Architetture interrotte (VII) [di Franco Masala]
Nel 1954 l’ Anfiteatro Romano di Cagliari fu concesso per 29 anni all’Ente Sardo Industrie Turistiche allo scopo di valorizzarlo. Nel clima di quegli anni legati alla realizzazione di diverse strutture alberghiere, in genere collocate all’interno del territorio regionale, secondo previsioni che il turismo balneare della metà degli anni ’60 avrebbe clamorosamente smentito, all’antico manufatto, allora ancora abitato da chi aveva perso la casa durante i bombardamenti, era affidato un ruolo importantissimo. Dopo la prima entusiasmante stagione lirica del 1956, si decise di predisporre un progetto, affidato all’architetto Vico Mossa, che dopo varie vicende fu respinto definitivamente poiché il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione considerò le strutture stabili incompatibili con un monumento nazionale ai sensi di legge. Si trattava di un palco girevole, posto sull’arena, con possibilità di abbassamento fino alla platea per attuare un teatro totale. Durante l’inverno le attrezzature avrebbero trovato posto sotto una piattaforma con scheletro metallico sul piano dell’arena. Nonostante le conclamate intenzioni contrarie, si trattava di un intervento molto pesante che avrebbe alterato inevitabilmente l’aspetto del monumento. Di anno in anno si continuò ad utilizzare una struttura su ponteggi Dalmine Innocenti che rimaneva semistabile, quando nel 1964 la rescissione della convenzione con l’ESIT riportò l’edificio all’amministrazione comunale. Tra alti e bassi, l’edificio fu usato come luogo per spettacoli di varia natura fino al 1967, quando l’accesso disagevole alla gradinata e l’insufficienza degli ingressi, denunciati dalla Soprintendenza Archeologica, portarono alla interdizione degli spettacoli. Alla fine del 1972 venne bandito un concorso nazionale per la sistemazione dell’Anfiteatro, concluso con la segnalazione di cinque progetti con ampie critiche e senza alcun risultato pratico. Erano tutti, infatti, interventi invasivi sulle parti antiche, occultate o pesantemente manomesse con strutture teoricamente mobili, ma sempre estremamente difficili da rimuovere, così da ribadire l’annoso problema dell’intervento e dell’utilizzo di strutture antiche nate con altri presupposti e da adattare a situazioni di spettacolo, drammaturgiche e tecnologiche, completamente diverse. L’unico aspetto positivo parve l’atto di coraggio dell’amministrazione civica, che ricorreva ad un concorso nazionale contro la prassi consolidata dell’incarico a tecnici collaudati e di fiducia, considerato che in Italia i concorsi erano diventati “una delle rare occasioni per sviluppare un dibattito sull’architettura, via via che meno frequenti si fanno le occasioni dovute alle commesse private, o quando addirittura pare instaurarsi in chi detiene le leve del potere politico e nelle istituzioni in genere una vera e propria ‘paura dell’architettura’ e dei suoi possibili contenuti di rinnovamento” (Paolo Portoghesi). Riflessione che in qualche misura dimostrava come i progetti per l’Anfiteatro risentissero della lezione tecnologica di Maurizio Sacripanti per una concezione aperta della macchina teatrale, già sperimentata nel 1964 al concorso per il teatro comunale di Cagliari. Dal 1981 l’Anfiteatro tornò ad essere utilizzato con strutture mobili, subendo diversi interventi anche per gli accessi, variamente sistemati, ma ritornando alla tradizionale ubicazione del palco verso il muro di comunione con l’Orto botanico, salvo alcune interruzioni degli spettacoli negli anni 1984, 1991 e 1995, per problemi burocratici e finanziari. Nel 1998 infine fu usata per la prima volta la copertura di legno, che in modo ben più pesante e invasivo è alla base dell’intervento del 2000, che tra roventi polemiche si è trascinato fino a tempi recenti. La lunga storia dell’Anfiteatro giunge almeno al 2013 quando una delibera comunale fissò le linee guida di un concorso di idee per il recupero e la riqualificazione della più importante testimonianza di epoca romana in città e nell’Isola. Da allora il silenzio.
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