando l’impostazione si potrebbe cominciare a ragionare sulle condizioni necessarie per una vita buona e una politica buona secondo i canoni di oggi e non secondo quelli del ʼ700, dell’ʼ800 e del ʼ900. Riaffermare i princìpi generali non basta. Occorre anche cambiare gli strumenti della politica, che sono in gran parte superati dalla continua evoluzione della società e dell’economia. Niente è più come prima. In due secoli si sono affermati tanti modelli di Stato e tante forme di Democrazia. Alcune sono state riformate pacificamente, altre sono implose su se stesse, altre sono state spazzate via dalla storia. Anche l’archetipo che è sopravvissuto, la democrazia rappresentativa liberale, è oggi in crisi profonda. Forse dovremmo partire dall’esame delle ragioni di questa crisi per vedere quale soluzione dare a questa esigenza di una più ampia sovranità e un più largo autogoverno che tutti rivendichiamo. 2ª voce: sovranista Anche seguendo il metodo che tu proponi non si può comunque ignorare il princìpio sul quale si fonda la mia posizione, cioè il diritto fondamentale di ogni nazione a diventare Stato, cioè il diritto di tutti i popoli all’autodeterminazione. Che poi una nazione affermi o no questi diritti dipende dall’avere preliminarmente riconosciuto il potere di autodeciderlo. Perciò anche per seguire la procedura e il metodo che tu proponi sarebbe giusto pronunciarsi prima su questo punto rispondendo alla seguente domanda: possiamo o no aspirare a diventare Stato nazione, e abbiamo o no il diritto di fare questa scelta utilizzando in forma assolutamente democratica l’autodeterminazione? Se sì, come io credo, dopo possiamo anche discutere se sia bene farlo: se sia giusto, se sia opportuno, se sia conveniente, se sia in linea con il senso del tempo, se soddisfi le nostre legittime ambizioni, se risolva i nostri problemi, quelli antichi e quelli nuovi. 1ª voce: federalista Torniamo un po’ indietro con il ragionamento. Tentiamo di vedere come si è mossa l’umanità ieri e come si sta muovendo oggi. Partiamo dalla conoscenza e dalle emozioni. Noi conosciamo quello che vediamo, che riusciamo a percepire con i sensi, che viviamo con le emozioni e i sentimenti, che elaboriamo e spieghiamo con la mente. Così è sempre stato e così è ancora. Ma sappiamo anche quello che ci è stato raccontato della storia di tutti i popoli con la scrittura, con il canto con la voce e con i miti, con monumenti, quadri, statue e oggetti d’uso comune. La Sardegna ha conosciuto la scrittura molto tardi. La sua più cultura primigenia è rimasta orale molto più a lungo delle altre culture antiche. Dalla scrittura sappiamo che tutte avevano uno o più miti fondativi. Noi non abbiamo avuto niente che si assomigli a un mito fondativo. Molti popoli hanno eroi, poeti, divinità. Le culture maggiori hanno una grande letteratura, hanno i libri sacri. Di tutto questo non c’è traccia in Sardegna. Ciò che sappiamo ci viene dall’archeologia. Giovanni Lilliu, il nostro più grande archeologo, ci ha spiegato che un tempo molto lontano siamo vissuti liberi e organizzati in un sistema di piccole unità sparse nell’isola, avvicinate forse da un patto tra loro in una forma di Stato paragonabile a quella di una confederazione a base cantonale. Probabilmente questa è la spiegazione più giusta, visto che la matrice tribale, e non quella nazionale statuale, domina da sempre il nostro atteggiamento politico. Io rimango convinto che la politica, come tutte le attività umane, ha come base la conoscenza. Dalla vita vissuta e dal bisogno di dare alle cose un significato, una causa e un fine viene tutto il resto: compresa la legge, il sistema di convivenza, il governo, cioè la politica. Delle grandi civiltà conosciamo i libri, quelli sacri: la Bibbia, il Vangelo, il Corano, le Upanisad e tutti gli altri racconti sacri. Per i popoli del Mediterraneo più vicini a noi conosciamo i grandi poeti, come Omero e Virgilio. Qualcuno ha sostenuto che tra i grandi legislatori del passato oltre a Mosè si debbano inserire anche i poeti tragici greci: Sofocle, Eschilo, Euripide. Mosè ha inventato le tavole della legge e i poeti greci hanno indicato le vie per realizzare una convivenza pacifica in una società ancora dominata da impulsi elementari. Antigone e le tavole della legge mosaica dominano ancora la nostra mente con la loro suggestione simbolica. Niente di tutto questo esiste nella cultura più antica dell’isola. Non un poeta, non un profeta, non un legislatore, non un mito. Solo una popolazione senza scrittura, senza leggi, senza una religione codificata, senza miti. La letteratura sarda, compresa quella più recente, non si è neppure posta il problema di colmare un vuoto così grande e così doloroso per noi. Ci siamo tutti accontentati di un mito incompleto, una pseudo narrazione sul tempo e sulla vita dei nuragici, e poi più nulla per lunghissimo tempo fino ad Arborea, ad Angioy e più tardi alla Brigata “Sassari”. Troppo poco per fondare un vero sentimento nazionalitario, una vera coscienza nazionale. Troppo poco e troppo ambiguo e quindi non in grado di creare sentimenti profondi e solidi che infatti si compendiano e si riducono a un atteggiamento negativo, a una “coscienza infelice”. In tutto il lungo tempo della nostra storia documentato dalla scrittura nessun poeta ha cantato i nostri miti, nessuno ha illustrato e tramandato il sentimento nazionale, nessuno ha pianto sulla fine della nostra libertà perché forse non c’è mai stata. 2ª voce: sovranista Non è esattamente o non è solo così. Abbiamo certamente pianto e sofferto. Ma abbiamo anche provato a uscire dalla sudditanza e dal dominio straniero. Se non abbiamo testi scritti ci sono i monumenti a provare ciò che siamo stati e a dirci che in tempi lontani eravamo un popolo libero e sovrano nella propria terra. Questo sentimento è arrivato sino a noi. Il desiderio di essere di nuovo un popolo, una nazione, uno Stato non è un’invenzione di oggi, non è una favola politica della modernità tardiva. Viene da lontano, testimonia una realtà antica, una storia vissuta. È il desiderio di riavere quello che ci è stato tolto o che abbiamo perduto per la nostra insipienza e per le tante occasioni mancate. 1ª voce: federalista Possiamo continuare a illuderci che si possa recuperare il tempo perduto e le occasioni mancate pensando che non siamo fuori tempo. Ma il momento degli Stati nazionali è passato. Siamo entrati in un nuovo tempo, in un tempo che è stato chiamato “liquido”, un orizzonte aperto, interamente spalancato sul mondo. La comunicazione ha scavalcato tutte le frontiere, si muove in tempo reale lungo tutte le direzioni. Oriente e Occidente, Nord e Sud sono vecchi riferimenti che gli uomini conservano nel ricordo, ma che in realtà non esistono più. Il mondo si è unificato nei suoi valori di fondo. Le vecchie identità vanno rapidamente sfumando e si delinea persino la fine di Babele con l’unificazione delle conoscenze, dei linguaggi, delle lingue, delle culture, di tutto ciò che è indotto e veicolato dalla tecnica e dai suoi prodotti che sono diventati i dòmini assoluti contro i quali nessuno osa levare la voce e sfidarne la potenza. Nell’impero della tecnica si muovono poteri che non sono controllabili dai vecchi meccanismi della società o degli Stati, da quelli più grandi e tanto meno da quelli più piccoli. In questa realtà post-nazionale, oltre che post-moderna è difficile vedere quale sia il vantaggio che ci verrebbe dalla conquista dell’indipendenza. 2ª voce: sovranista Quello che tu dici descrive solo una parte del tutto.Il mondo non è ancora un’unità compatta, non ha un unico governo, non è retto dovunque dalle stesse leggi. Gli Stati nazionali ci sono ancora, ci sono le culture, le lingue, interessi, ambizioni di dominio e di emancipazione contrapposti. È vero, dappertutto ci sono processi diretti a costruire nuove entità sociali, giuridiche e politiche; ci sono contrasti anche duri sul significato più profondo della persona umana, dei suoi diritti, dei suoi doveri, dei modi con i quali ci si relaziona gli uni agli altri. C’è l’uniformizzazione della tecnica, ma c’è anche il pluralismo delle religioni. C’è l’emergere di un multiculturalismo ormai diffuso che la tecnica non riesce a comprimere e che i mezzi di comunicazione rendono anzi più evidente nelle sue diverse espressioni, comprese quelle conflittuali. Come si dovrà e si potrà comporre in unità tutto questo proliferare di espressioni culturali e politiche non è ancora stato scoperto. E tanto meno è stato accettato dalla vasta e multiforme umanità del mondo post-moderno.Per ora sono ancora in campo le istituzioni statali e sub-statali che nessuno sembra avere in animo di abbandonare per sposare istituzioni mondiali unitarie in cui i conflitti si spengono e si compongono pacificamente. Se questa è ancora oggi la realtà, perché mai dovremmo fare eccezione noi? 1ª voce: federalista Non è questo il mio punto di vista. Io non sostengo che non ci sono più differenze, che tutto si sia composto in una massa uniforme e compatta. Le differenze ci sono, e non sembrano destinate a sparire sul piano culturale, religioso economico e sociale. Le differenze rimangono, piccolo o grande che sia il contenitore. Ci sono negli Stati unitari, ci sono nelle federazioni, ci sono persino nelle comunità regionali e comunali, come sappiamo bene. Ma questo non è il campo a cui deve provvedere la politica. Questo compito è affidato da sempre alle religioni, alla cultura e alla storia umana in tutte le sue manifestazioni. È affidato alla tecnica che oggi fa ciò che ieri e ancora di più nel tempo antico hanno fatto i miti, la poesia e le religioni. La politica non è chiamata a unificare le culture, le lingue le espressioni poetiche, i miti e i sogni. Essa deve regolare la vita comune, deve fare le leggi, deve edificare le istituzioni in cui si elaborano e si adottano le regole, deve garantire le condizioni necessarie perché ci sia rispetto e riconoscimento del valore intrinseco di ogni persona umana: di qualunque razza, etnia, genere, lingua essa sia. È questo il terreno della politica, ed è questo terreno che segna anche i confini del nostro agire politico. Dobbiamo dunque partire dall’accettare il fatto che le due sfere sono separate e autonome, anche se inevitabilmente si influenzano l’un l’altra. 2ª voce: sovranista In ogni caso anche accettando il tuo punto di vista rimane sempre irrisolto il problema di come fare a dare voce pubblica a un popolo che rivendica la sua identità nazionale diversa e distinta, per aspetti non marginali e per una lunga durata storica, da quella delle altre nazioni che compongono lo Stato italiano. Il problema è rimasto irrisolto con l’Autonomia che ha mostrato tutti i suoi limiti soprattutto di fronte ai cambiamenti intervenuti nella vita del mondo: proprio quei cambiamenti ai quali ti riferisci tu, e che ritieni che non possano essere governabili solo con la politica. Io invece sono convinto che con la sovranità nazionale la politica può recuperare un ruolo importante nel regolare la vita sociale e l’economia. E che la Sardegna sarebbe meglio garantita e i suoi interessi meglio tutelati se abbandonassimo l’ambigua e sempre più debole forma di questa Autonomia che abbiamo oggi, per “speciale” che sia ( se mai lo è stata negli ultimi venti/trent’anni). 1ª voce: federalista Io non discuto il declino dell’Autonomia. È sotto gli occhi di tutti, e sembra inarrestabile. Il problema non è dato dal dilemma improprio se difendere o no l’attuale sistema. La scelta che siamo chiamati a fare è molto più impegantiva, coinvolge noi e lo Stato italiano del quale siamo parte e con il quale soffriamo una crisi esistenziale (e non solo) che rende più evidente anche la crisi dell’Autonomia. Questa crisi non è valutabile a sé stante e non si può risolvere isolandola dal contesto statuale nel quale è collocata. La sua vitalità non è diminuita solo per ragioni interne, ma anche per il venir meno della vitalità dello Stato nazionale. Pensare di risolverla uscendo dallo Stato italiano e fondandone uno sardo a me non sembra la soluzione che elimina i problemi, ma che se mai li aggrava perché metterebbe su spalle molto più esili compiti che neppure lo Stato più grande riesce ad assolvere. Questo è il mio punto di vista. E la mia proposta allora?La mia proposta è che si affronti unitariamente la crisi che attualmente vivono le istituzioni e ancor prima la politica in generale, qui e dovunque nel mondo. Non bisogna limitarsi a esaminare solo ciò che porterebbe un vantaggio ma anche ciò che può evitare un danno, una perdita che ad alcuni può sembrare di poco conto ma che per altri è molto importante. Una diversa impostazione può portare fuori strada, magari senza volerlo: o per una sottovalutazione dei segni che vengono da molte parti oppure per eccesso d’orgoglio, per non sembrare attestati su posizioni superate, per non essere definiti retrogradi. 2ª voce: sovranista Condivido quello che sostieni. Ma noi la proposta l’abbiamo fatta già da tempo. Il tema della sovranità e dell’indipendenza della Sardegna è stato posto da molti anni e penso sia ancora valido. Si può partire da qui e verificare se ci sono altre soluzioni più idonee e più utili.
1ª voce: federalista Qualcuno ha definito la nostra epoca “Età assiale” , cioè un tempo di forti cambiamenti generali che rimettono tutto in discussione. In campo però ci sono ancora forti persistenze delle vecchie strutture che, sia pure in progressiva, lenta decadenza, rendono più difficile il passaggio dal vecchio al nuovo. Nel programma politico generale dovrebbero essere inseriti tutti i temi del cambiamento non solo istituzionale, culturale e tecnico, ma anche quello ecologico, con riferimento ai sistemi di produzione, alla difesa degli equilibri naturali, dalle condizioni di vivibilità, ma anche in riferimento alla base culturale, ai princìpi dogmatici definiti a suo tempo, ai fondamenti etici posti alla base della vecchia visione di un progresso illimitato, sostenuto dalla tecnologia e dall’inesauribilità delle risorse materiali che oggi invece stanno dimostrando tutti i loro limiti. Questo significa anche la rivisitazione del dogma della proprietà privata, così profondamente radicato nella cultura occidentale, la rivisitazione delle forme della sovranità popolare e della democrazia rappresentativa: perché quelle attuali, fondate sul princìpio di maggioranza (una testa/un voto), per alcune materie hanno mostrato molti limiti nella loro applicazione .Ai temi della proprietà privata e della sovranità popolare vanno aggiunti i princìpi etici e valoriali sui quali si fonda l’informazione, quella tradizionale e quella in rete, l’uso dei capitali finanziari, la distribuzione equa dei beni, l’impatto del regime di vita sugli equilibri naturali. Questo vuol dire che è il sistema capitalistico dominante che va analizzato e regolamentato secondo le nuove esigenze: esigenze che non possono essere lasciate al mercato né gestite con il semplice meccanismo di maggioranza/opposizione che si alternano al potere secondo la fisiologia del classico sistema parlamentare rappresentativo di stampo otto-novecentesco.Il nuovo capitalismo ha cambiato e cambia continuamente le dinamiche sociali ed economiche e conseguentemente i compiti della politica, che invece continua a seguire i vecchi riti e i vecchi temi, lasciando che le forze del mercato, considerato in senso sempre più largo, facciano quello che la politica non fa più, ma dovrebbe fare. 2ª voce: sovranista Posso essere d’accordo anch’io. Ma non vedo perché tutto quello che tu sostieni non si possa fare con il nostro modello dello Stato nazionale: non per tornare a praticare i vecchi sentieri della politica ma per superarli, per cambiarli, per aggiornarli. 1ª voce: federalista Questa tua posizione rappresenta un passo avanti, perché accetta che ogni ipotesi, sia quella indipendentista che quella federale, deve necessariamente partire dalla base culturale della società post-moderna che non è più compatta come la vecchia società industriale, ma molto più fluida e composita nei suoi contenuti. A cosa può servire una soluzione istituzionale che non esprime una maggioranza politica omogenea ma ricorre all’uso di strumenti elettorali che forzano gravemente il principio della sovranità popolare di una testa/un voto e che lascia che una minoranza assuma il ruolo che spetta alla maggioranza solo per il fatto che comunque un paese deve avere un governo, facendo della governabilità la funzione fondamentale della politica, considerando irrilevante il fatto che la democrazia rappresentativa si stia trasformando in potere oligarchico e talvolta in una forma di dispotismo populista? Prima ancora della scelta del modello istituzionale la cosa più urgente è trovare l’accordo sui contenuti e sulle modalità necessarie per esprimere un governo autorevole, sostenuto dalla fiducia dei cittadini e in grado di elaborare e attuare programmi in linea con gli orientamenti e le aspettative della società che non è comprimibile dentro posizioni e i programmi di una minoranza diventata artificiosamente maggioranza. Ormai dovrebbe essere evidente che una delle cause della ingovernabilità è da individuare nella distorsione inflitta al princìpio di maggioranza, che è stato forzato in due direzioni quasi opposte: la prima quando trasforma una minoranza in maggioranza schiacciante attraverso premi eccessivi e la seconda quando attribuisce a questa minoranza sociale diventata maggioranza parlamentare il potere di imporre la sua volontà assoluta non su questioni di governo fondate su presupposti accettabili da tutti, ma sulle questioni controverse, proprio su quelle che dividono la società e la rendono sempre più pluralista nei riferimenti ideali. 2ª voce: sovranista Sono largamente d’accordo che quello che non ha funzionato e che non potrà mai funzionare è l’idea che un sistema politico e una democrazia possano essere condivise ed efficienti se si muovono nella direzione opposta a quella della società che devono governare, perché ci troveremmo di fronte a una democrazia e una politica che si illudono di risolvere la complessità e di superare i conflitti, costringendo la società a subire il dominio della parte più forte anche se largamente minoritaria. Sono d’accordo che proprio da questa pretesa nascono molti dei problemi che affliggono la vita democratica nei paesi occidentali: e anche in Sardegna, perché i correttivi inventati per cercare di avere comunque un governo si sono rivelati inutili o persino dannosi. Ma contrariamente a te io reputo che uno Stato sardo indipendente renderebbe più semplice anche il recupero della fiducia popolare nella politica e nei politici. 1ª voce: federalista Non è affatto scontato che la formazione di uno Stato sardo sia un elemento decisivo. Così come non lo è stata la moltiplicazione dei livelli di rappresentanza o la redistribuzione delle competenze tra i diversi livelli istituzionali. Non è scontato neppure il modo con il quale si possono risolvere insieme il problema della cittadinanza e quello della identità nazionale. Non è più in ballo solo il vecchio tema, che è stato sempre così centrale nella letteratura sulla questione sarda, della compensazione, dell’indennizzo, della riparazione dei torti subìti o della restaurazione di una autonoma rappresentanza politica. Quanto piuttosto come dare attuazione a tutto questo nel quadro della post-modernità, nell’orizzonte di senso che si è venuto costituendo con la crisi della democrazia rappresentativa e prima ancora dell’universo valoriale della società occidentale che non è più, come ho già detto, quella del XVIII e del XIX e neppure del XX secolo, e tanto meno può essere quella dei secoli XIV, XV, XVI e XVII. Con Arborea abbiamo provato a diventare uno Stato e un Regno; con la Spagna abbiamo cercato di avere da un lato più autonomia e dall’altro più peso nel governo dell’impero su cui non tramontava mai il sole. Con il Piemonte abbiamo chiesto di diventare uguali ai sudditi di Terraferma; con l’Italia repubblicana l’obiettivo è diventato quello di riavere insieme all’autogoverno e all’Autonomia il sostegno della solidarietà nazionale per uscire definitivamente dalla dipendenza e dalla marginalità. Ora, nel tempo della crisi della società tradizionale, dell’economia capitalista industriale e dello Stato Nazione, non possiamo ripetere semplicemente le antiche rivendicazioni, continuare ad alzare le vecchie bandiere, sempre oscillando incerti e divisi non tra diversi obiettivi all’altezza dei tempi ma tra soluzioni sorpassate e comunque inadeguate a risolvere i problemi di oggi. Per cominciare a uscire dalla crisi dobbiamo puntare a soluzioni che siano coerenti con le esigenze della coscienza identitaria, ma anche in grado di funzionare efficacemente, non ignorando ma anzi utilizzando e correggendo le tendenze evolutive della società con una politica che garantisca allo stesso tempo cittadinanza e identità per i sardi cittadini del Terzo millennio appartenenti a un popolo e a una nazione che si è formata nella storia di una terra che ha incorporato nei secoli apporti di varia provenienza da quelli propri dei nuragici a quelli di Cartagine, Roma, Costantinopoli, Pisa, Genova, Saragozza, Valencia, Barcellona, Madrid, Torino, Roma: un popolo che ormai da qualche tempo assorbe valori che appartengono anche ai cittadini di Parigi, Berlino, Londra, Bruxelles, Tokio, Nuova York, Sidney, San Paolo, Buenos Aires, Ankara e Il Cairo, insomma a tutte le città del mondo che frequentiamo o che ci frequentano con le loro immagini, con la loro storia, con i loro prodotti, con i loro poteri e i loro saperi materiali, politici e culturali, così come avviene in tutto il resto del mondo. 2ª voce: sovranista È un compito che è allo stesso tempo necessario e impossibile da assolvere nelle condizioni in cui si trova oggi la Sardegna come società e come istituzione. Pensare di condizionare la riforma dello Statuto alla riforma della politica in tutte le sue espressioni, superando la crisi generale della politica, dell’economia, degli orientamenti generali, dell’intero orizzonte di senso dell’umanità è una pretesa che va al di là di ogni possibilità e persino di ogni ragionevolezza. La strada che proponiamo noi è più semplice e più realistica. 1ª voce: federalista Può sembrare così; ma a ben vedere la tua è una strada che in realtà non esiste. Nelle nostre mani non avremmo neppure una porzione minima del potere che occorre per incidere su fattori così vasti, così complessi e potenti che nessuna struttura politica è ancora riuscita non diciamo a dominare e indirizzare, ma neppure a controllare nei loro effetti più negativi: proprio in quegli effetti che ledono la sovranità nazionale e persino l’indipendenza e la libertà di pensiero, il multiculturalismo e la lingua, per non parlare dell’economia e dell’ambiente, che subiscono i contraccolpi di tutto ciò che avviene in ogni parte del mondo. Dominare questo quadro con uno Stato nazionale minimo è con tutta evidenza assolutamente al di fuori di ogni possibilità. 2ª voce: sovranista Perché dovremmo avvolgerci in una rete a maglie sempre più rigide, oppure in una ragnatela morbida e soffice nell’apparenza, ma insuperabile nella sua onnivora presenza? Perché dovremmo rivendicare una responsabilità e un ruolo per risolvere problemi che ci appartengono solo in minima parte, lasciando invece inadempiuto un compito che è solo nostro, quello di dare una risposta, la risposta possibile nelle attuali condizioni storiche, alla domanda di autogoverno che viene da tutte le componenti della nostra società? Perché lasciar decadere materialmente il livello dell’autogoverno e la fiducia dei cittadini, che anche per questa ragione non credono più nella politica e nei politici? Facciamo una volta tanto quello che nessuno può impedirci di fare. Dichiariamo chiaramente che noi ci consideriamo una Nazione, che come tali rivendichiamo il diritto all’autodeterminazione e all’autogoverno. Vedremo cosa succederà, vedremo come reagiranno le altre nazioni che compongono la più grande nazione italiana. Per fare questo non è necessario abbandonare al suo destino la crisi più generale ma semmai collocare le nostre azioni politiche dentro un orizzonte che definisce meglio i confini di ciò che può essere gestito dal potere nazionale sardo e di ciò che va gestito con gli altri poteri, che comunque non ci dovranno vedere passivi ed estranei ma attivi e partecipi del processo decisionale al cui esercizio vogliamo poter contribuire. 1ª voce: federalista La mia proposta è di affrontare la questione sarda da un punto di vista decisamente federalista, con tutte le conseguenze che questo comporta in termini di coerenza e di compatibilità dell’intero sistema del quale siamo parte.Dopo la scelta principale dovremo definire meglio le modalità di attuazione e i confini interni del federalismo, tenendo presente che la situazione della Sardegna di oggi non è più come quella di ieri e che anche l’unità del popolo sardo è oggi tutta da verificare.I conflitti che avevano diviso la Sardegna in due parti, Capo di sotto e Capo di sopra, non si sono attenuati che in minima parte. Anzi, si potrebbe quasi dire che si sono moltiplicati perché altri territori hanno rivendicato nel passato (e rivendicano oggi) un ruolo paritario a quello delle due città più importanti per ottenere una multipolarità tendenzialmente ugualitaria, impossibile da realizzare sulla base della struttura istituzionale tradizionale. Anche i fattori fondamentali, costitutivi della specifica identità sarda, le condizioni che giustificavano l’esistenza e il rafforzamento di una coscienza nazionale si sono fortemente indeboliti o differenziati.Tra questi fattori un posto del tutto particolare occupa la lingua, che nonostante tutte le dichiarazioni di princìpio e i riconoscimenti ricevuti come lingua di minoranza da tutelare rispetto all’italiano non ha visto cessare e tanto meno invertirsi il processo di indebolimento che da tempo l’attraversa. Questo riduce sensibilmente la possibilità che diventi la lingua ufficiale del futuro ordinamento costituzionale chiamato a sostituire quello regionalista vigente: ma non è solo la lingua, è l’intero patrimonio culturale formatosi in millenni che si è fortemente indebolito e non ha più sicuri e forti ancoraggi per proteggerlo dall’assalto dei venti e delle tempeste provenienti dall’esterno. Anche l’idea della giustizia, della sobrietà e dell’esistenza di un patrimonio naturale comune non passibile di sfruttamento individualistico, che è stata per secoli centrale nella cultura sarda, si è fortemente indebolita, sostituita in gran parte dal più recente paradigma di un individualismo senza confini che sta cambiando radicalmente i costumi e gli orientamenti morali della stessa società isolana. Non si vede nessun Mosè, nel panorama un po’ desolato della Sardegna, e non si vede nessun Ulisse al timone della nave che ci dovrebbe condurre finalmente all’approdo desiderato. Nulla e nessuno può garantire oggi che il viaggio che intraprenderemo (se lo intraprenderemo), sarà quello che da tanto tempo è stato tracciato in tutte le ingiallite mappe del pensiero politico, di quello autonomista e di quello separatista.Negli ultimi tempi c’è stato uno sconvolgimento generale che ha cambiato terra, mare e cielo. Tutto l’universo nel quale si svolgeva la nostra vita è cambiato e continua a cambiare. E anche noi siamo cambiati e continueremo a cambiare. Qualcuno dovrà pur cominciare a tracciare la nuova mappa iniziando dalle indicazioni più generali per poi aggiungere, mano a mano che si procede, i vari dettagli dei fiumi, delle foreste, dei monti, delle fontane, delle città e delle strade che conducono da un posto all’altro e di tutto ciò che serve a descrivere la nuova terra verso la quale ci muoviamo. 2ª voce: sovranista Tutto questo che dici non fa che confermare la mia posizione: la cosa più urgente da fare è proclamare la nostra identità nazionale e rivendicare il diritto all’autodeterminazione. 1ª voce: federalista A questo punto la domanda che viene spontanea è questa: esiste o no la possibilità concreta di realizzare quello che chiediamo? Sono valide le ragioni che avanziamo e soprattutto, è adeguata la forza di cui disponiamo? Non basta rivendicare e neppure argomentare efficacemente. Per vincere nel negoziato tra interessi fortemente contrapposti agli argomenti giusti, alla forza delle idee occorre aggiungere il vigore di una volontà da mettere sul piatto della bilancia se non per prevalere almeno per equilibrare il peso degli interessi che appartengono all’altro campo. Per formare una volontà generale, oltre al sostegno della sovranità popolare che si esprime nel suffragio universale occorre anche vincere l’influenza delle forze che esercitano un’altra “loro” sovranità fuori dal terreno elettorale per tutelare interessi non sempre conosciuti e molto spesso di natura extra-costituzionale e extra-statuale. È difficile che uno Stato territorialmente, demograficamente ed economicamente debole possa essere politicamente così forte da resistere meglio di uno Stato grande e popoloso ai poteri super-nazionali. Uno Stato piccolo rischia più di uno grande di diventare dipendente e di perdere la sua reale sovranità democratica. Se a tutto questo aggiungiamo gli effetti negativi del venir meno delle aggregazioni partitiche, sindacali, ideologiche e di classe che difendevano gli interessi popolari e assicuravano la possibilità di influire sulle scelte di governo, il quadro generale appare ancora più preoccupante, insomma poco facilmente dominabile da un debole Stato nazionale della dimensione della Sardegna. 2ª voce: sovranista La nostra posizione tiene conto di tutto quello che hai detto in ordine all’esigenza di difendere i valori democratici e la sovranità popolare. E anche noi ci auguriamo che l’esigenza di agire politicamente per avviare un nuovo corso si rafforzi o nasca ex novo nella mente dei leader politici, dei rappresentanti eletti nelle istituzioni, degli operatori dei corpi sociali, degli studiosi, dei dirigenti delle agenzie sociali e morali della Sardegna. Ma da quello che si vede in atto nasce il dubbio che questa consapevolezza ci sia o stia per nascere. Non si vedono azioni e non si conoscono proposte che dimostrino l’esistenza e tantomeno il vigore, l’energia e la determinazione necessaria a contrastare il degrado e la decadenza. Al contrario, le forze che si contrappongono alla democrazia sono sempre più numerose, più organizzate e più forti. E tutto questo rafforza il nostro progetto che punta all’indipendenza senza perdere altro tempo proprio per evitare di diventare definitivamente oggetto e non più soggetto della sovranità, come avrebbe detto meglio di me Michelangelo Pira. 1ª voce: federalista Devo dire francamente che a me sembra che la vostra proposta non possa essere condivisa da nessuno fuori della Sardegna e perciò destinata ad una sconfitta sicura. Tutto ci dice che dobbiamo trovare alleati. Ma trovare alleati per una battaglia come questa non è facile, perché non si riesce neppure a capire come i princìpi di autodeterminazione e di autogoverno degli interessi territoriali possano conciliarsi con i princìpi di solidarietà e di equa distribuzione delle risorse pubbliche. Certamente, ci si può alleare o con chi sostiene i primi o con chi sostiene i secondi. Difficile invece è mettere insieme una forza maggioritaria che sostenga entrambe le posizioni, l’autogoverno e per tutti l’esigenza di operare secondo il princìpio di solidarietà. 2ª voce: sovranista Per sconfiggere gli attuali egoismi nazionali e gli interessi extra-nazionali ci vuole qualcosa di molto più profondo e radicale di una riforma dell’attuale Statuto, ispirata da una concezione federativa così timida come quella che oggi prevale in Italia e negli Stati dell’Unione. Ci vuole un rovesciamento d’impostazione che non è nell’orizzonte visibile: per ora e neppure nei segni del tempo che viviamo. 1ª voce: federalista Se ho capito bene la vostra proposta politica parte dalla considerazione che la società sarda, pur essendo per certi versi come tutte le società post-moderne molto aperta e liquida, è allo stesso tempo fortemente coesa nel carattere e nelle aspirazioni identitarie che verrebbero meglio soddisfatte non dall’attuale Stato regionalista italiano o da uno Stato federale ma da uno Stato nazionale sardo, e considerate irrilevante che poi questa confluisca o no nella Repubblica italiana. Non è ancora chiaro se voi ritenete che i gravi problemi che nascono dalla crisi si possano risolvere attraverso una pluralità di soggetti istituzionali chiusi e ripiegati su sé stessi a difesa dei propri interessi secondo la tradizione del vecchio nazionalismo oppure da soggetti che operano insieme in forme collaborative e allo stesso tempo voi pensate che la società liquida non indebolisca e tantomeno elimini la soggettualità nazionale-identitaria, anzi la esalti come unica presenza reale dentro un universo indistinto e fluttuante: liquido, appunto. Ma questa posizione oltre ad apparire contraddittoria non è senza rischi, perché in essa si confrontano due soggettualità narcisistiche che non possono convergere su un unico fine per il fatto che sono prive di forte vocazione solidarista comunitaria e di condivisione fraterna, sono prive proprio di ciò che serve alla vita di una società solida e solidale. Questo è un nodo difficile da sciogliere. La prima forma di nazionalismo aveva tra i suoi valori fondanti anche quello della solidarietà tra gli appartenenti alla stessa nazione, mentre la nuova che voi proponete è segnata dalla prevalenza assoluta di un localismo senza solidarietà, reso più grave dall’affermarsi della nuova rete della comunicazione elettronica che invece di portare ad una maggiore apertura nei rapporti pubblici interpersonali rischia di richiudere anche la politica in una sfera privata, individualistica e uniforme che trasforma una società in una moltitudine. 2ª voce: sovranista Avrei qualcosa da obiettare ma sentiamo prima il resto. 1ª voce: federalista Il resto nasce da questa considerazione. Prima di pensare all’identità occorre mettere al sicuro le conquiste della cittadinanza, occorre garantire il godimento degli stessi diritti, sia a chi abita in Lombardia o in Piemonte sia a chi abita in Sardegna o in Sicilia. Non sono affatto sicuro che questo sia scontato con il passaggio dall’attuale regionalismo a uno Stato sardo indipendente e sovrano, che però non abbia le risorse sufficienti a garantire gli standard in atto. Come non sono convinto che per valorizzare la specificità identitaria sia necessario avere competenza primaria in materia di sanità o di istruzione, rischiando di avere un diverso livello di tutela del diritto di ciascun cittadino. Per me la cosa più importante è mantenere l’attuale cittadinanza, anche se questo dovesse comportare che tutto ciò che attiene ai diritti fondamentali deve rimanere in capo allo Stato nazionale: non a quello sardo che sostieni tu, ma a quello federale che sostengo io. Anche qui si tratta di operare quasi un rovesciamento dell’impostazione attuale, anche per evitare che il rafforzamento dell’Unione europea invece di migliorare la coesione la peggiori allargando la forbice che oggi divide in due grandi gruppi sociali gli appartenenti alla Comunità: quelli che sono sicuri di avere una cittadinanza fornita di servizi di primo livello e quelli che usufruiscono di una cittadinanza di secondo livello sia nella fruizione dei diritti fondamentali sia nei modi in cui si realizza la convivenza, che sono poi il cuore della politica. La tua impostazione non allontana questo pericolo, la mia si. 2ª voce: sovranista Mi stai portando troppo lontano dal tema. Torniamo a noi, all’autodeterminazione, allo Stato nazionale. 1ª voce: federalista Va bene, torniamo all’autodeterminazione, ma prima vorrei aggiungere qualche altra considerazione. L’uomo ha sempre avuto bisogno di proteggersi dalle forze esterne: da quelle naturali, ma soprattutto da quelle che gli antichi avevano collocato in un regno misterioso considerandole troppo pericolose e incontrollabili dagli uomini. I miti greci sono pieni di esempi di questi poteri extraumani e delle azioni inventate dagli uomini per difendersi: lo scudo di Perseo per difendersi dalla Gorgone, i mezzi escogitati dall’astuzia di Ulisse per difendersi dalle voci ingannatrici delle Sirene, sono tra questi. Per vivere nel mondo grande e terribile di oggi dove molti poteri sconosciuti – non perché sopranaturali o extra-umani, ma perché esonerati dal rispetto delle leggi – spingono in direzioni che non sono quelle che sceglieremmo se potessimo decidere liberamente, occorre una protezione della quale non disponiamo né per natura né come cittadini di uno Stato democratico. Occorre uno scudo che annulli la forza micidiale dei poteri extra-nazionali, occorrono strutture normative e strumentali che consentano di resistere ai fondi sovrani, alle holding finanziarie, e a tutte le forze che si avvalgono senza alcuna regola dei poteri derivanti dal denaro e dall’evoluzione tecnologica. Pensare che basti la politica di un piccolo Stato a fermare il processo di contaminazione e di svuotamento contemporaneo dell’identità e del potere sovrano è solo una pia illusione. Qualcosa si potrà fare anche da parte nostra, ma di certo non se ci chiudiamo al confronto con gli altri: ma dotandoci insieme ad altri degli strumenti necessari a difendere la libertà e l’identità, senza lasciarci omologare e soprattutto non rimanendo spettatori passivi del naufragio della vecchia nave della democrazia. Per non essere travolti dai poteri della società post-moderna, post-industriale per non diventare una società post-democratica, cioè per conservare il potere di decidere che cosa fare nel campo culturale e in quello dei valori, e in tutti gli altri campi che influiscono sullo sviluppo di una o di un’altra identità, occorre resistere, non soggiacere, organizzarsi per passare indenni il punto in cui si incontrano i pericoli più gravi: non alla maniera dei marinai di Omero con le orecchie tappate, ma alla maniera di Ulisse che tiene le orecchie ben aperte e ascolta gli inviti ingannevoli, ma si protegge legandosi strettamente all’albero maestro della nave che per noi non può essere che l’appartenenza ad uno Stato la cui Costituzione si fonda sul riconoscimento e sulla tutela dei diritti fondamentali della persona e delle comunità. 2ª voce: sovranista Ho accettato, come dici tu, di collocare la “questione sarda” dentro la realtà di oggi, segnata dalla crisi della politica dello Stato nazionale, della democrazia rappresentativa parlamentare e delle forme in cui si esprime e si afferma la sovranità popolare. Ho cercato cioè di guardare all’intero orizzonte di senso che fino a ieri ha determinato e regolato l’agire politico e la vita delle istituzioni perché anch’io penso che esista, oltre a una “questione sarda” , anche una “questione” politica generale. Anch’io sono convinto che questa questione coinvolga il senso dell’unità nazionale, dell’organizzazione statuale e del sistema fiscale . Anch’io penso che unità nazionale-Stato-fisco siano strettamente collegati e che le loro crisi vadano affrontate contestualmente, non separatamente. Ma sono convinto che il problema consista soprattutto nella crisi dell’unità della Repubblica e non si uscirà dalla crisi se non si chiariranno prima di tutto le questioni che riguardano lo Stato e l’unità nazionale. La mia posizione è diversa dalla tua soprattutto perché io ritengo assolutamente pregiudiziale la conquista da parte dei sardi della sovranità democratica, cioè il diritto all’autodeterminazione. Anche tu, sulla base di quanto hai detto fino ad ora, mi pare che affermi che preliminare a ogni possibile soluzione è la scelta di un sistema politico fondato su basi nettamente federali, dando per scontato che sarà necessario aprire un negoziato tra le parti in causa, che nel nostro caso sono fondamentalmente l’Italia e la Sardegna. 1ª voce: federalista La differenza, anzi il contrasto tra la mia e la tua impostazione è evidente. Tu metti al primo posto la conquista dell’indipendenza, io invece penso che al primo posto devono stare i diritti fondamentali. Anche dopo averti ascoltato continuo a pensare che la priorità vada data alla “cittadinanza”, alla sfera dei diritti e dei doveri che spetta a ciascuna persona in quanto tale, qualunque sia il suo Stato di appartenenza, la sua fede religiosa, il suo sesso, la sua professione, la sua cultura. Mi sembra ragionevole dubitare non solo sull’opportunità di mettere in capo a uno Stato nazionale sardo le competenze generali della sovranità (quelle che un tempo si indicavano come spada, moneta e toga), e penso che attribuire al nuovo Stato l’insieme dei diritti collegati alla cittadinanza non li rafforzi ma li indebolisca gravemente. Da quando lo Stato moderno è diventato Stato sociale tra i suoi compiti fondamentali c’è prima di tutto quello di dare al diritto di cittadinanza di ognuno i caratteri di equità, generalità e uguaglianza nei campi della scuola, della sanità e della sicurezza sociale, assicurando a tutti uno standard minimo e destinando a questo fine una quantità di risorse di cui forse la Sardegna da sola non sarebbe in grado di disporre.Anche per questo ritengo preferibile una soluzione diversa da quella dell’indipendenza totale. Penso a una riforma radicale di tipo federale che garantisca il godimento dei diritti fondamentali in condizioni di parità ed eguaglianza a tutti i cittadini, anche ai sardi. 2ª voce: sovranista Quello che tu proponi è molto più complesso e difficile della creazione di uno Stato nazionale sardo. 1ª voce: federalista Non credo perché si tratta di ribadire princìpi già contenuti nell’attuale Costituzione che definiscono la cittadinanza sulla base del principio di uguaglianza e parità dei diritti e dei doveri di ciascun cittadino: da cui poi derivano le altre decisioni, tra le quali ci sono quelle molto spinose dell’imposizione fiscale e della sfera essenziale della solidarietà. Sei tu invece a non valutare adeguatamente la difficoltà del percorso che proponi. Con la rottura dell’unità nazionale repubblicana si rischia di mettere in discussione tanti punti importanti, compresi i princìpi fondanti della Democrazia repubblicana, già scossi dalla forza dei venti dominanti nel mondo, i venti di un capitalismo senza regole e senza frontiere. Al momento è così. E proprio per questo dovreste prendere atto che continuare a percorrere la strada che avete fin qui seguita può portare al disastro oppure da nessuna parte, e che l’insistere su quel percorso può provocare molti danni perché in esso si contrappongono non le ragioni e gli argomenti di ciascuno ma solo le forze dei vari interessi in campo: e si può già prevedere che vinceranno quelli che hanno il vento a favore. 2ª voce: sovranista Sappiamo bene che tra quelli che hanno il vento a favore non ci siamo noi, non c’è la soluzione dei problemi di diseguaglianza dei cittadini del Sud, e non c’è la trasformazione della Regione Sardegna nello Stato nazionale sardo. Ma proprio per questo non possiamo rimanere passivi, perché diversamente saremmo inevitabilmente costretti a subire le iniziative dei più forti, di quelli che rifiutano persino l’attuale forma di Autonomia. Sappiamo anche che la crisi che attraversa la politica impone come ha i detto anche tu di mettere in campo un’azione decisa fatta di argomenti e di forza. Occorre argomentare e negoziare. Per far questo, e farlo bene, non basta partire da posizioni ragionevoli che però non sono più sostenibili, perché logorate, in via di superamento. Sempre usando i tuoi argomenti dico che occorre tener conto delle posizioni politiche e del nuovo orizzonte di senso della post-modernità che ha modificato gli atteggiamenti non solo dei “moderati”, ma anche delle forze “progressiste” democratiche, popolari e di tradizione autonomistica, per non parlare delle nuove generazioni.Tra queste posizioni obsolete è compresa anche quella che ha sempre visto nella riforma dello Statuto in senso più autonomistico la soluzione della “questione sarda” rifiutando di prendere atto di quanto sta succedendo e soprattutto rendendo evidente la nostra incapacità di esprimere una nuova consapevolezza dell’essere nazione. I cambiamenti in atto nel mondo richiedono un quadro di coerenza tra le varie nazioni, ma non inficiano e tantomeno escludono che ogni nazione diventi un soggetto sovrano indipendente. A me sembra che anche dalla tua impostazione, deriva che alla Sardegna occorre una sovranità originaria e non delegata. Mi pare che essa sia diventata indispensabile per sostenere un agire politico con l’ambizione di orientare quelle parti della vita collettiva che incidono sui valori di fondo della nostra identità nazionale. Io non nego le interdipendenze, ma rifiuto i cambiamenti che portano meno libertà, meno rispetto della diversità, più dipendenza dai poteri esterni nella vita sociale e nell’economia. Mi rendo conto che è molto difficile opporsi alle tendenze dominanti, far fronte all’offensiva incontrollata e forse in parte incontrollabile del nuovo capitalismo senza frontiere. So che è difficile porre un argine alla perdita della diversità e alla omologazione dei nostri valori a quelli dominanti. Ma occorre comunque tentare, utilizzando tutte le occasioni per mettere in campo le azioni utili e necessarie per cercare comunque di limitare gli effetti più dannosi provenienti dal nuovo corso del capitalismo mondiale senza frontiere. In questo senso una sovranità indipendente appare più efficace di una Autonomia comunque riformata e rinforzata. Se non vogliamo chiamare tutto questo indipendenza, chiamiamolo pure con un altro nome: ma sempre di avere più sovranità, si tratta. 1ª voce: federalista Dalle tue argomentazioni si può pensare che il “sovranismo” sia diverso dalla vecchia dottrina del “nazionalismo”. Se così fosse, se voi foste disposti a riconoscere e dichiarare apertamente l’obsolescenza della vecchia dottrina nazionalista potremmo, forse, uscire dal vicolo cieco in cui ci siamo cacciati da qualche decennio. 2ª voce: sovranista Nel passato abbiamo dato molto peso alle questioni economiche: abbiamo considerato preminente su tutto il resto lo sviluppo, la costruzione in Sardegna di un sistema produttivo moderno ed efficiente, tale da consentirci di uscire dalla condizione di arretratezza e di emarginazione e allo stesso tempo di ridurre la dipendenza della Sardegna dai poteri esterni. Abbiamo invece trascurato gli elementi fondamentali, i fattori non economici dell’identità, della struttura valoriale più profonda che definisce specifica e diversa da tutte le altre la natura della nazione sarda. Ora è arrivato il tempo di dare il giusto peso a questi fattori. Riconosco che oggi la questione è diventata più complessa ma va affrontata comunque. Siamo di fronte a una medaglia a doppia faccia. Da un lato c’è il mondo globale, dove anche noi siamo immersi e nel quale anche noi vogliamo svolgere la nostra parte. Dall’altro lato c’è il mondo più ristretto in cui si svolge gran parte della nostra vita; c’è la lingua, c’è la terra, c’è il cielo, il mare, il vento, ci sono le fontane e gli animali, i profumi e i suoni che fanno la nostra terra diversa da tutte le altre. Su questa faccia della medaglia c’è anche tutta la nostra storia, con le sconfitte, le sofferenze, i dolori, le ingiustizie; c’è il desiderio di una vita e di un’esistenza più serena, più libera, più giusta alla quale abbiamo diritto come tutti i popoli del mondo, usando per esprimerci una nostra lingua e costruendo un sistema di convivenza rispettosa delle esigenze di equità e di giustizia che stanno alla base della nostra visione della persona umana, dello stesso essere uomini. Quello che tu chiami con un tono critico “sovranismo” è questo. È l’idea che solo se avremo il potere di decidere liberamente possiamo sperare che la politica riesca, almeno in parte, a rispondere alle nostre più antiche domande di libertà e di giustizia. Solo se possiamo decidere noi come parlare, come pregare, come giudicare, come produrre, come usare i beni comuni, il suolo, l’aria, l’acqua, le foreste, il mare e tutto ciò che costituisce il patrimonio comune, solo allora potremo sentire non solo in modo formale ma effettivo e reale l’esercizio della sovranità promessa dalla democrazia. Con questo non voglio dire che tutto sarebbe risolto voglio dire che solo così si possono portare a soluzione, almeno in parte, certi problemi di oggi ricostruendo la fiducia dei cittadini nella democrazia. 1ª voce: federalista Per confrontarci senza pregiudiziali i “sovranisti” devono uscire dal quadro della mitologia nazionalista, che concepisce la sovranità solo dentro il contenitore dello Stato-nazione, e gli “autonomisti” devono riconoscere l’idea che l’Autonomia sia pure “speciale” è superata e occorre costruire nuove forme di sovranità cooperative interdipendenti. Questo significa accettare di collocare le soluzioni della questione sarda dentro una cornice generale che è propria del federalismo così com’è venuto riformandosi nel tempo moderno, sia nei vecchi Stati nazionali sia in quelli nati ovunque nel mondo con la fine del colonialismo e con l’avvento della democrazia liberale rappresentativa. Tutti dovremmo riconoscere che il comune quadro concettuale e politico a cui fare riferimento non è più quello del XIX secolo ma neppure quello dei tre quarti del XX, non è più per la Sardegna quello del dopoguerra che ha visto nascere l’attuale Costituzione e l’Autonomia speciale. Il tempo ha fatto emergere i limiti del sistema e la sua inadeguatezza a far corrispondere al rispetto dei princìpi generali l’agire politico e il governo, oggi entrambi in crisi. Uscire dalla crisi con riforme ancora pensate tutte dentro la vecchia struttura concettuale dello Stato unitario si è rivelata un’impresa impossibile. 2ª voce: sovranista È meglio non allargare troppo il discorso. Mettendo insieme tutte le zone e le manifestazioni di crisi della politica così come si presentano oggi e legando la questione sarda troppo strettamente ai temi più generali si rischia di non riuscire a fare alcun passo in avanti. Si rischia di rimanere prigionieri dell’intricato labirinto nel quale si muovono i soggetti collettivi senza riuscire a trovare la strada per tornare in campo aperto. È meglio la nostra soluzione che avrà lacune e difetti ma consente almeno di non rimanere rinchiusi nel cerchio magico dell’incertezza e del dubbio e decidere di uscire dall’Italia, abbandonare il vecchio Stato nazionale del quale siamo parte dall’origine, rinunciare a ogni forma di regionalismo che non solo secondo noi ma anche secondo molti altri nella sua attuazione si è rivelato un appesantimento, una complicazione, un aumento della burocratizzazione, una degenerazione della politica piuttosto che un fattore di maggiore libertà, di più sviluppo e partecipazione democratica. Nel breve periodo una riforma generale di sistema sembra impossibile mentre la soluzione per la Sardegna che secondo noi è possibile realizzare è l’indipendenza nazionale sarda. 1ª voce: federalista Tu semplifichi un po’ troppo. Secondo me, piuttosto che partire da una sola proposta sarebbe meglio confrontarsi su due o più soluzioni alternative: soluzioni che naturalmente non debbono essere sospese nel vuoto ma tengano conto della situazione generale e delle tendenze evolutive della politica e della dottrina costituzionale. Non si può certo negare che l’Italia sta vivendo una crisi di coesione e di consenso costituzionale molto forte, che si manifesta e degenera nella crisi fiscale e nel rifiuto dei princìpi di solidarietà, equità, uguaglianza che stanno alla base del Patto costituzionale. Non si può non vedere che l’evoluzione sociale ed economica mondiale ha indebolito le basi dell’attuale cittadinanza e reso incerta la legittimazione degli attori politici, a cominciare da quelli ai quali dal cittadino (che ne è titolare originario) è delegato l’esercizio della sovranità, cioè i partiti, le istituzioni parlamentari e il governo. Non si può non riconoscere che nella cosiddetta società post-moderna la catena che legava le singole persone al soggetto collettivo che le rappresentava si è rotta e ognuno, ogni singola persona, pretende di esercitare senza intermediari il potere democratico, quasi sempre in forme demolitorie negative o in manifestazioni generiche e umorali, populiste nel linguaggio politico. E che dalla crisi generale sono nate le proposte semplificatorie della governabilità attraverso una maggioranza elettorale che non corrisponde alla maggioranza sociale reale. Questo sistema non sembra in grado di reggere efficacemente al compito di governare sistemi molto complessi. Una sovranità solo formale non è in grado di comporre la forte frantumazione del corpo sociale. I meccanismi elettorali infatti possono esprimere esiti maggioritari in base alla legge, ma lasciano intatta la frantumazione sociale che riemerge e rende impraticabile la governabilità sin dal primo ostacolo che si presenta. Le riforme sarebbero più efficaci se ci fossero alla loro base non le questioni, i princìpi, gli orientamenti ideologici, ma gli interessi territoriali, che sono più componibili e più facili da rappresentare anche nelle loro articolazioni categoriali e persino negli stessi orientamenti ideali. L’idea federale è più in linea con le tendenze di oggi, perché accentua le appartenenze territoriali e sfuma quelle ideologiche, religiose e culturali. Naturalmente la questione sarda considerata dal punto di vista federale mantiene il rilievo sociale, economico, storico e politico della tradizione autonomista, ma la sua soluzione viene incanalata in un solco che non è più quello del vecchio autonomismo. Mantiene la sua specificità ma perde la caratteristica storica della “specialità” autonomistica. 2ª voce: sovranista Non credo di essere molto lontano dalle tue posizioni ma all’adozione del princìpio federalista antepongo l’esigenza di riconoscere che i sardi per storia, per territorio, per lingua, per esperienza istituzionale sono una nazione diversa da tutte le altre. Essi hanno una identità non comprimibile in una più grande, e perciò hanno diritto a una soggettualità politica originaria e sovrana. Il senso della mia posizione è che si può far parte di una formazione più grande solo partendo da una soggettualità più piccola ma comunque sovrana. La formazione statuale alla quale faccio riferimento è uno Stato nazionale pienamente sovrano che liberamente e per volontà propria, senza alcuna costrizione, decide di condividere l’esercizio di una parte della sua sovranità con altri Stati sovrani, ad esempio con la Repubblica federale italiana e con l’Unione europea, o in un’ancora più larga dimensione globale. Quello che mi sembra ci divida o, comunque, ci differenzia è la base di partenza. Io affermo che noi siamo una nazione compiuta e che come tale abbiamo diritto ad essere Stato nazionale sovrano: non una componente più o meno autonoma e forte, ma un soggetto con una sua sovranità originaria. Il mio “sovranismo”, se così lo vogliamo chiamare, è diverso dalla vecchia concezione nazionalistica perché accetta l’idea di condividere la sovranità con altri soggetti in materie anche di fondamentale importanza, purché non intacchino il patrimonio identitario di territorio, lingua, cultura e ambiente che ci ha fatto diversi e ci ha costituito nei millenni come popolo e come nazione. E questo mio essere nazione lo debbo poter esprimere e affermare liberamente con un atto di autodeterminazione che mi sembra preliminare a qualsiasi altro discorso. 1ª voce: federalista Non ritengo utile seguirti su questo terreno, perché non lo considero adatto a risolvere i nostri problemi. Come ci insegna sia l’esperienza sarda che quella di altri popoli non è utile forzare il dibattito portandolo fino all’estremo tra due sole posizioni. Ci sono in campo altre impostazioni che contengono elementi di sovranismo unito a sentimenti nazionalisti italiani, convincimenti fortemente autonomistici ma anche posizioni fondate su considerazioni pratiche, su valutazioni di convenienza in campo sociale ed economico che rifiutano il ricorso a sentimenti patriottici ritenuti ormai obsoleti, residui di un tempo che non esiste più se non in menti che ignorano i grandi passi avanti compiuti dall’umanità verso un comune orizzonte di senso e di vita, che vede tutti accomunati dalle sfide che si intravvedono nell’economia, nella condizione di libertà, nell’uguaglianza, nelle emergenze ambientali e nel dominio di fattori anche immateriali che si sono dimostrate incontrollabili dalla politica di oggi e dalle cosiddette sovranità nazionali. Piuttosto che partire dalla rivendicazione di antichi diritti nazionali sarebbe meglio partire direttamente dai problemi che l’oggi pone a ciascuna persona umana, in Sardegna come nel resto del mondo. Tutte le altre strade sono meno semplici e chiare e rischiano di diventare un tessuto labirintico in cui ognuno seguirà il suo specifico percorso, che però non coincide con quello di nessun altro e tutti comunque si perderanno nel cercare una strada che non esiste. La scelta del modello deve essere fatta senza gli inutili passaggi che apparentemente sanano un “vulnus” inciso da lungo tempo nella “coscienza infelice” dei sardi, ma in sostanza pongono le premesse per nuove insofferenze e insoddisfazioni che seguirebbero all’esperienza di una indipendenza che non assicura vera sovranità e potere e subisce la violenza dei diversi fattori che regolano l’economia, la convivenza e la qualità della vita. Le cose stanno così. Il sovranismo di cui parli tu può dimostrarsi un danno o, nella migliore delle ipotesi, una pura perdita di tempo. 2ª voce: sovranista No, non è così. Di fronte alla crisi globale molti paesi hanno reagito con riforme di natura fiscale e del welfare, riducendo la pressione sul prelievo delle imprese e modificando la sfera degli interventi nel campo culturale e sociale. Due campi di azione che sono quasi preclusi alle autonomie e riservati invece al potere statale. L’elemento più interessante è che queste politiche sono messe in campo dai piccoli Stati, da quelli che potrebbero sembrare inadatti perché troppo piccoli per dimensione demografica e territoriale. Ma i fatti sono questi. Se la Sardegna non indipendente volesse mettere in campo politiche innovative nel campo fiscale e del welfare lo potrebbe fare solo con il consenso dello Stato nazionale sia pure diventato Repubblica federale e con sovranità di tipo cooperativo. Anche l’esperienza europea ci dice che la cosa migliore da fare sarebbe quella di riformare l’attuale Unione dominata dai vecchi Stati plurinazionali in una nuova Unione fondata su unità statuali corrispondenti ai popoli-nazione, non secondo la vecchia concezione gollista ma con le nazionalità originarie trasformate in stati nazionali sovrani. Un’Unione europea così costituita sarebbe più coesa e più democratica perché le forze sarebbero più equilibrate e non ci sarebbero Stati dominanti. Mi rendo perfettamente conto che la realtà è molto più complessa, ma sul piano teorico una Confederazione europea è più facile da concepire se l’immaginiamo composta da piccoli Stati nazione piuttosto che da grandi Stati plurinazionali com’è oggi. A me sembra che l’autodeterminazione sia la strada più chiara e più semplice e la conquista della statualità indipendente la più utile per i cittadini della Sardegna. 1ª voce: federalista La tua posizione può sembrare più semplice solo ad un esame superficiale. Ma nella realtà pratica non è così. Nella realtà politica, come abbiamo già detto, non basta argomentare per ottenere risultati. Anche per far passare le soluzioni sostenute con buoni argomenti occorre la forza dei voti, che spesso non coincide con la bontà degli argomenti. Dico questo per rimanere sul tuo terreno e provare a valutarne la fattibilità senza portare altre ragioni (che però esistono e nella realtà della politica non possono essere eliminate se non con atti rivoluzionari che per ora nessuno ha avanzato neppure a titolo teorico). Bisogna ricordare che nel contesto in cui viviamo la strada praticabile è solo quella della Costituzione. Qualsiasi ipotesi di riforma va collocata nel rispetto delle sue regole. E questo è un primo limite fondamentale. Il secondo limite fondamentale è costituito dall’obbligo di sottoporre l’ipotesi “secessionista” a una verifica popolare. Nessuno può dire se, passando dalla teoria alla pratica, uscendo dal sogno per entrare nella vita reale, la separazione netta e totale dall’Italia sarebbe approvata dalla maggioranza dei cittadini sardi e non rischi invece di essere rigettata con conseguenze che non sono esattamente valutabili, ma che saranno certamente negative in tutti i sensi. L’esigenza di una pronuncia popolare è ineludibile ed è l’unica procedura che può considerarsi legittimamente praticabile su una materia non prevista dalla Costituzione né dallo Statuto. Neppure un’Assemblea costituente, eletta per elaborare le proposte di riforma dell’attuale Statuto da portare al vaglio del Consiglio regionale e successivamente all’esame, per l’approvazione o il rifiuto, del Parlamento della Repubblica può violare la Costituzione. Può modificare lo Statuto, ma senza intaccare i princìpi fondamentali, a cominciare da quello che definisce inviolabile e indivisibile la Repubblica italiana.La Costituente è l’iter procedimentale più avanzato proposto fino ad ora. Anche voi che sostenete il “sovranismo nazionalitario” non avete proposto altri percorsi, ma avete fatto solo dichiarazioni di princìpio che servono a richiamare l’attenzione dai media ma non fanno fare nessun passo avanti. A queste osservazioni occorre aggiungere un’altra obiezione fondamentale, anzi una pregiudiziale: molti sardi, quasi certamente la grande maggioranza, sono convinti che si può essere sardi e italiani, si può essere cittadini italiani di nazionalità sarda.Ciò significa che bisognerà tenere insieme le due facce della medaglia, senza sacrificarne una per favorire l’altra. 2ª voce: sovranista Io non sottovaluto nessuno degli aspetti che hai indicato. Ma non sono convinto che oggi i sardi abbiano realmente uno status di cittadini italiani di nazionalità sarda. Forse è così in teoria. Nei fatti, la nazionalità non è rispettata, in molti aspetti è negata. Ad esempio nell’uso della lingua, nell’insegnamento della storia, nel governo dei beni identitari, ambientali, culturali, archeologici, nella disciplina dell’uso dei beni comuni, terra, aria, mare e così via. Volendo scegliere di conservare unite la cittadinanza italiana e la nazionalità sarda occorrerebbe dare a quest’ultima una vita reale e non solo virtuale. Questo per quanto riguarda la nazionalità. Se invece passassimo ad esaminare la cittadinanza troveremmo molti deficit tra le condizioni reali di cittadinanza di cui gode un sardo o un residente in Sardegna rispetto a qualunque persona residente a Milano, Torino, a Padova, a Bologna. L’essere cittadino dello Stato italiano non assicura di per sé a tutti lo stesso livello di godimento dei diritti derivanti dai princìpi fondamentali della Costituzione. Il lavoro, il reddito, l’istruzione e la salute, e tutte le chance di vita e di carriera offerte al cittadino residente in Sardegna sono obiettivamente inferiori rispetto a quelle offerte al cittadino residente, per esempio, nel Nord Italia. Questa disuguaglianza è sotto gli occhi di tutti e non si può accettare la tesi di coloro che dicono che è tutta colpa nostra, che siamo noi i soli responsabili se siamo in serie B, perché sprechiamo gli aiuti che generosamente ci vengono “donati” dai cittadini operosi delle parti più ricche del paese. Certo, ci sono anche le nostre responsabilità. Ma è del tutto evidente che non è solo colpa nostra. L’accusa di incapacità e di parassitismo, secondo cui viviamo alle spalle dei ben più laboriosi, efficienti e responsabili cittadini delle zone più ricche del Paese, ci umilia e ci offende: ci porta a dire che piuttosto che penalizzati e sopportati è meglio vivere separati, soli con le proprie forze (a guardare bene, quello che sta succedendo in Italia è il destino che ci attende). Sulla questione Nord-Sud infatti sta prevalendo la posizione di quanti ritengono che i mali del Sud dipendono dall’incapacità della sua classe dirigente politica, imprenditoriale, sindacale, culturale, unica responsabile del suo sottosviluppo, incapace di realizzare i cambiamenti necessari, corrotta e inquinata dalla criminalità organizzata. Questa è l’opinione comune delle regioni più ricche del paese. La situazione non è più sostenibile. In un modo o nell’altro occorrerà cercare una soluzione. Se dobbiamo provvedere da soli a noi stessi, meglio farlo fino in fondo diventando uno Stato nazione indipendente. 1ª voce: federalista Detto così appare tutto molto facile. Ma la questione non è così semplice perché non è affatto provato che la nostra condizione non peggiori con la separazione dall’Italia. Aldilà dei dubbi procedimentali di cui abbiamo già parlato resterebbe comunque ancora da dimostrare che il percorso sovranista porti effettivi benefici nella vita individuale e nella vita collettiva. E questo non solo per la minore quantità di risorse pubbliche e di capitali disponibili, ma anche per quanto riguarda la qualità della legislazione, i princìpi costituzionali, i codici civile e penale, la struttura economica, i servizi fondamentali, insomma l’insieme del capitale sociale della Pubblica amministrazione e dei servizi. Non possiamo essere neppure sicuri che avremmo una legislazione più aderente a quelle che diciamo essere le specificità della nostra identità di popolo-nazione. Infatti, non potendo all’inizio (e poi chissà per quanto altro tempo) vivere senza leggi e non avendo la possibilità di elaborarle subito ex novo secondo i nostri desideri, dovremmo adottare l’intera legislazione italiana sia in materia costituzionale che in campo penale, in campo civile, commerciale, nel diritto familiare, in sostanza in tutti i campi senza eccezione alcuna. Quale sarebbe allora il vantaggio dell’indipendenza, quale risultato pratico ci garantisce il tuo sovranismo?Sarebbe forse sufficiente per giustificare una frattura così grave, una motivazione politico-psicologica fondata sulla fine di una condizione di sofferenza che deriverebbe dal vedersi finalmente riconosciuto il diritto naturale di essere una nazione-Stato? Può bastare questo in un tempo di crisi generale a dare corpo a una politica capace di soddisfare la domanda molto più complessa e concreta che viene dalla società sarda? Il dubbio mi sembra legittimo. A me sembra che si possa uscire dall’impasse solo assumendo una posizione che sia insieme innovativa e realistica: che non si limiti a rivendicare più sovranità per la Sardegna ma contribuisca a risolvere positivamente sia la crisi di consenso costituzionale sia la crisi fiscale e democratica in cui versa l’intero paese. Naturalmente, dando per scontato che comunque resteremo nella Repubblica italiana riformata in senso federale. 2ª voce: sovranista Si ma quello che tu proponi non rassicura del tutto. Non esiste nessuna garanzia che dopo che abbiamo rinunciato alle nostre più legittime ambizioni si darà il via a una riforma complessiva del sistema costituzionale secondo le due esigenze che hai indicato: rafforzare il nostro autogoverno e allo stesso tempo contribuire a risolvere la crisi costituzionale e fiscale che sta creando tanti problemi dell’Italia. Tutto ciò è molto difficile e non è detto che le posizioni più ragionevoli siano le più gradite. Guardando alla situazione italiana verrebbe anzi da dire che si stanno creando tutte le condizioni per uno scontro tra posizioni inconciliabili che prelude ad un aggravamento delle varie crisi che travagliano il paese. Il sistema rischia di ripiegarsi su sé stesso e implodere in uno scontro di tutti contro tutti, quasi un si salvi chi può. In questo contesto come può la Sardegna assumere da sola una posizione responsabile e collaborativa se tutti gli altri puntano a difendere i propri interessi mettendo in discussione i princìpi su cui si fonda l’unità nazionale? Ti sembra giusto che solo noi ci preoccupiamo degli interessi generali trascurando i nostri? Non tocca certo a noi, che siamo sempre stati fautori convinti di un diverso assetto costituzionale, più rispettoso delle diversità e delle specificità regionali (che noi preferiamo chiamare nazionali) rinunciare per primi a posizioni che riteniamo non solo assolutamente legittime ma anche le più in linea con le tendenze di riforma politico-costituzionale presenti nel paese e molto diffuse nel mondo. L’indebolimento del consenso costituzionale ci incoraggia a insistere su una posizione radicale. Con la richiesta di indipendenza si riapre l’intero quadro delle riforme facendo partire da zero, cioè da un terreno totalmente sgombro, la negoziazione di un nuovo Patto tra la Sardegna e le altre nazioni italiane, cioè con tutte le parti costitutive della Repubblica italiana, esercitando il diritto all’autodeterminazione, per poi decidere liberamente e sovranamente come e con chi stare. Non vogliamo restare soli per forza. Ma non vogliamo neppure stare con chi decide senza di noi le condizioni e i modi dello stare insieme per poi rinfacciarci di essere mantenuti. 1ª voce: federalista Partire all’attacco con pronunciamenti più o meno solenni e democratici è inutile e pericoloso perché nessuno è in grado di conoscere in anticipo quali siano i prezzi da pagare e quali gli esiti. Ci sono esperienze di separazioni pacifiche e consensuali anche recenti, ma ci sono esperienze che hanno causato lacerazioni terribili e persino guerre sanguinose. Un percorso di revisione costituzionale radicale va concordato, studiato e progettato in tutti i suoi aspetti senza lasciare niente al caso o alla forza. Non stiamo parlando di una discussione scientifica, di un dibattito teorico su modelli diversi: stiamo parlando di scomporre un assetto solidamente definito dopo una catastrofe, costruito attraverso passaggi complessi e sofferti. Dobbiamo sempre ricordarci che la Repubblica è nata dopo una sconfitta militare e una guerra civile e che ha dovuto conciliare concezioni politiche contrapposte e visioni dello Stato, della nazione e dei rapporti internazionali molto diverse. La Costituzione della Repubblica è frutto di una sintesi sofferta ma alla fine virtuosa che ha ottenuto un vasto consenso e una convinta adesione popolare. Essa si fonda su princìpi universali ancora validi: tanto validi che anche tu li invochi a sostegno delle tue tesi. Sarebbe esiziale per la vita democratica abbandonare l’ancoraggio ai princìpi di sovranità popolare, regionalismo, libertà, uguaglianza, solidarietà, personalismo comunitario, separazione dei poteri che reggono l’intero edificio della nostra legge fondamentale. Anche se la struttura istituzionale non fosse ritenuta più all’altezza dei tempi il processo di riforma dovrebbe comunque partire dalla riconferma dei princìpi fondanti che tutelano l’uguaglianza, il primato e la centralità della persona rispetto a qualsiasi altro elemento o interesse, compreso il mito della superiorità della nazione o di qualsiasi altra categoria, religiosa o territoriale. Se venisse meno la centralità della persona umana tutto l’edificio crollerebbe. Servirebbe a poco essere indipendenti, avere uno Stato nazionale per ogni entità che si proclamasse nazione e si volesse erigere a Stato. Ogni possibile cambiamento deve perciò partire dall’immodificabilità dei princìpi. Questo vuol dire che le nuove strutture istituzionali non possono essere pensate per compiti diversi da quelli che derivano dai princìpi di uguaglianza, equità e solidarietà. Esse devono rendere più facilmente realizzabili gli obiettivi ideali, sociali, economici e politici che discendono dai princìpi generali, sia con l’azione di governo sia con la legislazione. Prima di intraprendere qualsiasi percorso bisognerebbe confermare le principali conquiste realizzate dalla democrazia repubblicana. Bisognerà dare a tutti la certezza che esse non saranno messe in discussione, ma che al contrario le riforme saranno finalizzate al loro rafforzamento attraverso una diversa organizzazione della politica, della governance e delle modalità espressive della sovranità popolare che non deve degenerare nella dittatura delle minoranze più forti. Per me infatti il compito più urgente della politica è impedire che i più forti riescano a imporre ai più deboli la loro volontà decretando la fine della solidarietà tra territori e dell’equità interpersonale tra i più ricchi e i più poveri. 2ª voce: sovranista Dopo tutte le osservazioni critiche e le obiezioni che hai mosso contro le mie proposte sarebbe giusto che dicessi più chiaramente qual è la tua, la proposta. 1ª voce: federalista Continuo a pensare che prima di formulare una proposta operativa sarà meglio cercare di capire più chiaramente di che cosa parliamo, qual è la situazione reale nella quale ci troviamo, che cosa vogliamo ottenere, quali interessi vogliamo difendere e sostenere, che cosa occorre assolutamente salvaguardare per non esporci a inutili rischi soprattutto nel campo, lo ripeto, dei princìpi generali e dei diritti umani dove si rischia di peggiorare la nostra condizione. Perciò prima ho cercato di indicare meglio quali pericoli possiamo correre con il nuovo sistema sia nella condizione di cittadinanza sia nella minore o maggiore dipendenza dal capitalismo finanziario globale e dai vari fattori che incidono negativamente sulla nostra identità oltre che sulla libertà. Alle cose che ho già detto voglio aggiungere che mi preoccupa molto anche l’idea di non riuscire a controllare le pretese del fondamentalismo individualistico nella vita sociale e nell’economia; temo i danni che potrebbero causare le tendenze speculative del mercato lasciate a sé stesse; ho paura dei vuoti creati nella società dalla crisi delle grandi agenzie educative e morali (famiglia, Chiesa, scuola, per citare le più importanti); guardo con grande preoccupazione al venir meno dei valori tradizionali (onestà, competenza, lealtà, correttezza, rispetto, tolleranza, fedeltà ala parola data, onore, generosità, altruismo), ormai sostituiti quasi interamente da pseudo-valori come l’arricchimento e il successo personale realizzati a tutti i costi. Prima di avanzare una proposta voglio anche capire come sia possibile superare la crisi della politica, che potrebbe persino peggiorare se il cambiamento proposto non fosse adeguato, comprensibile ed efficace, in grado di affrontare i pericoli, colmare i vuoti, fermare il declino dei valori fondamentali. 2ª voce: sovranista Ma su queste cose siamo d’accordo anche noi. 1ª voce: federalista Però non si tratta solo di elaborare ed adottare regole formali o procedurali, né di scegliere le tecniche migliori e più consolidate. È in ballo un intero universo di valori da ricostruire, da rendere più comprensibile e accettabile dalle nuove generazioni, che pur non dipendendo interamente dalle grandi narrazioni ideologiche e di appartenenza fideistica e non rifiutando un modello di realistico pragmatismo difficilmente si mobiliterebbero per un progetto senza anima che non dà alcuna risposta alle domande di senso della società post-moderna. Detto questo posso dire che le mie preferenze vanno a un sistema federale post-ideologico, che non indebolisca il sistema democratico e istituzionale fondato sui grandi princìpi dei diritti umani. Si possono superare le formule ideologiche e le vecchie divisioni sociali anche mantenendo fermo l’ancoraggio agli ideali di libertà, uguaglianza, solidarietà e autogoverno. Per chiarire meglio aggiungo che considero sbagliato e pericoloso puntare a realizzare un sistema meno democratico e solidale anche se dotato di maggiore e più ampia sovranità nazionale. Per me la prima priorità va data alla soluzione della crisi della società, della democrazia e della politica. E questo ci obbliga a guardare non solo alla Sardegna ma all’Italia, all’Europa, a tutto il mondo occidentale del quale siamo parte inseparabile. La “questione sarda” si colloca dentro la più grande questione democratica. Immaginare di risolvere la crisi sarda isolandola dal quadro generale non è solo un’illusione ma anche un pericolo. Per dirla ancora più brutalmente, ritengo totalmente priva di fondamento l’idea che una nostra sovranità nazionale possa risolvere i problemi che hanno visto fallire tutti i tentativi degli Stati sovrani in un mondo che non è più quello del XIX secolo o della prima metà del XX secolo. E neppure noi sardi siamo quelli di prima. Negli ultimi decenni siamo cambiati molto. Siamo diventati, forse non sempre consapevolmente, cittadini del mondo, siamo usciti dal nostro millenario accantonamento, siamo entrati nella modernità e non sarebbe opportuno né utile per nessuno fare la strada a ritroso in un certo senso per rivivere nel nostro antico isolamento, nell’illusione di sfuggire agli influssi dell’interdipendenza globale. 2ª voce: sovranista Fermiamoci qui: accetto la tua impostazione. Allarghiamo l’orizzonte, collochiamo la crisi sarda nel quadro più ampio e più globale della crisi della politica e della società. Cerchiamo però di fare qualche passo avanti. Se sei d’accordo che dobbiamo dare alla Sardegna un ruolo meno marginale e un più forte autogoverno, pur con tutti i condizionali e tutta la prudenza che ritieni necessaria qualcosa devi dirla, in modo che si possa metterla a confronto con la mia proposta: che sarà ingenua, forse velleitaria e visionaria come qualcuno va dicendo, ma ha il pregio di uscire dall’inerzia e avviare un processo di cambiamento reale. Non va bene lo Stato nazionale sardo, non è sufficiente quello che tu chiami criticamente “sovranismo”, ma almeno queste proposte e queste soluzioni sono comprensibili e valutabili. E in più, tengono conto di un sentimento popolare molto diffuso che rivendica un nuovo Patto che contenga per noi più sovranità e più autogoverno. 1ª voce: federalista Non c’è solo il problema di stipulare un nuovo Patto. Se non ci fossero i problemi che ho indicato, questo sarebbe abbastanza semplice. Tu hai ragione quando dici che da qualche parte bisogna pur cominciare per portare avanti il processo. Ma io penso che quello che voi proponete non sia un buon inizio. Mi sembra che si voglia cominciare dalla coda piuttosto che dalla testa. Ma facendo così nessuno può essere davvero sicuro, tanto meno i proponenti, che le cose vadano nel senso desiderato. Le preoccupazioni che ho indicato, sia pure sommariamente e un po’ confusamente, rimangono. Come ho già detto, siamo tutti in grado di vedere che gli Stati nazionali stanno vivendo una crisi drammatica di consenso sui princìpi costituzionali generali, sulle regole della vita democratica, sulla divisione dei poteri, sulle modalità di espressione della sovranità popolare, sull’indipendenza nazionale, sulla base fiscale e su tutto ciò che contribuisce ad alimentare, come abbiamo già detto, la crisi profonda della politica. Come potrebbe la Sardegna superare questa crisi senza affrontare questi problemi ma soltanto passando da Regione autonoma a Stato nazionale sovrano? Cosa comporterebbe questo nuovo status rispetto ai problemi di cui sopra? Cosa avrebbe in più la Sardegna che gli altri Stati non hanno per affrontare e risolvere una crisi così profonda? 2ª voce: sovranista Niente mi impedisce di capovolgere il tuo ragionamento. Chi può dire infatti che se la Sardegna diventasse uno Stato sovrano non potrebbe, come tutti gli Stati sovrani, porre mano alle riforme necessarie, da sola o con altri Stati sovrani? Chi e che cosa impedirebbe di modificare le regole senza intaccare i princìpi fondamentali e i diritti umani? Chi e che cosa ci condannerebbe all’isolamento, all’autarchia, al rifiuto della modernità? Perché mai, se questo è possibile ad altre nazioni piccole come la nostra, dovrebbe essere impedito a noi di essere riconosciuti nazione Stato?A me sembra che le tue obiezioni, che sono magari accettabili nella sostanza generale, siano collocate male e usate strumentalmente per argomentare su un problema che appartiene ad un altro contesto che ci riguarda nello stesso modo di tutti gli altri, ma non può diventare una pregiudiziale utilizzata per non affrontare il tema principale, che è l’esercizio del diritto all’autodeterminazione. Usciamo allora dalle pregiudiziali e vediamo di procedere all’esame di due o più proposte alternative sapendo che qualsiasi proposta si colloca nel quadro più generale della crisi della politica, della forma dello Stato nazione, della democrazia, della solidarietà e persino della sovranità popolare. La mia proposta sta anch’essa dentro questa cornice, ma ha il pregio di rispondere a una delle domande del popolo sardo: avere più sovranità, vedere finalmente realizzato un vecchio sogno, il sogno di essere una nazione Stato, anche se questo riconoscimento può sembrare più formale che reale. 1ª voce: federalista Continuo a non condividere questa tua posizione per le ragioni che ho già detto e per queste altre che aggiungo ora. Nessuna nazione, nel senso di nazione Stato, ha le sue radici nella storia antica. Tutte le nazioni Stato hanno origine dopo il XVI secolo, cioè all’inizio dell’epoca moderna, nel tempo che ha visto nascere lo Stato moderno, prima in forma dinastica monarchica e poi nella forma repubblicana. In quel tempo la Sardegna era completamente spagnola, faceva parte dell’Impero sul quale non tramontava mai il sole. Nella cultura (e tantomeno nella vita della società) non ci sono segni di alcun genere, politico, letterario, etnico, che portino a pensare all’esistenza di una qualche rivendicazione nazionalistica nel senso che ha oggi questo termine. Ci sono, molto frequenti e qualche volta anche cariche di violenza, ripetute rivendicazioni dei nativi, ma sono tutte rivolte ad ottenere una partecipazione più ampia alla guida degli affari spagnoli oltre che agli uffici e alle cariche del cosiddetto Regno di Sardegna. Niente a che vedere con i movimenti che hanno portato tra il XVIII e il XIX secolo alla formazione degli Stati nazionali, che semmai hanno visto la Sardegna schierata con le sue elite culturali a sostegno del Risorgimento e della costruzione di uno Stato italiano che comprendesse tutta la penisola e le isole. L’antico passato e la formazione dell’identità dei sardi è qualcosa di diverso dalla formazione di una nazione che aspira a diventare Stato sovrano nel senso moderno. L’identità di un popolo non porta necessariamente alla nazione Stato. Così è stato per noi e così è stato per molte altre regioni d’Italia. Pensa a Venezia, a Genova, a Pisa, a Firenze, a tutte le città-Stato. Oppure alla Sicilia, a Napoli, a tutte le altre esperienze storiche che hanno segnato in tempi diversi la realtà italiana. Se partissimo dalle tue posizioni dovremmo immaginare uno Stato nazione per ognuna di queste realtà regionali o comunali. La soluzione delle tensioni attuali, lo sbocco delle rivendicazioni che agitano tutto il paese non può venire dalla frantumazione dell’Italia in tanti minuscoli staterelli sovrani, ma, al contrario, dalla creazione di una Repubblica a base federale che riconosce le specificità e le valorizza ma le colloca secondo il sentimento, oltre che l’esperienza storica, dentro un’unica cornice che non può non essere l’Italia per ragioni che tutti conosciamo e che fanno parte di quello che siamo soliti chiamare coscienza nazionale: che non esiste per la Sardegna ma esiste senza alcun dubbio per l’Italia. Il problema che dobbiamo risolvere sta nel cercare di dare alla crisi una soluzione che non distrugge un patrimonio e non rifiuta un sentimento, ma li inserisce in un contenitore istituzionale che, insieme al patrimonio comune della nazione italiana e al sentimento che lega tutte le regioni a una patria comune, riconosce, comprende e valorizza i patrimoni di tutte le nazioni minori che concorrono a fare l’Italia. Che sono le stesse che hanno a volte contribuito a realizzare a volte subìto la formazione dello Stato unitario che poi nel tempo è diventato per tutti la patria comune. 2ª voce: sovranista Non tutte le tue affermazioni sono condivisibili, a cominciare dalla questione dell’inesistenza di una coscienza nazionale nelle società del passato, cioè prima dell’epoca moderna. C’è infatti chi sostiene che una nazione sarda è sempre esistita anche quando ha dovuto subire il dominio di nazioni straniere: che esisteva già al tempo dei nuragici, al tempo dei fenici e dei romani e al tempo dei Giudicati nell’alto e nel basso Medioevo. Prima dell’età moderna, prima che le nazioni si ponessero l’obiettivo di diventare nazioni Stato, i sardi erano una nazione come tutte le altre, con una propria origine, una storia, una cultura, una lingua, un territorio ben definito, con costumi e tradizioni specifiche. Questo carattere di nazione ha resistito a tutte le dominazioni straniere senza mai riconoscersi soltanto come parte di una nazione più vasta e anzi rivendicando ripetutamente nel corso del tempo il diritto a essere sovrana nella propria terra. Com’è stato autorevolmente affermato e dimostrato la Sardegna ha conosciuto una “costante resistenziale”, che ha mantenuto vivo il diritto dei sardi ad essere riconosciuti come nazione a tutti gli effetti, compreso quello di diventare nazione Stato. Questa è anche la mia posizione. Sono pronto a riconoscere che presenta alcuni punti deboli, ma non per questo rinuncio all’idea che la nazione sarda, come tutte le nazioni, ha per princìpio il diritto di diventare Stato nazione, attraverso l’espressione della volontà dei sardi con il metodo dell’autodeterminazione, riconosciuto tra i diritti fondamentali della democrazia moderna. 1ª voce: federalista Ammettiamo pure che esista, come tu affermi, una coscienza nazionale sarda e che essa sia presente, oggi, nella maggioranza dei sardi. A questo punto si pone l’obbligo di chiederci se questo sentire che chiamiamo coscienza nazionale sarda sia tale da sopraffare e cancellare il sentimento, certamente comune a tutti, di essere italiani. Al momento non è affatto chiaro che i sardi siano disposti a rinunciare al loro titolo di cittadini dello Stato italiano: cittadini della Repubblica nata dalla Resistenza e fondata sul lavoro, sulla libertà, sull’uguaglianza, sulla dignità della persona umana, sulla sovranità popolare, sulle autonomie regionali e locali, sul rifiuto della guerra, sul rispetto dell’ambiente, sulla solidarietà e sull’equità, sul valore sociale della proprietà, sul diritto alla salute e all’istruzione per tutti, insomma sui pilastri che rappresentano le conquiste più alte che l’uomo fino ad ora ha realizzato nella politica e che,al di là degli errori, delle insufficienze, delle crisi, delle trasformazioni e delle involuzioni, sono certamente considerati irrinunciabili dalla grande maggioranza dei cittadini. Se questo è vero, ed è una verità largamente condivisa, si può e si deve rispondere alla domanda di riconoscimento del diritto a vedere meglio valorizzati i caratteri della propria specifica identità nazionale sarda attraverso politiche e istituzioni che la riconoscano e la promuovano senza disconoscere, rinnegare e distruggere le parti altrettanto importanti che derivano dal continuare ad essere cittadini della Repubblica italiana. In questo senso io penso che una Repubblica federale possa essere l’unica soluzione, perché riconosce e risolve entrambe le questioni. Il Consiglio regionale e/o l’Assemblea costituente sbaglierebbero ad avanzare una proposta che faccia a meno di una delle due facce della medaglia. Solo una proposta che le comprenda entrambe può tenere insieme le varie esigenze secondo un modello federale, che è l’unico in grado di affrontare la crisi, senza sacrificare la pluralità dei soggetti istituzionali che fanno parte della realtà di oggi. In questo modo Sardegna, Italia ed Europa sono riconosciuti elementi fondamentali della nuova costruzione federale, che comprende la sovranità della nazione sarda nel modo più coerente con il senso del tempo che viviamo. 2ª voce: sovranista Tu riporti sempre il discorso sulle questioni generali, ma poi rifiuti di affrontare quello che io ritengo invece il nodo da sciogliere pregiudizialmente, cioè decidere il punto dal quale partire per poi sviluppare tutto il tema nella sua complessità. Per la verità nel tuo ragionamento il punto dal quale partire c’è e non può essere altro che la riconferma della permanente validità dell’appartenenza della Sardegna alla Repubblica italiana e all’Unione europea sia per la storia sia per la condivisione degli ideali, dei princìpi e dei valori che le due grandi istituzioni rappresentano anche per i sardi. Ma questa posizione, che pure è accettabile in astratto, rischia di ridursi ad una petizione di principìo buona per tutti, per quelli che continuano a difendere le strutture attuali come per quelli che le vogliono cambiare, cioè sia per gli autonomisti che per i federalisti. Riconfermare puramente e semplicemente la fede nella Repubblica e nell’Unione europea perché se ne condividono i princìpi fondamentali non risolve la crisi. Non costituisce nessun passo avanti perché non dice quali sarebbero le riforme da apportare alla Costituzione, allo Statuto e al patto istitutivo dell’Unione europea. Questo è il punto che rende fragile tutto il tuo ragionamento e ti costringe a restare nel cerchio magico tracciato dalle istituzioni esistenti. Ed è proprio questo che noi non accettiamo. Non vogliamo restare prigionieri di un edificio fatto di regole che non comprendono il diritto di dare voce libera e sovrana alla nazione sarda, che non ha deciso di sua volontà, originariamente, la propria appartenenza all’Italia e/o all’Europa, ma vi è stata costretta dalle vicende della storia e dalla volontà di altre nazioni. Con questo non voglio dire che tutto quello che è Italia ed Europa sia da mettere in discussione. Voglio semplicemente affermare che alcune decisioni vanno ribadite oppure rimesse in discussione e riformate sulla base di un diritto finalmente riconosciuto come originario di sovranità che può anche decidere di attuarsi o all’interno di uno Stato nazionale proprio o attraverso l’adesione e l’inclusione in una Repubblica multinazionale federale e in una più ampia Confederazione che riunisca e comprenda in sé l’intera Europa. Per me è essenziale individuare la soluzione, ma anche il modo attraverso il quale la si mette in pratica. Per questo continuo a pensare che la prima cosa da fare sia quella di dichiarare la nostra sovranità originaria. 1ª voce: federalista Il tuo è un ragionamento acuto e insidioso. Ma io continuo a pensare che quello che proponi non è il modo più giusto per affrontare il problema. Prima di tutto perché dà per scontata una serie di punti che sono tutti da dimostrare e che non mi sembra siano presenti nel senso comune, che percepisce la nostra come una delle tante componenti “normali” della nazione italiana più che una componente oppressa alla quale è stato impedito di diventare una nazione Stato. Al contrario di te, io sono convinto che questa aspirazione sia un frutto recente, una delle tante posizioni presenti nella società sarda: non la più antica, la più forte e la più radicata nella coscienza comune, come sostieni tu, ma piuttosto una delle tante posizioni. Come tale essa va rispettata e considerata ma non fino al punto da diventare una posizione pregiudiziale, una prerogativa sovrana originaria che pretende di avere un terreno sgombro da costituzioni, leggi, poteri legittimi condivisi, riconosciuti e accettati, insieme ai princìpi nei quali ci riconosciamo e che riteniamo assolutamente validi anche oggi come fondamenti delle istituzioni. È questa pretesa di una sovranità originaria che appare infondata. È l’azzeramento di tutto: è partire da capo, esprimere ex novo l’adesione a un universo di princìpi e di valori mettendo da parte quelli nei quali ci siamo riconosciuti e nei quali continuiamo a riconoscerci che io non condivido. Il tuo metodo mi sembra inutile e pericoloso. Io invece propongo che l’universo attuale non venga distrutto ma ricostruito correggendo le distorsioni, eliminando le forzature, riempiendo i vuoti, aggiornando le modalità attuative ma senza sostituire i princìpi e gli universi valoriali attuali con altri alternativi, tenuti latenti tra le possibilità offerte da una partenza ex novo ed evidenziati durante il cammino da fare dopo aver totalmente sgombrato il campo. E questo che è inaccettabile e pericoloso, oltre che estraneo alla domanda che viene dalla società sarda. 2ª voce: sovranista Non è esattamente come tu dici e cercherò di dimostrarlo più avanti, dopo che avrò sentito tutti i tuoi argomenti. 1ª voce: federalista Come vuoi. Mi pare di aver già detto che una coscienza nazionale sarda non è mai esistita. La teoria della “costante resistenziale” è molto recente e si fonda su concetti moderni che non sono applicabili a realtà antiche che niente hanno a che vedere con i moderni concetti di Stato, di sovranità e di nazione Stato. Ma anche a volerla comunque usare essa avrebbe una notevole componente di ambiguità, quasi un doppio significato. Da un lato spiegherebbe la forza e la volontà dei sardi, o di una parte di essi, nel reggere l’urto e lo scontro, il rifiuto di arrendersi, piegarsi, omologarsi e scomparire. Dall’altra però potrebbe significare il rifiuto a confrontarsi, ad aprirsi agli altri, a misurarsi con le novità culturali, con le tendenze del tempo, con il senso della storia per paura di soccombere o per un atavico senso di inferiorità. Più che una società dotata di una “costante resistenziale”, allora, quella sarda si potrebbe definire una società dotata di una “resilienza naturale”, una società che assorbe gli urti, modifica temporaneamente l’assetto e la forma per tornare presto quella che era prima. Questa possibile duplicità del carattere dei sardi, resistenti e/o resilienti, può spiegare le divisioni della nostra società in tante componenti territoriali distinte e spesso contrapposte, che ci sono ancora oggi, a dimostrazione che i due elementi sono persistenti e non dimostrano l’esistenza di una nazione sarda unitaria, semmai il suo contrario, e comunque che la nostra rivendicata sovranità nazionale ha basi fragili e recenti. Per queste ragioni, oltre che per ragioni costituzionali, ritengo sbagliato procedere nel lavoro di revisione e riforma partendo dalla posizione che per semplificare ho definito “sovranista”. 2ª voce: sovranista Condivido solo una parte delle tue argomentazioni, e perciò vorrei conoscere il seguito prima di risponderti. 1ª voce: federalista Per le ragioni che ho detto ritengo più utile partire dalla riaffermazione della “specialità” della questione sarda piuttosto che da una posizione “separatista” radicale. Non tanto per confermare le modalità con le quali l’abbiamo qualificata fino ad ora cercando di conservare una diversità rispetto alle Regioni ordinarie, quanto piuttosto per cercare di utilizzare il riconoscimento della specialità per ottenere un di più di sovranità, senza ledere il princìpio della Costituzione che afferma l’unità e indivisibilità della Repubblica. La mia proposta non mette in dubbio l’unità e l’indivisibilità della Repubblica, ma la realizza in forma federale. In questo modo ci colleghiamo con le tendenze dominanti e con le esigenze diffuse nel paese, e possiamo trovare molti alleati. Sulla base del diritto costituzionale esistente che riconosce la specialità si può aprire un negoziato per arrivare a trasformare l’attuale Statuto in un Patto costituzionale di stampo federale, dando così una risposta sia a chi sostiene l’esistenza di una sovranità originaria sia a chi sostiene la visione federalista e il primato dei diritti di cittadinanza su tutti gli altri aspetti di natura economica e identitaria. Mi rendo conto che non si tratta di un negoziato facile ed è anche prevedibile e abbastanza scontato che su questa posizione possono legittimarsi tutte le altre rivendicazioni presenti nel paese: soprattutto quelle delle regioni del Nord, che chiedono di diventare un’unica macroregione dotata di ampi poteri federali. La situazione generale di crisi però non si risolve bloccando tutto o isolando il nostro caso da tutti gli altri. Solo un nuovo patto costituzionale può fare chiarezza dando soddisfazione alle esigenze del Nord ma contemporaneamente confermando i punti sui quali si fonda l’unità costituzionale, a cominciare dall’uguaglianza della cittadinanza per tutti a prescindere dalla condizione fiscale della propria regione. Insisto su questo tema perché aldilà delle motivazioni e dei sentimenti patriottici, dell’importanza della lingua, della cultura e di una parte non piccola della storia, è il riconoscimento dei diritti fondamentali che costituisce la base essenziale dell’unità dell’Italia delle autonomie e lo sarà ancor più di una Repubblica federale. 2ª voce: sovranista Non riesco più a seguirti. Mi sembra tutto molto complicato: un labirinto, una ragnatela (resistente e resiliente, per usare i tuoi stessi concetti), un ragionamento con tutti i difetti che tu attribuisci alle mie posizioni. L’unica cosa chiara è l’emergere della questione settentrionale che paradossalmente diventa centrale e trainante, costringendo anche noi a seguire una strada scelta da altri a tutela dei loro interessi e per cancellare dalla Costituzione il princìpio più importante, cioè l’uguaglianza di tutti i cittadini e la solidarietà tra le diverse parti del paese. Quali siano i vantaggi per la Sardegna non è per niente chiaro. Nella loro tortuosità i tuoi ragionamenti nascondono molti pericoli e non dicono quale sarà l’esito finale: che io temo potrebbe penalizzarci togliendoci i pochi vantaggi che abbiamo oggi dall’Autonomia speciale e facendoci diventare uguali agli altri come regime costituzionale, ma inferiori proprio nella condizione da te ritenuta fondamentale, essere assolutamente uguali nella cittadinanza. Se si apre una trattativa congiunta tra lo Stato e tutte le Regioni non è difficile prevedere l’esito. Esso sarà influenzato dal numero della popolazione e dalla forza degli interessi in campo nonché dalle tendenze dominanti nell’opinione pubblica e persino nella dottrina. La mia posizione sarà forse discutibile, perché non è prevista dalle procedure di revisione e riforma della Costituzione e dello Statuto speciale, ma ha il pregio di essere lineare, immediatamente comprensibile e senza inutili complicazioni dottrinarie e politiche. Sulla base di uno dei diritti fondamentali riconosciuti a tutte le nazioni, quello dell’autodeterminazione, la Sardegna si autoproclama indipendente rivendicando a sé la piena sovranità: e su questa base può decidere liberamente di aderire o no alla Repubblica italiana. Ma se decidesse di aderire lo farebbe con un patto paritario di tipo federale che non tocca i princìpi fondamentali contenuti nel Titolo I della Carta Costituzionale, ma ridisegna tutta la struttura degli organi, dei poteri e delle competenze dello Stato centrale e di quello federale. Forse non c’è grande differenza tra la mia proposta di Stato nazionale e la tua proposta di Stato federale, visto che entrambe presuppongono che i diversi soggetti siano disposti a mettere in comune una parte della loro sovranità originaria. Detto più semplicemente: per arrivare a una Federazione prima bisogna passare per la formazione di tanti soggetti sovrani, tra i quali anche lo Stato sardo. Si tratta in fondo di scomporre secondo la volontà dei popoli la Repubblica unitaria per farla diventare Repubblica federale, passando dalle autonomie regionali concesse dal potere centrale a Stati costituiti per volontà popolare e successivamente federati tra loro sempre sulla base della volontà popolare, liberamente espressa secondo il sommo princìpio che la sovranità appartiene al popolo. 1ª voce: federalista Non è tutto così semplice come dici. Comunque, la differenza tra la mia e la tua visione non è solo procedurale, ma è anche sostanziale. Io accetto le basi e i princìpi ideali della Costituzione, ne condivido i princìpi fondamentali tra i quali anche quello che sancisce l’unità e l’indivisibilità della Repubblica e parto da questo per interporre solo dopo la specificazione di Repubblica federale unitaria. L’unità e l’indivisibilità vengono riconfermate sulla base di un nuovo patto coerente con i princìpi di libertà, solidarietà, equità e coesione sociale, uguaglianza della cittadinanza federale senza differenze nella fruizione dei servizi derivanti dai diritti fondamentali tra i cittadini dei territori più ricchi e i cittadini dei territori più poveri. Il patto riconosce l’unità ma la trasforma da unità imposta a unità liberamente scelta. In questo modo si saldano i due volti della nazionalità, quello sardo e quello italiano, che non sono contrapposti ma complementari, e che possono confluire insieme successivamente nella nuova più larga nazione europea. I tre livelli non sono separati, ma federati, e perciò stesso uniti volontariamente in vista di fini comuni che comprendono la pace, la coesione sociale e lo sviluppo, la libera circolazione delle persone e dei beni, la moneta unica, l’esercito e la politica estera comuni e le altre competenze che saranno ritenute necessarie per meglio tutelare le persone singole e le collettività dalle sperequazioni nei servizi, dalle diseguaglianze e da tutto ciò che potrebbe differenziare le persone umane nelle chance di vita e nelle dotazioni delle “capacità”.La scelta del federalismo è pregiudiziale a qualsiasi altro discorso, perché contiene in sé i valori di coesione, uguaglianza nei diritti e nello stesso tempo di rispetto delle diversità che non confliggono con il princìpio di uguaglianza di ogni persona umana. Le diversità nazionali non vengono compresse ma valorizzate, perché vengono considerate una risorsa, un valore, qualcosa da tutelare e rafforzare piuttosto che qualcosa da eliminare e penalizzare. Tutto ciò è molto diverso e ben lontano dalle pretese del nazionalismo, che si fonda invece sulla rivendicazione di un mix di privilegio ed egemonia per la propria nazione-Stato. Il federalismo parte dal riconoscimento della pari dignità di ciascuna nazione e supera la conflittualità e le concorrenze con la regola che obbliga a cercare insieme le strade per migliorare le sorti e le condizioni di tutti, senza penalizzare nessuno. Nella visione dello Stato nazionale c’è invece quasi una pregiudiziale di competizione e conflitto che la cultura post-moderna ha riportato in luce, come dimostrano le più recenti vicende dell’Europa. 2ª voce: sovranista Europa, Europa, tu ne parli molto: mi pare che confidi troppo nell’Europa ignorando l’esperienza concreta che negli ultimi tempi ne ha messo a nudo i difetti tra i quali quello di una Unione dominata dai più forti. Io non sono contro l’Europa, ma voglio un’Europa con più Sardegna e più Italia (che sarebbe, a pensarci bene, anche un’Europa “più”). Per essere ancora più espliciti, voglio soprattutto più Sardegna a tutti i livelli perché la mia patria è la Sardegna che sta in Italia e in Europa ma come seconda e terza opzione, non come posizione e condizione originaria e primaria. Questo sul piano ideale. Se poi guardo agli elementi nei quali si sostanzia la sua azione, l’impressione che l’attuale assetto e il prevalente indirizzo di governo dell’Europa non tutelino gli interessi della Sardegna viene confermata e l’esigenza di una riforma emerge con tutta la forza che deriva dal voler vedere meglio tutelati i nostri interessi, a cominciare dall’adozione di misure adeguate a compensare l’insularità, dalla quale derivano molte delle condizioni di inferiorità competitiva che penalizzano la Sardegna. Finora abbiamo sentito molte parole, ma non abbiamo visto nessun fatto. Oltre all’insularità bisognerebbe considerare che l’orientamento rigidamente liberista favorisce le grandi economie nell’uso dei poteri e delle risorse dell’Unione. Per illustrare la condizione di debolezza e di marginalità della Sardegna basta vedere la scarsa considerazione riservata a un comparto specifico della economia sarda, quello della produzione ovina che pur non confliggendo con comparti lattiero-caseari tedeschi, olandesi o francesi, non ha avuto l’attenzione che meriterebbe.Fino ad ora l’Europa così com’è non ci porta dunque alcun beneficio. Anzi, dopo la nostra uscita dalla fascia delle zone sottosviluppate, ci penalizza. I nostri interessi, mediati dal governo italiano, non hanno ottenuto l’attenzione che avrebbero meritato, tutte le nostre specificità si sono perdute nel mare di una indefinita e generica coesione sociale contraddetta alla radice dall’esigenza di tutelare la libera competizione di mercato che prevale su tutto. Quale vantaggio e quale utilità la Sardegna ricava oggi dall’appartenenza all’Europa è sempre più difficile da spiegare.Altra cosa è invece la condizione che hanno in Europa gli Stati nazionali più piccoli. Basta pensare a Malta, a Cipro, all’Irlanda, agli ultimi arrivati dall’Est. Tutti hanno potuto negoziare qualche deroga, e condizioni meno penalizzanti in materia fiscale, doganale e di aiuti alle imprese.Io sono sicuro che senza la mediazione distratta o influenzata da altri interessi più forti del governo italiano la Sardegna otterrebbe dall’Europa molto di più. Sono convinto che una soggettualità statuale farebbe la Sardegna in Europa molto più forte di quanto non sia oggi. 1ª voce: federalista Per l’Europa fermiamoci qui e torniamo al terreno procedurale e pregiudiziale, perché noi possiamo argomentare all’infinito con i ragionamenti ma non possiamo certo cambiare la realtà giuridica costituzionale che regola le procedure da seguire per la riforma della vigente Costituzione e dello Statuto di autonomia. Quest’ultimo prevede che l’iniziativa per la riforma può essere esercitata dal Consiglio regionale o da almeno ventimila elettori, ma la revisione può avvenire solo con legge costituzionale e quindi con procedure che non possono essere aggirate in nessun modo. La nostra unica forza, se così si può dire, è la natura speciale dello Statuto, che noi abbiamo sempre considerato di natura pattizia, cioè derivante dalla confluenza di due volontà e non dalla benevola concessione di un potere sovraordinato. Da questa natura pattizia deriva che lo Statuto non può essere modificato per volontà di una sola delle parti che hanno siglato il Patto ma solo dalla volontà comune. Se guardiamo obiettivamente a quale potrebbe essere l’esito di una trattativa di riforma seguendo il percorso previsto dalla Costituzione partendo dalla nostra realtà socio-politica e dal peso che essa ha nel panorama italiano non possiamo non vedere che la nostra posizione si è indebolita sotto molti punti di vista: a cominciare dal pensiero dominante nell’opinione pubblica che considera la specialità di alcune regioni, compresa la nostra, un privilegio anacronistico, non giustificato da nessuna ragione ragionevole, ma che sopravvive solo come residuo di una stagione politica ormai superata dalla storia complessiva del paese, che comprende anche l’insuccesso dell’esperienza regionalista. 2ª voce: sovranista Non sono sicuro di poterti seguire su questa strada. In linea di princìpio non posso negare agli altri quello che rivendico per me. Ogni nazione si autoriconosce e si autodetermina e quindi anche le popolazioni del Nord possono chiedere di essere riconosciute nazione e poter decidere liberamente del proprio destino.Sul piano politico pratico non sono convinto che gli interessi nostri vengano meglio tutelati stipulando un’alleanza, o addirittura un patto tra Nord e Sud per trasformare la Repubblica delle autonomie in Repubblica federale. Io continuo a pensare che noi dobbiamo seguire la nostra strada prescindendo dalle posizioni degli altri: o, meglio, tenendone conto ma senza subordinare le nostre azioni a una preventiva intesa con le altre regioni. 1ª voce: federalista Tutto qui lascia pensare che una richiesta di ampliamento e rafforzamento delle diversità, ben lungi dall’essere accolto con favore, troverebbe molte ostilità e poca o nessuna comprensione, e tanto meno un convinto sostegno. Il rischio che la Sardegna rimanga isolata e che l’iniziativa fallisca è molto alto. Paradossalmente, l’unica possibilità che si offre oggi ai rappresentanti delle regioni speciali, e quindi anche a noi, è quella che nasce dalla contemporanea rivendicazione di maggiore potere da parte delle regioni più forti che puntano a riformare la Repubblica su basi federali, sostenuti in questo, almeno per ora, da una vasta opinione pubblica. Inserirsi in questa tendenza potrebbe diventare necessario per non essere schiacciati e perdere clamorosamente altro terreno. Dentro il grande processo di riforma della Repubblica in senso federale anche le specificità della Sardegna possono trovare una loro più giusta collocazione. Possiamo decidere di adottare un modello federale a tutti i livelli (locale, provinciale, regionale), e dopo questa scelta politico-istituzionale decidere un modello di economia sobria fatta di consumi moderati che rifiuta gli sprechi e le ostentazioni di un lusso che non appartiene alla nostra cultura e alla nostra storia, tutela il nostro patrimonio culturale non ci costringe alla svendita dei beni materiali alle forze della speculazione, non ci sottrae il possesso e l’uso dei beni comuni, non tocca il diritto di cittadinanza, l’uguaglianza, la capacità di fruizione dei servizi fondamentali nel campo dell’istruzione, della sanità, della sicurezza, della giustizia perché la loro effettiva attuazione resterebbe in capo allo Stato federale piuttosto che alle singole regioni federali. 2ª voce: sovranista D’accordo in linea di massima, ma in molti punti ci vuole più precisione e più chiarezza. 1ª voce: federalista Chiarirò meglio. Per esempio, in materia di governance quando dico “noi” non lo dico nel significato del XIX e del XX secolo, ma secondo il senso del III millennio.Noi non siamo solo sardi, siamo italiani e siamo europei. Non possiamo fare la strada a ritroso: dobbiamo andare avanti, partecipare alla governance dell’intero sistema e trovare in esso le forme, le modalità, i contenuti per salvaguardare i nostri interessi e difendere la nostra identità, tenendo conto che la società sarda, come tutte le società del mondo occidentale, non è solamente la sua economia. Le persone che vivono in Sardegna hanno gli stessi ideali di vita delle persone che vivono in Piemonte, in Lombardia o in Baviera. Ognuno di loro è inserito nel sistema economico della propria regione, ma si considera parte di un sistema più vasto, che comprende l’Europa (per non dire il mondo). Parlare di nazione Stato partendo dal presupposto che niente o poco sia cambiato nella dimensione socio-economica e nella visione dei singoli individui può portare fuori strada e certamente non aiuta ad uscire dalla crisi sociale ed economica oltre che politica che ha investito la Sardegna. Per la salute dell’economia sarda, e per il suo futuro sviluppo, non è importante solo valorizzare le nostre risorse alle quali facciamo sempre riferimento, ma è essenziale accrescere l’attrattiva che la Sardegna esercita nel mondo. Ciò impone di pensare tutte le scelte non guardando al cortile di casa, ma a un mercato senza confini che ci obbliga a chiederci perché qui e non altrove e perché in uno e non in un altro modo. La domanda investe tutto l’insieme e non una singola questione come spesso accade oggi quando si parla del nostro patrimonio materiale, culturale e ambientale. Dobbiamo chiederci qual è il modo migliore di utilizzare le nostre risorse, com’è possibile aumentare le capacità dei singoli e dell’intera comunità regionale; quali le riforme utili per ampliare la base delle capacità singole e collettive, quella che porta allo Stato nazione e all’indipendenza o quella che punta su una federazione italiana ed europea? Quale modello di Stato assicura più capacità e più solidarietà, più libertà e più sicurezza, più sovranità e minore dipendenza? Sono queste le domande alle quali bisogna rispondere più che ai vecchi sentimenti o alle nuove rivendicazioni nazionaliste. 2ª voce: sovranista Nella tua posizione c’è qualcosa di sbagliato. Non consideri infatti che l’idea di nazione non è morta nel mondo e neppure in Europa.Anzi, essa domina la politica delle grandi potenze, quelle più antiche e quelle emergenti. La difesa degli interessi nazionali è tutt’ora al centro della politica sia negli Sati Uniti sia in Cina, in India, in Giappone come in Corea, Brasile Indonesia, in Germania come in Turchia, in Russia come in Iran. Tutti portano avanti una politica di difesa e di allargamento dell’influenza nazionale. Persino dentro l’Unione europea sopravvivono e riemergono interessi nazionali contrapposti e il modello post-nazionale che sembrava vincente è investito da una crisi senza precedenti alimentata dal conflitto tra gli stati fondatori e dalle esigenze delle piccole nazionalità regionali storiche, emerse di recente o emergenti che comprendono gli stati ex-sovietici, quelli balcanici e anche le aree dell’Italia del Nord, della Catalogna, della Scozia. Cosa dovrebbe fare la Sardegna in questo panorama di neonazionalismi emergenti nel mondo, in Europa e in casa nostra? Può fermarsi in fiduciosa attesa di vedere realizzarsi il sogno del federalismo post-nazionale europeo oggi in crisi evidente; può affidarsi soltanto alla sua scarsa forza economica e demografica per difendersi dall’offensiva di popolazioni molto più forti per far fronte ai conflitti con le regole di un timido federalismo, più ideale che sostanziale? O deve invece utilizzare positivamente le tendenze nazionalistiche in atto e diventare anch’essa un nuovo soggetto nazionale sovrano? Io non vedo alternative alla creazione di un moderno soggetto nazionale, cioè alla posizione che tu chiami “sovranismo”. 1ª voce: federalista Nessuno può negare che ci sono molte tensioni in Europa e nel mondo, compresi i nuovi nazionalismi che possono riportare indietro la freccia della storia.Siamo tutti in grado di vederle e tutti possiamo comprendere il pericolo. È proprio da qui che partono i miei ragionamenti. La via della pace e della cooperazione tra Stati e nazioni non è una strada senza ostacoli, non è un percorso tutto in discesa. Ci sono interessi, forze, ideologie, storie che si muovono in senso opposto tra loro.È il destino del mondo che è in gioco. Sono le grandi questioni ecologico-ambientali, economiche e civili che vanno affrontate da un nuovo angolo visuale che comprenda gli interessi di tutti, dei grandi Stati e delle piccole nazioni, secondo una visione che ponga al centro un’idea di giustizia che è insieme giustizia ecologica e giustizia sociale, un freno efficace all’uso speculativo delle risorse naturali e della distribuzione della ricchezza a favore di pochi privilegiati. Non si tratta solo di fissare i limiti dello sviluppo in senso naturale si tratta anche di fissare limiti forti all’uso ineguale, all’accaparramento delle risorse e dei beni da parte di pochi a danno di molti, alle diseguaglianze di reddito di cui si parla sempre ma non si riesce mai a modificare abbastanza. Partirei da una dimensione più ampia cioè dalla giustizia ecologica che non mette in discussione solo il quanto o il come, ma anche il chi ha diritto, con quali limiti all’uso e allo sfruttamento di tutti i beni comuni e non solo della biosfera che appartengono a tutti gli uomini, a quelli viventi ma anche (e forse soprattutto) a quelli che devono ancora nascere. Se i beni fondamentali sono di tutti e se il loro uso influenza la vita di oggi e quella di domani, vuol dire che tutto il campo dei concetti sui quali si fondano la proprietà e il diritto privato andrebbe rivisitato per renderlo più giusto non in un solo paese ma in tutto il mondo. Si tratta di un’impresa apparentemente impossibile che urta contro valori consolidati, invade il campo dei diritti individuali oltre che della sfera pubblica, tocca interessi ritenuti intangibili dalla coscienza comune, richiede una visione politica di larghissimo respiro e di lunga durata che può nascere solo da una presa di coscienza generale della ineluttabilità dell’adozione da parte della politica di un nuovo paradigma universale più giusto e più rispettoso dei diritti umani per tutti gli abitanti del pianeta Terra. Lo sviluppo sostenibile non deve basarsi solo sul rapporto uomo-natura in un ambito ristretto ma sul rapporto uomo – uomo, territorio-territorio, nazione-nazione del mondo, sull’equità generale, non solo sulla sostenibilità ecologica ma anche sulla giustizia tra generazione e generazione, tra nazione e nazione, tra persona e persona. La giustizia ecologica riguarda anche i viventi non umani, le generazioni future, i paesi e le persone svantaggiate. È assurdo pensare che tutto questo possa essere messo in capo a piccoli stati separati tra loro. 2ª voce: sovranista Ma anch’io sono convinto di quello che affermi. Il nostro progetto non è rivolto a impedire, ma semmai a favorire una migliore giustizia ecologica come quella che stai evocando. E nessuno ci impedisce di collaborare a politiche di vasto respiro che coinvolgono tutti gli stati del mondo. 1ª voce: federalista Tutto questo, però, impone una visione solidale molto diversa dal vecchio e anche dal nuovo nazionalismo: anche quest’ultimo infatti, contiene in qualche modo la pretesa di ottenere condizioni di privilegio non più sostenibili. Partendo da questa constatazione aggiungerei alle ragioni tradizionali più antiche (quelle della cooperazione e della pace tra i popoli, specifiche del modello federale rispetto ai modelli di stampo più centralistico nazionale) le ragioni post-moderne della giustizia e dell’ecologia, da adottare come princìpi centrali della convivenza umana e del rapporto uomo-natura, misurati e governati su un metro non più nazionale ma transnazionale e globale. Anche se diventassimo nazione-Stato la questione ecologica ci costringerà a fare i conti con poteri esterni alla Sardegna, ci obbligherà ad accettare vincoli, ad elaborare azioni comuni. Si potranno adottare anche misure locali ma non basteranno. Bisognerà accettare ciò che chiedono paesi vicini e paesi lontani. Quello che, guardando solo al cortile di casa, era ritenuto giusto e ammissibile e persino desiderabile può diventare ingiusto e inaccettabile nella dimensione più vasta che contiene e provoca condizioni di ingiustizia, di disuguaglianza che chiamano in causa noi insieme a tanti altri. Dobbiamo convincerci che l’idea che per essere più uguali, meno distanti uno dall’altro, meno dipendenti dalla generosità di altri, più garantiti, di avere uguali diritti, essere meglio tutelati nei rapporti di lavoro, più attrezzati per accedere alle occasioni offerte dal mercato, più liberi di scegliere i nostri governanti, è necessario non chiudersi al mondo esterno ma accettare una maggiore apertura orientata al perseguimento di una democrazia e di una giustizia globale. 2ª voce: sovranista Condivido in gran parte. Osservo però che nell’idea di giustizia che cresce e si allarga seguendo il corso della globalizzazione, oltre all’uso dei beni e alla disponibilità delle risorse, all’appartenenza di alcuni beni naturali come l’aria, il mare, le spiagge, le foreste, l’ambiente, e più in generale il patrimonio comune inalienabile, bisognerebbe considerare anche i beni immateriali, la lingua, la cultura, le tradizioni. per sottrarre i primi all’invadente appropriazione speculativa della colonizzazione e dello sfruttamento oggi dominanti e per proteggere i secondi dal pericolo di scomparire travolti dalla generale omologazione in corso nel mondo. Osservo inoltre che la globalizzazione non ha aumentato soltanto le diseguaglianze globali, ma anche quelle interne a ciascun paese. Una politica locale, un soggetto sovrano di giuste dimensioni può operare su un largo orizzonte per vedere meglio le diseguaglianze tra un paese e l’altro e su un orizzonte più ristretto per governare meglio quelle interne. Guardando solo le diseguaglianze nel mondo si rischia di sottovalutare l’importanza delle diseguaglianze presenti nella società locale. Per queste ragioni sostengo che per governare in maniera più giusta e più sostenibile non basta affidarsi a una migliore governance globale, ma c’è bisogno di un più efficiente governo locale, capace di farsi carico dei problemi specifici della dimensione regionale, pur collocandoli nel più vasto orizzonte europeo e mondiale. La scelta nazionalitaria e sovranista è per me la più giusta perché, anche adottando il punto di vista più ampio dell’interdipendenza globale e dello sviluppo sostenibile nel senso della giustizia sociale ed ecologica, questa non può non comprendere anche i fattori che costituiscono l’identità di ciascun popolo. In questo senso considero il mio modello più moderno e più efficace del tuo. 1ª voce: federalista Alcuni autorevoli studiosi della società post-moderna sostengono che dopo la globalizzazione non esiste più differenza tra politica estera e politica interna, perché la politica è diventata tutta interna ma nella dimensione mondiale. Non esiste alcun settore interno che si possa considerare non influenzato dall’esterno: anche la sicurezza e l’ordine pubblico, – tipiche materie affidate alla politica interna – si sono globalizzate perché criminalità e il terrorismo hanno scavalcato i confini nazionali e sono diventati fenomeni globali. Altrettanto si può dire per l’ambiente, per la cultura, l’informazione e ancor più per l’economia neocapitalista che sfugge totalmente al controllo degli stati nazionali. Per non parlare del campo delle relazioni industriali, un tempo riservato al rapporto tra sindacati e imprese, oggi sempre più condizionato dagli influssi esterni della finanza globale. Politica estera e politica nazionale sono diventate quasi una stessa cosa, rientrano in una sfera più larga di quella di un singolo Stato (sarebbe giusto chiamarle non più estera e interna ma globale e locale). Dì qui nasce l’esigenza, tra le altre, di impostare i rapporti non più sulla potenza e la forza ma su forme di collaborazione fondate sull’interesse comune.Si tratta di un passaggio necessario e forse inevitabile se si vuole andare oltre l’attuale fase di crisi generale e realizzare una governance su basi continentali e sempre più spesso mondiali. 2ª voce: sovranista Ma questo non contrasta con l’esistenza di uno Stato nazionale sardo, anzi in qualche modo lo giustifica e lo richiede. 1ª voce: federalista Non sono d’accordo che sia così. Anzi sono convinto che se restiamo ancorati alle vecchie impostazioni nazionalistiche siamo destinati alla sconfitta, perché i poteri esterni sono sempre più forti e numerosi. L’indipendenza nazionale non è in grado di fermare l’influenza di un processo globale orientato dal mercato, che a sua volta è dominato dal capitale internazionale. Per non essere in balìa della finanza internazionale bisognerà costruire una comunità mondiale di eguali, di popoli e persone con gli stessi diritti, un sistema sociale-economico e politico solidale e giusto, che obblighi persone, società, nazioni e Stati a confrontarsi non sulla base di rapporti di forza ma sulla base di princìpi generali che definiscono doveri, diritti, comportamenti e obblighi tenendo conto dei nuovi fattori della convivenza umana. Tutto questo significa ridisegnare i caratteri della democrazia, dell’economia, dell’ecologia, accettando che ci sia un mercato ma che non sia tutto solo mercato. La prima attività che si deve emancipare dal mercato è la politica che non può andare a rimorchio del mercato ma deve in qualche misura evitare le distorsioni e l’uso strumentale che creano squilibri e ingiustizie, violando princìpi di equità e giustizia nelle produzioni, nella distribuzione e nel consumo. Ottenere risultati nel breve periodo non sarà facile perché manca un sistema di governance globale che richiede tempo per essere costruito. Comunque è questa la nuova frontiera della politica. 2ª voce: sovranista Continuo a non vedere dove sta il contrasto tra le mie posizioni e le tue. 1ª voce: federalista Il contrasto sta nel fatto che la risposta alla domanda su che cosa dobbiamo fare per la Sardegna deve tener conto di tutto questo e non limitarsi all’uso delle vecchie strutture concettuali e politiche che hanno tenuto il campo finora. Quello che mi sembra certo è che dobbiamo stare dalla parte dei deboli, dei meno tutelati. Abbiamo bisogno di solidarietà. Anche se per molti aspetti apparteniamo all’area che gode dei vantaggi di un mercato senza vincoli e senza controllo, ne siamo la parte più debole. Dobbiamo scegliere una linea più solidale e più giusta, consapevoli che il sistema attuale, pur non essendo del tutto equo e giusto neppure con noi, è squilibrato soprattutto nei confronti delle comunità in forte ritardo di sviluppo. Tra queste due strade possibili di cui stiamo discutendo, cioè tra costruire una politica e un modello istituzionale sulla base dei princìpi, dei valori e dell’esperienza del XIX e del XX secolo o impegnarci in una politica e un sistema istituzionale aperti secondo i princìpi, i valori e le esigenze di democrazia e giustizia del XXI secolo, io scelgo la seconda. Scelgo quella più vicina alla sensibilità e alla visione delle nuove generazioni, che è anche più feconda di risultati persino per quanto concerne la difesa dei valori identitari perché esalta e valorizza i bisogni più moderni, la cura del patrimonio naturale, ambientale, culturale, umano e comunitario fondato sui valori di uguaglianza e giustizia, dignità della persona, inalienabilità dei beni comuni, rispetto della sobrietà nell’uso delle risorse fondamentali, rispetto del lavoro anche di quello più umile. Si tratta di beni da tutelare comunque e sempre, anche a costo di sacrificare l’aumento di ricchezza e del prodotto interno lordo se si deve ottenere con la svendita di ciò che ha un valore superiore, a volte anche solo simbolico, ma che in forme diverse rappresenta una componente dell’identità sarda più della componente di sangue. 2ª voce: sovranista Ma è proprio questo che noi sosteniamo. 1ª voce: federalista Non ne sono tanto sicuro. Contrariamente a voi, io sono meno legato agli interessi materiali e mi preoccupo maggiormente di tutto ciò che può condizionare il patrimonio etico-culturale da un lato e ambientale dall’altro. Può darsi che il mio programma possa apparire utopico e visionario perché è in contrasto con le tendenze imposte da un mercato dominato dall’idea che la qualità della vita sia data esclusivamente dal successo e dal denaro. Può darsi anche che nella mia posizione ci sia un certo margine di utopia. Ma se la politica dovesse rinunciare all’utopia limitandosi ad assistere passivamente al volgere del tempo accettando quello che viene, magari facendo finta di non sapere che il tempo non sogna, non immagina, non pensa secondo i bisogni, i desideri e le aspirazioni dei più deboli ma si limita semplicemente a scorrere, lasciando nelle mani dei più forti il suo orientamento, lasciandolo cioè al mercato, alle grandi concentrazioni di capitale, questo significherebbe mettersi nelle mani di chi non si cura delle disuguaglianze e della giustizia ma solo del denaro. 2ª voce: sovranista Ma anche io sono su questa linea. 1ª voce: federalista Forse. Ma non hai maturato del tutto l’idea che questo può voler dire cambiare la matrice della valutazione fondata esclusivamente sull’indipendenza e sul raggiungimento del livello di reddito pro capite delle regioni più sviluppate. Non hai ancora accettato che non è importante solo il livello del reddito e il riconoscimento della nazionalità ma che sono importanti anche e forse di più le condizioni in cui si svolge la vita, e tra queste le condizioni di libertà, di giustizia, di equità, di democrazia, di fratellanza, di possesso dei beni pubblici, culturali, ambientali, morali. Per me la discussione sulla riforma dello Statuto non può prescindere dall’esame del più vasto scenario cui ho fatto riferimento: uno scenario che non si esaurisce nell’alternativa tra autonomia federale e indipendenza, ma coinvolge anche le altre questioni più generali che ho richiamato. 2ª voce: sovranista Ma questo conferma la mia impostazione. 1ª voce: federalista Può apparire così. Ma approfondendo si scopre che senza una riforma della governance globale, senza il controllo delle forze dominanti, il mercato riprodurrà gli squilibri e le diseguaglianze, senza preoccuparsi dei diritti della popolazione e della tutela dei beni comuni. Noi stiamo nel mondo dei ricchi ma siamo la parte debole che può godere di qualche vantaggio ma solo per poco, perché se non partecipa a governare il proprio destino lasciandolo nelle mani dei più forti potrebbe trovarsi costretta a subire le loro scelte. Il nazionalismo e l’indipendenza potrebbero rivelarsi una trappola del sistema, nel quale vince sempre il più forte, cioè il mercato, vince non la giustizia ma l’interesse dei possessori del denaro. Ricercare la sovranità politica nazionale ad ogni costo può essere molto pericoloso anche per il fatto che viene esaltata la parte conflittuale e concorrenziale che ci condanna inevitabilmente a soccombere alla forza incontrollata del nuovo capitalismo e a tutti i fattori ad esso collegati. 2ª voce: sovranista Il tuo discorso è molto intrigante, ma va troppo al di là del contesto nel quale si colloca il nostro problema. Noi infatti siamo chiamati come sardi a risolvere prioritariamente la crisi nella quale versa oggi l’Autonomia, e con l’Autonomia il rapporto con lo Stato italiano. Questo non vuol dire che non vedo i collegamenti tra il nostro problema e i più grandi e complessi problemi della società post-moderna, post-industriale e post-nazionale. Siamo tutti figli del nostro tempo e subiamo l’influsso dei fattori che operano nella sfera globale. Ma non tutti la pensiamo allo stesso modo rispetto alla scelta delle politiche più utili e più favorevoli alla nostra causa. Non vedo perciò nulla che ci impedisca di affrontare la crisi prendendo una posizione diversa sulla questione del nostro rapporto con l’Italia e l’Europa. Sostenere il modello nazione-Stato non ci impedisce di collaborare e prendere posizione sulle questioni della giustizia ecologica, della giusta distribuzione dei beni, dell’eguaglianza della cittadinanza e di tutte le altre cose che tu hai così lungamente illustrato. Ci divide la soluzione istituzionale; io però, anche dopo tutte le tue osservazioni critiche e le riserve generali, continuo a pensare che il modello di Stato-nazione sia per noi ancora la soluzione migliore: e in un certo senso anche la più semplice e la più facile, sempre relativamente alle altre, perché sappiamo che di facile e semplice non c’è niente, e che ogni soluzione troverà molti ostacoli oltre che molte critiche. Ma da qualcosa bisognerà pur partire per uscire da una paralisi che dura ormai da troppo tempo. 1ª voce: federalista Nel corso di questo nostro dialogo abbiamo esaminato le procedure, i contenuti, gli ostacoli, i pro e i contro di una e dell’altra proposta. ma ora è tempo di decidere, e presto, in una sede ufficiale e con protagonisti legittimati da un mandato popolare chiamati a deliberare non su basi emotive e umorali, ma sulla scorta di ragionamenti e di dati oggettivi. A chi sarà chiamato a deliberare non potrà sfuggire quello che a me sembra emergere con sempre maggiore chiarezza nella crisi che attraversano oggi le istituzioni democratiche, e più in generale tutta la politica. E cioè che è venuta meno gran parte delle ragioni che avevano portato alla formazione degli Stati multinazionali su basi dinastiche e non potrà sfuggire il declino delle grandi ideologie sulla base delle quali si sono formati i due principali schieramenti comunemente definiti “destra” e “sinistra”. A questi due elementi va aggiunta la scomparsa delle preoccupazioni sulla sicurezza territoriale e sulle ambizioni di potenza che hanno segnato tutto il corso degli ultimi tre secoli e alimentato l’abnorme crescita degli eserciti le ambizioni del capitalismo monopolistico nazionalista e/o autarchico e l’uso improprio della tecnica. Ora la situazione non è più questa. È sempre più evidente che gli assetti precedenti non possono più reggere alle spinte che vengono dai cambiamenti in corso nel mondo. Bisognerà adottare nuovi paradigmi, dare spazio alle esigenze delle nazioni e degli Stati emergenti, fare i conti con le forze e con i territori che si affacciano da protagonisti nella storia e nell’economia; bisognerà inventare regole nuove per una effettiva governance globale dei fattori sovranazionali che sono sempre più forti e numerosi in campo economico, culturale, ambientale e della sicurezza globale. 2ª voce: sovranista Non nego che tutto questo mette dei limiti ad ogni soluzione, anche alla mia. Che però considero, perlomeno in una fase interlocutoria e certamente temporanea, la più rispondente alla domanda che chiede di dare un senso e una direzione chiara alla politica e alle proposte di riforma.A me sembra che il primo passo consista nel prendere atto che l’attuale assetto costituzionale non è più sostenibile. Non solo perché non corrisponde alle nostre legittime attese, ma perché non ha più il consenso pieno e convinto della maggioranza degli italiani. Rimanere fermi nelle posizioni di difesa dell’attuale assetto significa solo alimentare ulteriormente la crisi, aggravare il deficit di consenso e di coesione democratico-costituzionale, ampliare la ferita inferta alla solidarietà infraterritoriale e interpersonale, rendere più gravi le diseguaglianze tra territori e gruppi sociali, intaccare i diritti di cittadinanza, indebolire i servizi dello Stato sociale, rendere sempre più incerta la partecipazione dei cittadini alla vita democratica, abbandonare il campo nelle mani delle forze più aggressive e più organizzate del capitalismo finanziario nazionale ed internazionale, assistere passivamente alla progressiva privatizzazione dei beni comuni e allo sgretolamento del patrimonio culturale e ambientale di ciascun territorio. La proposta di riforma politica politico-istituzionale che io sostengo non risolve tutti questi problemi. Però costituisce l’avvio obbligato di un percorso che ci vedrà insieme a tante altre nuove o ridefinite nazioni-Stato impegnati a porre su basi più moderne, più efficaci e più condivise, sia i problemi della cittadinanza, sia i problemi della collaborazione tra le diverse nazioni , che infine i più impegnativi problemi della governance mondiale. 1ª voce: federalista Se le posizioni dei sovranisti fossero davvero queste che hai detto sarebbe più facile scegliere insieme il percorso migliore per uscire dalla crisi e avviare le riforme. A me sembra che la posizione degli indipendentisti, che io distinguo tra nazionalisti e sovranisti (dando a questo secondo termine una connotazione più nazionalitaria e meno nazionalista), non sia quella che hai illustrato così brillantemente. A me sembra che gli argomenti che sono stati usati fino ad ora per sostenere la posizione indipendentista (nazionalista o sovranista), non siano quelli che hai esposto ma siano fortemente ancorati alla teoria e alla pratica del passato, del tempo cioè che ha visto il trionfo dello Stato nazionale, sia pure inserito in una più larga associazione di nazioni-Stato solo formale, perché nessuno Stato nazionale ha mai rinunciato ad alcuna delle prerogative della sovranità, e solo in casi eccezionali è stato ignorato il princìpio di non ingerenza, nei Balcani, nel Medio Oriente e in Africa. Uscendo dalla cornice storica dello Stato-nazione e dal quadro chiuso e limitato delle tradizionali alleanze, quasi sempre di natura dinastica, anche l’idea dell’indipendenza perde una parte non piccola delle ragioni che la sostenevano. Quali sarebbero infatti oggi le funzioni e le finalità che giustificano la nascita di un nuovo Stato-nazione se esso ha già perso i suoi caratteri originari di sovranità su fattori fondamentali ormai definitivamente usciti dal suo ambito? A che scopo abbandonare lo Stato multinazionale del quale facciamo parte, seppure in condizioni non del tutto soddisfacenti per affrontare un percorso che sappiamo in partenza assolutamente inadeguato e quasi sicuramente provvisorio? Perché rischiare un conflitto duro e dall’esito incerto che potrebbe peggiorare le condizioni di cittadinanza, ridurre il tasso di sovranità del popolo sardo anche nelle materie collegate all’identità nazionale cioè sul suo patrimonio immateriale e ambientale che un piccolo Stato ha maggiore difficoltà a tutelare e difendere? Perché aprire un pericoloso vuoto di potere e di incertezza del diritto uscendo frettolosamente dalla cornice costituzionale che oggi regola la vita politica e sociale del paese del quale facciamo parte, non per costrizione ma per libera scelta? 2ª voce: sovranista Lo facciamo perché questo è quello che vuole la nazione sarda. 1ª voce: federalista Quel che vuole il popolo sardo non è ancora chiaro. E allora, perché invece di rincorrere un sogno che insegue cose antiche non cerchiamo di convincere il popolo sardo che è meglio dare corpo al sogno post-nazionale di una governance cooperativa e coinvolgente fra tutte le parti territoriali, sociali e culturali del paese? Perché non avviare un confronto che, partendo dalla conferma dei princìpi fondamentali della Costituzione repubblicana, metta in campo la rivendicazione di una partecipazione più ampia alla sovranità statuale italiana andando oltre l’attuale Autonomia che per quanto la si voglia ampliare non è più in grado di rispondere alle nuove esigenze nel campo sociale ed economico e persino nelle materie più collegate con l’identità in un tempo sempre più aperto alle influenze delle forze del capitalismo post-industriale e post-moderno? Perché non superare concettualmente e politicamente le illusioni di uno sviluppo ininterrotto e progressivo dei consumi voluttuari e invece difendere le “capacità fondamentali” dei cittadini evitando che il venir meno della crescita ininterrotta del PIL incida nella qualità dei servizi cui ha provveduto fino ad ora il welfare? Perché non procedere ad un riesame complessivo delle condizioni del Patto costituzionale che ci lega all’Italia per renderlo più adatto a dare risposte alle nostre domande senza rotture avventate e prive di qualsiasi possibilità di sbocco pacifico e condiviso? Queste sono le domande che mi vengono spontanee quando sento i tuoi ragionamenti, che mi confermano nell’opinione che il percorso da intraprendere deve partire dalla riconferma dei grandi princìpi della Costituzione repubblicana sui quali si fonda la cittadinanza, per poi individuare quali poteri, quali competenze, quali campi di attività di governo e attraverso quali forme di collaborazione e di assetto istituzionale possa realizzarsi una forte partecipazione alla sovranità, dovunque essa si collochi a tutela degli interessi generali della Sardegna, della sua identità nazionale e dell’uguaglianza di tutte le persone nella capacità di fruizione di tutti i diritti loro spettanti sulla base dell’appartenenza a pieno titolo alla nuova Repubblica federale italiana. Questo percorso rispetterebbe le procedure previste dalla Costituzione e dallo Statuto; sarebbe in linea con le tendenze e le domande di riforma che vengono dalla gran parte del paese; supererebbe le obiezioni sui presunti privilegi che pretenderemmo di conservare e ampliare; ci collegherebbe con le tendenze più moderne e più avanzate sulla governance mondiale; ci consentirebbe di avere più equità, più eguaglianza e più giustizia come regione e popolazione svantaggiata, e più rispetto dell’identità e dei beni comuni appartenenti a ciascuna comunità; ci porrebbe nelle condizioni di maggior forza non in quanto sostenitori di tesi egoistiche molto particolari ma in quanto assertori di diritti fondamentali e di bisogni generali comuni al resto del mondo.
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Questo non è un giudizio critico. Non ne sono capace. Intendo osservare, comunque, quella che mi sembra una novità: il tentativo (riuscito) di dare una veste poetica, quasi da teatro greco, ad un problema vasto e complesso come, appunto, si presenta “La nuova questione sarda”. Che è stata e resta problema politico cruciale per la nostra isola e per le classi dirigenti, in particolare per quella politica. Questo tentativo può contribuire a rendere la questione più sentita, più discussa e più partecipata oltre che nella fase di studio in quella di progetto e di realizzazione.
Il lungo prologo – anzi il primo e secondo prologo – fa da cornice all’intero problema e inserisce la “questione” in un contesto di memorie lontane. E di cui, però, abbiamo avuto diretta esperienza con personale immersione in un momento storico ed ambientale, che ha segnato la nostra infanzia prima e l’età della adolescenza poi. Una esperienza vissuta concretamente sulla nostra pelle in simbiosi con le nostre famiglie. Anzi con l’intera comunità. Un vissuto non lontanissimo, che ci ha segnato perché sofferto senza avere, allora, la sensazione di essere in qualche modo parte di una periferia, che indubbiamente ci collocava in una condizione di minorità, quando non di inferiorità. Rispetto al mondo della città, evidentemente.
L’ampiezza della trattazione della “questione” nei “dialoghi” non permette un immediato giudizio sui contenuti. Che certamente sono esaustivi pur nella complessità delle problematiche connesse al tema. Chi ha vissuto e trattato la questione sarda a diversi livelli e con autorevolezza politica ed intellettuale sono certo che in questa fatica ha sentito, con ancora più profonda sensibilità, il dramma di uno sviluppo, che sino ad oggi, per quanto auspicato e tentato, è mancato. E, fatto più grave, non appare nell’orizzonte politico e culturale, un segno di speranza e di ottimismo, che in qualche modo evidenzi attenzione o presa di coscienza della situazione di profondo disagio che la nostra Sardegna sta vivendo. E di conseguenza manca una visione o più semplicemente un progetto o un insieme di proposte per delineare un quadro di interventi e affrontare problemi istituzionali e programmatici sui quali poter misurare la nostra capacità di uscire dalla palude dell’indifferenza e dell’afasia.