Oggi Gesuino Muledda è tornato per sempre ad Oniferi [di Umberto Cocco]
Questo pomeriggio le ceneri di Gesuino Muledda saranno tumulate per sua volontà nel cimitero di Oniferi, “sa viddeddha” (come la chiamavano i vicini) dalla quale andò via negli anni ’50 ancora ragazzino per il percorso di studi, la formazione culturale dal collegio a Lanusei all’università a Sassari, la laurea in Lettere, l’insegnamento e l’incarico di preside in Ogliastra, a Barisardo e a Gairo dove poco più che ventenne viene eletto sindaco cominciando la vita tutta politica alla quale la morte ha messo fine. Non la malattia: ogni giorno di vita era una concessione che non si poteva permettere di sprecare, diceva, per costruire una prospettiva di sinistra nonostante tutto alla Sardegna. Di Oniferi conservava relazioni, memoria, ne parlava la lingua – anche con qualche compiacimento – scrivendo versi estemporanei, che affidava a messaggi telefonici negli ultimi anni, inviandoli agli amici (mentre scopriva i social e vigilava per qualche ora al giorno il flusso di facebook credendo che un pezzo della battaglia politica si manifestasse e forse anche si giocasse in quel canale). Rievocava Oniferi e rappresentava la sua comunità e la sua famiglia al limite del mito, per la fatica del vivere – in quegli anni, poi! – e il calore che nonostante tutto ne promanava, la spinta all’emancipazione e l’ansia dell’affermazione dei figli attraverso gli studi, che in fondo è il racconto della Sardegna interna del dopoguerra, delle classi dirigenti con le quali in parte abbiamo ancora a che fare, dei ceti intellettuali formati mettendo insieme litri di latte, chili di lana, privazioni, collegi, ore di latino e greco. Incontrato presto il Pci di nuovo attraente dopo i fatti d’Ungheria, la destalinizzazione, l’affermarsi dell’idea di una via italiana al socialismo, il sostegno ai movimenti di liberazione del Terzo Mondo, la funzione degli intellettuali nelle dinamiche di classe che l’industrializzazione scatena, nel Mezzogiorno e in Sardegna sotto forma di emigrazione, di impoverimento, di rigurgito della criminalità, Muledda è agli inizi degli anni ’70 uno dei pochi sindaci comunisti lontano dalle zone minerarie, di area pastorale, militante colto, ‘studiato’, mentre sull’onda della Rinascita proprio la questione delle zone interne e della pastorizia arretrata si sta imponendo come centrale nel dibattito politico e culturale. Si ritrova consigliere regionale a 32 anni nel 1974, quando il voto al Pci prende anche nella provincia di Nuoro dimensioni di massa grazie agli operai di Ottana e Arbatax, e a Cagliari è presto un protagonista, muovendosi nello scontro fra Andrea Raggio e Umberto Cardia più dalla parte del concretissimo geometra di Aritzo che del più aereo e sofisticato intellettuale ex sardista, e siccome è il primo, Raggio, a condurre il Pci nel passaggio alle grandi intese con la Dc e i socialisti, dunque nell’area del potere, Muledda è lì, concreto e poco ideologico, con le sue esperienze a Gairo alle prese con gli usi civici, a Oniferi con la pastorizia nomade e i figli dei pastori diventati operai chimici, e si ritrova a 38 anni assessore nella giunta Rais, assessore agli enti locali e all’urbanistica, e due anni dopo all’agricoltura, nella giunta guidata da Mario Melis. Sono giunte di sinistra, ma Muledda ha ottimi rapporti anche con i democristiani, qualcuno pessimo dentro il partito – come accade spesso – e conduce per anni con sicurezza e persino qualche tratto di spavalderia soprattutto l’assessorato all’agricoltura facendo politica come nessun altro dopo di lui, riprendendo i fili della riforma agro-pastorale e cercando di costruire aziende stabili, insediamenti rurali, accorpamenti, favorendo investimenti in innovazione e guardando ai mercati e alla promozione. Questo si ricorda di lui, le campagne pubblicitarie per i formaggi, e i 600 miliardi di lire per la siccità che erano effettivamente un’enormità e avevano il sapore dell’assistenzialismo e dei contributi a pioggia, ma salvarono migliaia di piccole aziende, un presidio umano rurale la cui salvaguardia non aveva prezzo, diceva. Uscì fortissimo di potere e di consenso da quell’esperienza, ancora qualche anno dopo fu il candidato del Pci più votato, con 12mila voti nel collegio di Nuoro quando il partito stava entrando nella sua crisi irreversibile. Con Cogodi ed Emanuele Sanna, è stato il rappresentante della generazione sarda post togliattiana che è arrivata al potere, e questa pratica che tutti e tre hanno coltivato li ha resi agli occhi di molti dentro il loro stesso partito, concreti sino alla spregiudicatezza, esposti a rapporti pericolosi, dimentichi degli ideali, al centro di strutture di potere correntizie interne e a volte trasversali. Muledda riteneva che venissero da lì, dal partito, le inchieste della magistratura per un investimento in Ogliastra dalle quali uscì dopo molti anni pulito e provato. Poi l’evoluzione della sinistra dopo il Pci fece il resto, gradualmente non ci si riconosceva più, conservava i rapporti umani e li coltivava cercando di portare verso il Psd’Az prima e i Rossomori dopo i compagni che riteneva ancora ispirati a un ideale. Sempre con quell’aria sicura di sé e insopportabile a molti, dietro la quale rivelava bontà e mitezza, un tratto umano e quella paziente pratica pedagogica a volte insopportabile pure quella, nella quale si intravedeva la sua formazione di docente e del dirigente politico che non si ferma mai, che non conosce sosta. La malattia ha accentuato questo profilo di costruttore, nella sua ansia di radicare a sinistra un indipendentismo che stava assumendo forme pericolosamente chiuse e reazionarie proprio quando lui aveva pensato di trovare nel sardismo una prospettiva che il Pd non coltiva più. Gli storici che stanno studiando quegli anni, in Sardegna, tendono a descrivere il Pci come subalterno alle politiche della Dc, della quale sarebbe stata l’egemonia, fra Rinascita, industrializzazione, riforma agro-pastorale, comprese le forme della politica sarda, il rivendicazionismo nei confronti dello stato centrale, l’autonomia. Ma Muledda – che dissentiva da questa lettura – riaffermava la carica anti-moderata della sinistra sarda e del Pci anche di formazione pre-sessantotto, proprio quella che si misurò con il potere e lo seppe gestire difendendo categorie sociali che l’interclassimo democristiano lasciava ai margini del pur asfittico sviluppo. Materia in evoluzione, ovviamente. E Muledda sembrerebbe antico, nella sua dimensione tutta politica, sino alla fine. Invece è una di quelle vite che dicono moltissimo dei limiti e del colore della Sardegna e del mondo in cui è vissuto, che si ostinava a credere di potere emancipare sino all’altro giorno, pensando anche ai nipoti. |