La storia ci ha tramandato un profilo elevatissimo di Ugo, figura leggendaria che esercita un fascino eccezionale. Uomo dotato di grandi doti spirituali e di uno straordinario carisma personale. Il suo mito è diventato un’icona di valori perenni a cui tutti gli amministratori dovrebbero ispirarsi, traendo esempio dalle sue eccelse capacità. Da capo politico Ugo ha testimoniato e trasmesso valori di attaccamento alla propria terra, coscienza e onore, come pochi altri hanno saputo fare. Pur godendo, questi, di una fama immeritatamente maggiore. La vita di Ugo, vissuta con coerenza ed energia, è diventata un esempio irripetibile da ammirare. Egli si è sempre inchinato ai valori perenni, mai a un padrone.
Nobile testimonianza della verità consolidata che gli uomini che si inchinano ai valori e alle tradizioni sono quelli che meno si inchinano ai potenti di turno e che coltivano fortemente aspirazioni libertarie e autonomiste. L’illuminata politica di Ugo ha consentito ai suoi amministrati di vivere al riparo di arbitrii e vessazioni e ha consentito il radicamento di un grande pluralismo istituzionale e politico. La sua autorevolezza è stata quasi taumaturgica e portatrice di fortune, capace di moderazione e giustizia, più che di comando e coercizione.
Ugo ha saputo dimostrare come si possa essere più un garante delle tradizioni e della libertà che un governante nel senso pervasivo del termine. Grazie a lui i cittadini hanno sviluppato un forte impegno per una generale riscoperta di valori fondamentali di coscienza e di onore e hanno fortificato la volontà di difendere e migliorare la propria terra per lasciarla in eredità alle generazioni future.
Chi sabato scorso ha partecipato alla convention di Forza Italia alla Fiera di Cagliari, oppure ne ha letto i resoconti sulla stampa, si starà interrogando incredulo: “Ma si tratta di Ugo Cappellacci?” In effetti, come potrebbe trattarsi dell’Ugo a cui Berlusconi ha cambiato cognome con una spiritosissima e delicatissima barzelletta? No, non si tratta di Ugo Cappellacci umiliato e reso zimbello dal suo mentore.
Il profilo tracciato è quello di Ugo di Toscana (950-1001) margravio dal 970 fino alla sua morte. Ricordato da Dante nella Divina Commedia, canto XVI del Paradiso. L’altro, Ugo di Sardegna, è il vicepresidente della Sardegna, da cinque anni feudatario di Berlusconi con qualche improvvido tentativo di sganciarsi dall’ingombrante padrone, il vero governatore dell’isola, che sabato scorso ha dichiarato di essere felice di tornare nella “sua” Sardegna. Di lui la storia tramandata ai posteri dirà a malapena che nacque da Giuseppe, commercialista del monarca Silvio e che al padre succedette, sempre in qualità di commercialista. Dirà anche che, sempre sorridente, si distinse per aver eseguito gli ordini del Cavalier Silvio, quando si trattò di consentire espropri e saccheggi delle pertinenze economiche e ambientali dell’isola.
Un redivivo Dante Alighieri non avrebbe dubbi nel collocare Ugo di Sardegna nel Canto III dell’Inferno, dove sono descritti gli ignavi, i dannati “che mai non fur vivi”, coloro che durante la loro vita si limitarono ad obbedire e ad adeguarsi sempre. Secondo la riflessione dantesca, chi si sottrae ai suoi doveri verso la società non è degno di stima e di ammirazione.
Il 16 febbraio, data del voto per il rinnovo del Consiglio Regionale della Sardegna, è alle porte. Andrà a votare, secondo i risultati dei più recenti sondaggi, solo il 50% dei sardi aventi diritto. E’ vitale per la Sardegna che Ugo, quello di Sardegna col cognome modificato, quello mortificato da Berlusconi, non vinca le elezioni. Si aggiungerebbe danno al danno, disastro al disastro, indegnità ad indegnità. Quel 50% di non voto, al momento dichiarato, è quello che farà la differenza.
Recuperare consensi e fiducia da quel bacino è fondamentale per le coalizioni che fanno capo a Francesco Pigliaru e a Michela Murgia, che dovranno rendersi affidabili e credibili a quella fascia di elettori delusi e sfiduciati che la cattiva politica ha portato a convincersi che “tanto sono tutti uguali”.
Quegli elettori che non sono interessati alla riproposizione della teoria ormai logora del voto utile, ma ad una proposta politica seriamente alternativa di buon governo della Sardegna dove prevalga davvero, e finalmente, l’obiettivo del bene comune e non quello del becero interesse individuale.
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