L’evoluzione del sonno: nuove ricerche ed enigmi irrisolti [di Simone Gasparini]
MicroMega.com 10 maggio 2018. Perché dormiamo? Nessuna ipotesi scientifica finora formulata fornisce una spiegazione completa e soddisfacente. Tuttavia, grazie all’utilizzo di nuove metodiche sperimentali e all’adozione di un approccio evoluzionistico (che tenga quindi conto di come e perché si sia sviluppato il sonno) si sta iniziando a gettare luce su alcuni dei meccanismi e delle possibili funzioni attribuibili al sonno. Inoltre, lo studio di specie filogeneticamente antiche sta incominciando a delineare la funzione primaria che avrebbe potuto avere tale processo durante l’evoluzione. Nuove conoscenze stanno dando origine a nuovi quesiti e sfide interpretative per cercare di decifrare questa parte della nostra vita tanto rilevante quanto ancora da scoprire. Spendiamo circa un terzo della giornata dormendo, in parte sognando, per un totale di circa 25 anni (in media) trascorsi a dormire. Ma non siamo gli unici, quasi tutti gli animali infatti presentano delle fasi di sonno: dalle giraffe che dormono 3-4 ore al giorno, ai gatti che ne dormono 13 fino al pipistrello marrone americano che ne dorme 20. Alcuni tipi di uccelli migratori riescono addirittura a dormire con un emisfero cerebrale e mantengono attivo l’altro riuscendo così a continuare a volare durante le migrazioni. Essendo un fenomeno così permeante delle nostre esistenze, non sorprende che il sonno avesse destato curiosità anche negli antichi Greci. Platone infatti, anticipando Freud, riteneva che nel sonno venissero espressi i desideri più istintivi della persona, mentre Aristotele reputava i sogni essere delle riflessioni su quanto accaduto durante la giornata. Al giorno d’oggi, non possediamo ancora una conoscenza soddisfacente dei meccanismi che sono alla base del sonno, ma negli ultimi 50 anni sono state approfondite le fondamenta fisiologiche e molecolari di tale processo iniziando così a caratterizzarlo scientificamente. Prima però occorre definire ciò che si intende per “sonno”. Buona parte dei membri della comunità scientifica concorda nel descriverlo come caratterizzato da una quiescenza comportamentale e da una ridotta responsività agli stimoli. Tali caratteristiche non determinano tuttavia uno stato irreversibile (tutte le mattine infatti ci svegliamo) e ciò consente di differenziare il sonno da altri stati simili o dal coma, dove invece la responsività agli stimoli è quasi azzerata. In base a diversi parametri, tra cui la frequenza di scarica tra i neuroni delle diverse aree cerebrali (ossia quanto spesso i neuroni si mandano messaggi tra di loro), il sonno nei mammiferi è suddiviso in due fasi principali: il sonno REM e il sonno non REM o SWS (Slow Wave Sleep). Durante la notte possiamo osservare una continua oscillazione tra sonno non REM e REM, dove quest’ultimo costituisce circa il 25% del sonno totale. La fase REM è caratterizzata sia da un’intensa attività cerebrale (maggiore rispetto alla fase non REM), sia da un’inibizione quasi completa del movimento della muscolatura volontaria ad eccezione degli occhi che compiono dei continui e rapidi movimenti da cui deriva il nome REM (Rapid Eyes Movment). Il sonno non REM è invece costituito da quattro fasi caratterizzate da diminuzioni della frequenza di scarica tra i neuroni, dell’attività cardiaca, della frequenza respiratoria e della temperatura corporea rispetto alla fase REM. I sogni sono stati individuati anche nella fase SWS, sebbene risultino essere di minore impatto emotivo e di minori durata e natura visiva rispetto a quelli compiuti durante la fase REM. Ancora, due principali sistemi sembrano regolare il sonno nel nostro organismo: un sistema omeostatico e uno circadiano. Il primo tende a mantenere costanti le ore di sonno giornaliere, facendoci sentire stanchi e dormire di più quando riposiamo poco per recuperare così le ore di sonno perdute. Il secondo invece si basa sull’alternanza delle fasi di buio e di luce durante la giornata, si ritiene non sia strettamente necessario per il verificarsi del sonno, ma tuttavia ne consente una fine regolazione. Se quindi le fasi e i processi che si verificano nel sonno stanno iniziando a essere compresi, le funzioni attribuibili a tale stato risultano essere poco chiare. Tuttavia, alcune teorie riguardo le funzioni del sonno stanno iniziando a raccogliere alcune conferme sperimentali. In particolare, tre ipotesi riscuotono un parziale successo nel panorama scientifico. Una di queste è data dalla teoria SHY (Synaptic Homeostasis Hypothesis)[1] elaborata dal team dei ricercatori italiani Giulio Tononi e Chiara Cirelli dell’Università del Wisconsin. Secondo questi ricercatori in Homo sapiens il sonno potrebbe essere il prezzo da pagare per la “forza” sinaptica utilizzata dai nostri neuroni durante la veglia. Tale ipotesi evidenzia come durante il sonno vi sia una riduzione della forza con cui i neuroni comunicano tra loro. Circa il 2% delle connessioni fatte dai neuroni durante la giornata viene infatti perso o fortemente indebolito consentendo un ripristino della plasticità di molti circuiti neurali, permettendo così ai diversi gruppi di neuroni di rispondere in maniera più dinamica agli stimoli della giornata seguente. Tali fenomeni potrebbero anche essere ritenuti complementari a una seconda teoria sulla funzione del sonno che ne sottolinea invece l’importanza per il consolidamento dei ricordi[2]. Sembra infatti che specialmente nel sonno non REM vi siano delle interazioni tra l’ippocampo (sede della memoria a breve termine) e la corteccia cerebrale (dove invece si troverebbe quella a lungo termine) verso la quale si “sposterebbero” gradualmente i ricordi che vengono maggiormente consolidati. Una terza teoria coinvolge invece l’attività del sistema linfatico del cervello, denominato glinfatico[3].Quest’ultimo durante il sonno aumenterebbe la propria attività “ripulendo” lo spazio tra i neuroni dalle sostanze di scarto da questi prodotte durante la giornata. L’attività del sistema glinfatico sarebbe quindi analoga a quella della corrente di un torrente che, quando aumenta di intensità, porta via i detriti presenti nel proprio alveo. Infine, vi è anche una quarta ipotesi riguardo la funzione del sonno: l’ipotesi “nulla”. Secondo il filosofo della scienza Daniel Dennett ciò che necessita di una spiegazione non sarebbe il dormire bensì lo stare svegli: “… ma perché mai il sonno avrebbe bisogno di una chiara funzione biologica’? Ciò che necessita di una spiegazione è lo stare svegli. Madre Natura opera in economia, quando può”[4]. Dormire rimane pur sempre un bisogno vitale, se privati di cibo per circa un mese infatti si va incontro a morte ma lo stesso effetto è anche prodotto dalla privazione di sonno per un uguale periodo. In termini evolutivi non è ancora del tutto chiaro però perché il sonno si sia sviluppato così diffusamente tra le specie sebbene alcune indagini stiano iniziando a sviluppare ipotesi a tal riguardo. Questo avviene principalmente tramite lo studio del sonno in animali appartenenti a specie diverse e che siano il più possibile simili ai primi organismi in cui si ipotizza si sia sviluppato il sonno. Nei rettili si è osservato che tale stato presenta fasi diverse rispetto a quelle di mammiferi e uccelli (entrambi caratterizzati da sonno REM e non REM), forse anche a causa di differenze nella crescita encefalica e nella capacità di regolare la temperatura corporea. I primi mammiferi (Therapsida) risultavano però possedere un ciclo sonno-veglia invertito rispetto al nostro, essendo degli animali notturni. La probabilità di sopravvivere era infatti minore durante le ore diurne, popolate dai loro predatori. Si ritiene che l’evoluzione abbia così favorito inizialmente lo sviluppo di mammiferi di dimensioni ridotte che presentassero miglioramenti termici e sensoriali per adattarsi alle condizioni notturne[5]. La multisensorialità che distingue i mammiferi dai rettili si sarebbe potuta sviluppare proprio in questo periodo grazie all’ampliamento dell’olfatto e dell’udito a scapito della vista, meno utile nell’oscurità. Durante le prime fasi dell’evoluzione i mammiferi avrebbero quindi iniziato a sviluppare meccanismi in grado di mantenere la temperatura costante durante la notte. Successivamente, grazie alla scelta di un giaciglio appropriato dove la temperatura si manteneva costante, si ritiene abbiano sviluppato capacità omeotermiche (mantenimento della temperatura corporea costante) anche durante il sonno. Oggi, la stretta correlazione tra la capacità di regolare la temperatura corporea e le fasi del sonno ha lasciato però spazio a ipotesi volte ad analizzare il legame tra il sonno e il ritmo circadiano dell’individuo. In questo senso, tale ritmo è stato studiato anche in altri organismi evolutivamente antichi (che tuttavia presentano delle fasi di sonno) tra cui la medusa Cassiopea e il verme marino Platynereis dumerilii [6]. Il team di ricerca di Maria Antonietta Tosches dell’università di Francoforte ha accertato che le cellule poste alla sommità del verme hanno dei recettori simili a quelli presenti nei nostri occhi, che si modificano quando sono colpiti da un raggio luminoso, bloccando così la produzione di melatonina. Questa molecola inibisce il sistema nervoso e i movimenti del verme provocandone quindi l’“addormentamento” che coincide con il suo ritorno nelle profondità del mare, dove la melatonina viene degradata portando così il verme a riemergere. Si tratterebbe quindi di uno dei primi meccanismi influenzati dall’alternanza di luce e buio a evolvere per la regolazione del sonno; probabilmente infatti la melatonina era già presente 700 milioni di anni fa. In Homo sapiens invece, le cellule che reagiscono alla luce e che sono in grado di regolare la produzione di melatonina si trovano nella retina. Questi fotorecettori interagiscono così con alcune cellule presenti nell’epifisi (grazie alla mediazione di neuroni dell’ipotalamo), inducendole a produrre la melatonina così che a una minore presenza di luce corrisponda una maggiore produzione della molecola che ha l’effetto di sincronizzare i segnali tra i neuroni del talamo, struttura posta al di sotto dei due emisferi cerebrali. Dormire rimane comunque, in prima analisi, uno svantaggio evolutivo in quanto oltre a non consentire di procreare o di cibarsi espone maggiormente gli individui ad alcuni pericoli come i predatori. Alcuni teorici hanno ipotizzato che questi svantaggi siano controbilanciati da benefici quali il rafforzamento di alcune connessioni sinaptiche con la conseguente facilitazione dei processi di memorizzazione. Tuttavia, ciò rende difficile la comprensione del perché animali di specie diverse debbano andare incontro a tali pericoli. È stato però evidenziato come in realtà dormire non sia un completo svantaggio in quanto comporta anche un considerevole risparmio di energie. Sebbene quindi non siamo ancora riusciti a cogliere l’originaria funzione evolutiva del sonno, ciò sarà forse possibile quando riusciremo a individuare l’organismo filogeneticamente più antico caratterizzato da fasi di sonno. È infatti plausibile che il sonno abbia avuto una funzione cardine comune ai primi esseri in cui si è sviluppato per poi acquisire altre funzioni accessorie nelle diverse specie con il proseguire dell’evoluzione fino ad arrivare allo stato attuale. In tal senso bisognerà considerare anche l’importanza del ritmo circadiano sia come fattore fondamentale nella regolazione del ciclo sonno-veglia, sia come elemento da cui poi alcuni animali in parte si sono distaccati grazie allo sviluppo di altri meccanismi per la regolazione del sonno stesso. In ultima analisi, è possibile che in futuro, tramite l’utilizzo di strumentazioni più raffinate e il confronto con specie filogeneticamente più antiche, l’enigma del sonno possa essere svelato portandoci quindi ad avere un contributo scientifico aggiornato per rispondere anche ad importanti quesiti filosofici. Tra questi il rapporto tra sogno e realtà, esemplificato paradossalmente dal filosofo Zhuang Zhou nell’aforisma: “Figlioli, questa notte ho sognato che ero una farfalla: ora io non so se ero allora un uomo che sognava d’essere farfalla, o se io sono ora una farfalla, che sogna di essere uomo. So che l’una o l’altra risposta sono parimenti logiche”[7]. NOTE [1] Tononi, G., and Cirelli, C. Sleep and synaptic homeostasis: a hypothesis. 2003.Brain Res. Bull. 62, 143–150. [2] Buzsáki G. Two-stage model of memory trace formation: A role for “noisy” brain states. 1989. Volume 31, Issue 3, Pages 551-570. [3] Jessen, N.A., Munk, A.S.F., Lundgaard, I. et al. The glymphatic system: a beginner’s guide. 2015. Neurochem Res 40: 2583. [4] Dennett DC. Darwin’s dangerous idea: Evolution and the meaning of life. 1996. New York: Simon & Schuster [5] M.C. Nicolaua, M. Akaa, A. Gamundi, J. Gonzàlez, R.V. Rial. Why we sleep: the evolutionary pathway to the mammalian sleep. 2000. Progress in Neurobiology 62, 379-406. [6] Maria AntoniettaTosches, DanielBucher, Pavel Vopalensky, DetlevArendt. Melatonin Signaling Controls Circadian Swimming Behavior in Marine Zooplankton. 2015. Cell, Volume 159, Issue 1, Pages 46-57. [7] Zhuang Zhou. Zhuangzi (capitolo: Sull’Organizzazione delle Cose). III sec. AC. circa
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