Architetture interrotte (IX) [di Franco Masala]
Erano i tempi della grande folla che invadeva gli spazi ancora sconosciuti dell’ex Manifattura dei tabacchi di Cagliari: studenti, gente comune, famigliole con bambini in passeggino, curiosi, tutti attratti dal luogo dove si svolgeva la prima Festa dell’architettura (2007). Oltre alla possibilità di vedere finalmente l’interno di un edificio divenuto esempio di archeologia industriale, legato da sempre al mondo operaio femminile, per la prima volta in Sardegna l’architettura era portata all’attenzione di tutti, anche non addetti ai lavori. Fu una sfilata di architetti, di critici, di studiosi, di scrittori che presentavano il loro punto di vista su temi che riuscirono a catturare l’interesse di migliaia di persone con la partecipazione compatta di spettatori spesso costretti a stare in piedi durante le performances più gettonate. Tra le presenze prestigiose Rem Koolhaas, impegnato per il recupero del quartiere di Sant’Elia, o Paul Mendes da Rocha, alle prese con il campus universitario della Plaja, o, ancora, Zaha Hadid, fresca vincitrice del concorso per il Museo dell’arte nuragica e contemporanea del Mediterraneo. Proprio questo progetto previsto a ridosso del popoloso quartiere di Sant’Elia faceva sperare nell’avvio di una stagione densa di risultati concreti o, almeno, di attenzione ai problemi che inevitabilmente la città di oggi porta con sé. Dopo un’altra edizione di Festarch nel 2008 e poi più niente. Proprio ciò che accadde con il progetto per il Museo dell’arte nuragica e contemporanea di Cagliari, comunemente conosciuto come “Betile” che vinse il concorso internazionale bandito dalla Regione Autonoma della Sardegna nel 2006. L’edificio era destinato a diventare “punto di riferimento per le ricerche artistiche condotte nell’area mediterranea, come spazio di dialogo e scambio tra popoli e culture”. Zaha Hadid (1950-2016) aveva immaginato un grande involucro bianco adagiato sull’asse del mare in prossimità dello stadio di Sant’Elia, pronto a qualificare e a integrarsi con il poco lontano quartiere cagliaritano: i percorsi interni, infatti, erano collegati con la circolazione pubblica con forme aperte e dinamiche. Internamente il cammino nell’arte contemporanea cominciava nel piano terra attraversando l’intera struttura per raggiungere la loggia dell’ultimo piano. Il percorso dell’arte nuragica, sempre dal piano terra, era invece quasi più riposto per una fruizione intima e individuale. Era previsto anche un “percorso commerciale”, parallelo al mare, che avrebbe accolto negozi, bookshop, bar, ristoranti e sistemi di “logge” per esposizioni all’aperto di arte contemporanea. Di tutto ciò oggi rimangono gli studi preliminari, i disegni, i plastici, il progetto completo, i numerosissimi articoli anche in riviste specializzate che prestarono attenzione al progetto, di fatto proiettando Cagliari in una notorietà di eccezionale portata. Il capoluogo sardo sarebbe divenuto così una meta appetibile e ricercata: esattamente ciò che è capitato con l’apertura del Museo delle Civiltà d’Europa e del Mediterraneo di Marsiglia, capitale europea della cultura 2013. Si può dire, dunque, che il MuCEM abbia “scippato” un primato che avrebbe potuto essere di Cagliari. Se nel 2008 non avesse avuto luogo la forte contrapposizione tra il centrosinistra alla Regione e il governo di centrodestra al Comune, forse potremmo ricordare in concreto, anche a Cagliari, Zaha Hadid, prematuramente scomparsa. |