La debole rappresentanza politica dei comuni sardi è l’effetto di scelte che hanno privilegiato le aree urbano-metropolitane e quelle costiere [di Antonietta Mazzette]
Lucia Catte, sindaco di Romana, ha annunciato le dimissioni perché impossibilitata a fare il suo dovere. Di sindaci che hanno detto di voler dimettersi ce ne sono stati tanti, ma questo annuncio esprime un forte senso di sofferenza nel non poter assolvere al proprio ruolo. Romana è un piccolo comune di neppure mille ‘anime’, uno dei 314 presenti in Sardegna al di sotto di cinque mila abitanti: in Italia ve ne sono circa 5.000, con una popolazione di poco più di dieci milioni di persone, un sesto dell’intera popolazione italiana. Qual è il contesto in cui abitualmente operano i sindaci di questi comuni? Da decenni si assiste a una lenta – per alcuni ritenuta inesorabile – perdita di autonomia sia per la progressiva riduzione dei finanziamenti, sia per i vincoli imposti dall’Unione Europea e da quelli del patto di stabilità. Perdita di autonomia che, però, è andata di pari passo con il bisogno crescente di governare una pessima accessibilità ai territori, suoli abbandonati dalla produzione primaria e, perciò, esposti al degrado e all’incuria, calo demografico che si accompagna all’invecchiamento della popolazione, a fronte di servizi quasi inesistenti, compresi quelli alla persona, nonostante la domanda di cura e di assistenza sia in crescita esponenziale. La debole rappresentanza politica di questi comuni non è il risultato del Fato, bensì è l’effetto di scelte politiche ed economiche che hanno privilegiato le aree urbano-metropolitane e quelle costiere dove prevale la monocultura turistica. Scelte che si caratterizzano per la logica accentratrice che le ha guidate. Si pensi alla legge del 2014 con la quale si re-introducono le città metropolitane (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni dei comuni), che in Sardegna ha prontamente trovato una corrispondenza nella legge regionale del 2016 sul Riordino del sistema delle autonomie locali della Sardegna, e si pensi anche alla proposta di legge urbanistica regionale, il cui aspetto essenziale è concentrato sulle coste, ossia sulle parti dell’Isola considerate più appetibili sotto il profilo della rendita, ma anche rese da questa (e non solo dai turisti maleducati) più vulnerabili: sono anche le medesime parti dove è stato massimo il consumo del suolo, come rilevato dall’ISPRA (2018). É superfluo aggiungere che le logiche accentratrici sono alla base di un’idea del territorio di tipo duale: un centro che decide e una periferia (anzitutto i piccoli comuni e le aree rurali) considerata (e molto spesso voluta) incapace e inefficiente. Che significa anche che le scelte vengono fatte al di fuori dei luoghi in cui queste scelte andranno poi a ricadere. I piccoli comuni finora come hanno cercato di limitare i danni di questo processo? Adattandosi a formare unioni di comuni, anche se questo tipo di formazioni appare più un atto di “buona volontà” che un “fatto amministrativo” riconosciuto in termini di potere e di margine di autonomia di spesa nelle materie che possono essere effettivamente di area vasta, quali mobilità e trasporti, smaltimento dei rifiuti, scuole, anch’esse sottoposte a una progressiva riduzione per via dello spopolamento e dell’invecchiamento della popolazione. In altre parole, in Sardegna abbiamo buoni esempi di Unione dei Comuni ma con poteri quasi nulli. In che direzione operare? In primo luogo, sarebbe necessario rovesciare la logica centralistica che ha prevalso a livello regionale (e nazionale) e, in secondo luogo, insistere perché si modifichino le regole del gioco, a partire da quelle che riguardano la distribuzione delle risorse economiche e dei servizi di base, piuttosto che accettare la loro eliminazione. L’annuncio di Lucia Catte non va sottovalutato perché esprime un disagio che potrebbe essere condiviso da quanti governano ben 16.931 Km2 di superficie del territorio regionale (70%). Gli 11 comuni attualmente guidati da un Commissario (di cui solo Oliena ha più di 5.000 abitanti), a mio avviso sono già fin troppi. |