Il Movimento 5 Stelle e la critica del potere [di Tomaso Montanari]

Lega Nord (North League) leader Umberto Bossi speaks on stage during a pre-election rally in downtown Milan April 11, 2008. Italy goes to the polls in a general election on April 13 and 14. REUTERS/Alessandro Garofalo (ITALY)

Huffington Post, 24 maggio 2018. In un passo memorabile dell’Amleto, il principe chiede al suo Polonio di alloggiare i commedianti appena arrivati a corte. “Signore, li tratterò secondo il loro merito”, risponde quello. E Amleto, bonariamente rimproverandolo: “Meglio, amico, meglio. Se trattate ognuno secondo il proprio merito, chi si sottrarrà alle busse? Trattateli secondo il vostro onore e la vostra dignità.”

Ecco, mi piacerebbe che un Amleto fosse capace di dire oggi la stessa cosa ai vertici e agli attivisti del Movimento 5 stelle. È infatti un grave errore respingere con sdegno aggressivo ogni critica (anche quelle amichevoli o comunque fondate) invocando sempre un solo argomento: che il Pd ha fatto peggio. Come se il metro del giudizio e delle scelte fosse appunto da cercarsi nel merito degli “altri” e non nella propria dignità.

Facciamo tre esempi, assai diversi per peso e importanza, ma egualmente eloquenti. Il primo è la scelta di governare con la Lega. Non ripeterò quanto ho detto altrove: ritengo del tutto improprio parlare di alleanza giallo-verde. Perché il colore della Lega di Salvini è il nero di un partito lepenista, razzista, con elementi concreti di neofascismo, cresciuto attraverso una retorica violenta e squadrista.

Personalmente credo che la visione dell’Italia della Lega sia radicalmente incompatibile con quella del Movimento. Ma so benissimo che solo alcuni milioni di elettori del Movimento condividono questa opinione: certamente non la maggioranza. E questo è un conto che quegli elettori risolveranno nelle prossime urne. Il punto qui è un altro, e riguarda una pietra angolare dell’identità storica dei Cinque stelle: la trasparenza, e la relativa coerenza. Ebbene, l’aver assicurato in ogni modo, in pubblico e in privato, che mai ci sarebbe stata un’alleanza con la Lega e poi l’aver ribaltato questa posizione all’indomani del voto non è una mossa che si possa archiviare nella cartella del realismo, vedi cinismo, politico.

Sì, è vero: Renzi ha governato con Berlusconi. Ed è vero: Minniti ha fatto politiche razziste e xenofobe. Ma se i Cinque stelle vogliono essere diversi, se vogliono essere davvero “onesti”: il parametro non può essere il merito (scarsissimo) degli altri, ma la loro propria dignità. (E noto, fra parentesi, che le ragioni, comprensibili, per cui il Movimento dice di voler imporre, sbagliando gravissimamente, il vincolo di mandato dei parlamentari, cozzano con la nascita di questo governo: se la Lega fosse stata vincolata agli impegni presi con gli elettori, cioè stare nella coalizione del centrodestra, nulla sarebbe nato. Perché questo è un governo nato sullo “svincolo di mandato”).

Il secondo è l’accettazione della flat tax. Si discute molto della sua sostenibilità: quasi per nulla della sua equità. Ebbene, è una misura così grave da scardinare l’intero progetto della Costituzione, e non solo da ribaltare il suo articolo 53.

I 5 Stelle hanno detto più volte che il loro programma coincideva con la Costituzione, che hanno valorosamente difeso nel 2016. Cedere alla Lega sulla flat tax significa tradire se stessi in una misura non sanabile: equivale a ciò che Renzi ha fatto con il Jobs act, per dire. E anche qui, è vero: il Pd ha enormi responsabilità nella cancellazione della progressività fiscale: ma, di nuovo, il parametro non può essere il merito (scarsissimo) degli altri, deve essere invece la propria dignità.

Il terzo caso, assai meno rilevante ma molto rivelatore, è il curriculum del professor Giuseppe Conte. Il quale non ha tecnicamente scritto il falso. Ma ha fatto comunque qualcosa di assai disdicevole, per l’etica della professione cui appartiene (che è anche la mia).

Se io, professore ordinario, scrivo che ho perfezionato i miei studi presso la New York University (o in tutte le altre istituzioni accademiche estere menzionate in quel ridondante curriculum) si può intendere solo che l’ho fatto essendo accolto in veste ufficiale (e dunque con rilevanza pubblica e documentabile) da quella istituzione. Se sono andato a studiare nelle biblioteche di quelle università, a trovare la fidanzata che ci lavorava o a imparare una lingua, ebbene allora non lo scriverò nel curriculum: perché scrivere che un professore va in biblioteca o studia è come scrivere che uno respira.

Il sapore che se ne trae è molto amaro: perché è quello di una furbizia spicciola. E a nulla serve dire che nessuna affermazione può essere smentita: non può esserlo perché sono affermazioni scritte in modo furbesco, avvocatesco, volutamente vago e suggestivo, per far credere ciò che non è e poter poi, però, far marcia indietro. Non se ne ricava un’immagine seria e affidabile.

E, per la terza volta, il Pd ha fatto peggio? Ma certo: il caso Fedeli e soprattutto il caso Madia sono stratosfericamente più gravi, avrebbero dovuto condurre a immediate dimissioni: ed è stato vergognoso il silenzio di molti media. Ma chi grida “onestà, onestà” non può assumere come metro il demerito degli avversari, deve misurarsi con la propria dignità.

Affidare un governo dirompentemente politico a una figura tecnica così esile è il vero problema, naturalmente: ma quando poi si legge quel curriculum l’effetto è drammatico. Perché non se ne può che dedurre che siamo nell’eterno paese dei furbi, dove l’antropologia del potere e del suo sottobosco non cambia mai. Non basta non dire il falso: le parole scelte da Shakespeare sono, guarda caso, le stesse che la Costituzione impone a chi ricopre cariche pubbliche: dignità e onore. Che invano si cercano in quel curriculum.

So che dire queste cose mi attirerà un profluvio di insulti, e magari l’accusa di tradimento da parte di chi (a ragione) mi considerava aperto e anche amico del Movimento. Quando Luigi Di Maio mi ha chiesto di stare, prima del voto, nella lista dei ministri ho declinato, spiegando lealmente il mio dissenso incomponibile sul punto del vincolo di mandato. E gli dissi che se mai si fosse arrivati a una riforma costituzionale in quel senso, avrei promosso il No allo sperabile referendum. Questo non ha turbato i miei rapporti personali con Di Maio: Cosa vuol dire essere amico? Compiacere o dire la verità?

Gli esponenti del Pd che in questi anni ho duramente criticato, rispondevano strumentalmente che le mie critiche erano di parte, e di parte “grillina”. Sbagliavano, era esattamente il contrario: la mia apertura al Movimento era determinata dal tradimento radicale e dalla degenerazione del Pd. E non è certo che ora io lo rivaluti, se critico il Movimento.

Il punto è un altro: chi fa il mio mestiere ha il dovere di “Non lasciare il monopolio della verità a chi ha il monopolio della forza” (Norberto Bobbio). Nel momento il cui il Movimento va al potere, la critica deve essere senza sconti, e deve essere fatta secondo il metro e i principi del Movimento, non secondo i demeriti del Pd.

Ed è particolarmente importante che questa critica venga da voci libere, e non schierate con una qualche opposizione: tanto più importante quanto più il potere ottunderà la critica (esemplare, di nuovo, il caso del curriculum: scioltosi come neve al sole appena arrivato l’incarico, e cioè con la promozione ad ‘intoccabile’). Il più grave problema dei 5 Stelle è l’assenza di democrazia interna e l’incapacità di accettare il dissenso. Nella stagione che si apre ora, il Movimento dovrà dimostrare di saper accettare, metabolizzare e magari mettere a frutto le critiche: cioè di fare tutto quello che l’isterico Pd renziano non ha saputo fare.

Renzi imprecava contro gufi e rosiconi. Spero che il Movimento sappia essere davvero diverso: a partire dal modo di porsi nei confronti della critica. Un punto, in democrazia, davvero vitale.

 

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