Il Giornale dell’Arte 387, giugno 2018. «Se questo sarà un Governo del cambiamento, che abbia idee davvero nuove. E inizi raddoppiando il bilancio del Ministero»
Professor Settis, da anni si lamenta la scarsa attenzione prestata dalla politica alla cultura e alle politiche sui Beni culturali. Ma forse mai come oggi sconcerta il totale disinteresse, come si evince dalle poche righe dedicate alla voce «Cultura» nel Contratto di governo tra Lega e Movimento 5 Stelle, ma anche dall’assenza di qualsiasi riferimento al prossimo ministro dei Beni culturali negli ottanta giorni di consultazioni per il nuovo Governo. Che cosa ne pensa? È stupito?
La cultura non è del tutto assente nel cosiddetto contratto di Governo. Peggio: c’è, ma con luoghi comuni e affermazioni così vaghe ed elusive che sarebbe stato meglio che non ci fosse. Tomaso Montanari ha dichiarato a «Il Fatto» che le intenzioni dichiarate dal «contratto» coincidono con le idee di Dario Franceschini, ed è vero. Ma, a stare ai giornali, Luigi Di Maio aveva proposto a Montanari di essere ministro dei Beni culturali, e le sue idee sono opposte a quelle di Franceschini. Mi è difficile capire come mai si passi da un estremo all’altro. Forse perché non c’è stata nessuna vera riflessione su questi temi? O perché i due alleati hanno idee comunque inconciliabili? La retorica che a parole mette la cultura al centro per poi emarginarla nei fatti non ha davvero nulla di nuovo.
Considerata la compagine Lega-M5S, al momento di andare in stampa incaricata del nuovo Governo, quale pensa che potrebbe e dovrebbe essere il profilo del ministro dei Beni culturali?
Se questo ha da essere un Governo del cambiamento, si scelga qualcuno che abbia idee davvero nuove, e comunque diverse da quelle che hanno finora fallito. Che capisca il ruolo del diritto costituzionale alla cultura nella vita della democrazia. Che colleghi storia e produzione dell’arte, scuola, ricerca, università, tutela del territorio, Soprintendenze, musei, senza slegare l’una dall’altra queste componenti essenziali.
Ha qualche specifico timore, anche alla luce della vaghezza del Contratto?
Il timore è che si continui a lanciare parole roboanti per nascondere il nulla. Non sarebbe un gran cambiamento. Ma vedremo che cosa farà il presidente del Consiglio, visto che secondo la Costituzione è lui (e non i capipartito) che «dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile» (art. 95).
Da grande esperto quale lei è, quale specifico consiglio si sente di dare?
Al prossimo ministro suggerirei con urgenza di ritrovare il nesso musei-territorio senza mortificare l’indipendenza dei direttori di museo. Di avviare immediatamente un vasto programma di nuove assunzioni basate sulla competenza, l’esperienza e il merito. Di intervenire sui piani paesaggistici, per le Regioni (quasi tutte) che non li hanno fatti, esercitando il potere sostitutivo del Ministero, finora inerte. Di studiare un nesso organico tutela-educazione-ricerca. Di promuovere (in Italia!) lo snodo fra storia dell’arte e produzione artistica. Di rafforzare la neoistituita Scuola del Patrimonio.
Quali sono le urgenze che il prossimo ministro dovrà affrontare e quale il contributo positivo che potrebbe portare un Governo con questo profilo?
Se fanno sul serio, raddoppiare il bilancio del Ministero perché quel che ho appena detto sia realizzabile.
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