La sparizione degli alimentari. E delle parole [di Giampaolo Cassitta]
Io, da piccolo compravo la mortadella da Marantona, così la chiamavamo noi ragazzi di via Cravellet ad Alghero, sempre pronti a giocare tra la polvere con le biglie e le figurine in mezzo ad una strada orfana di auto. Marantona aveva il negozio in un piccolo magazzeno del mio palazzo e, oltre la mortadella, tagliata con l’affettatrice rossa, con una grande manovella e un rumore assordante e stridente, vendeva i succhi di frutta, la nutella e la crema rosa. Quest’ultima la riversava sulla carta oleata. Era dolcissima e quando riuscivo a convincere mia madre ad acquistarla, nel piccolo tragitto dal negozietto a casa, aprivo il cartoccio oleato e, con il dito, riuscivo ad arrivare alla crema consumandone più della metà. Mia madre controllava il peso specifico del pacchetto e, ritenendolo non conforme alle lire consegnate, mi accusava di aver mangiato la crema ma io, sorridendo dicevo: “Marantona mi ha dato questa. Forse è aumentata”. Poi, c’era il negozio di signora Luigina, più avanti e quello di Di Napoli, novello sposo. In poche strade impolverate di un quartiere che ancora doveva nascere c’erano ben tre negozi di alimentari. Per non parlare della latteria di signora Maria dove ci si recava con la bottiglia di plastica rossa ad acquistare il latte sfuso che veniva giù da un bidone d’acciaio con un rubinetto enorme. E signora Maria usava, per tutti, il solito imbuto. Senza risciacquo. I negozi non ci sono più. Spariti, ingoiati da garage per automobili. Nel quartiere non ci sono più neppure i bambini che giocano per strada. Si va a città mercato, da Tanit, alle Vele e si acquistano gli alimentari con grandi carrelli in questi terribili “non luoghi” tutti spaventosamente e tristemente uguali. Ne ha parlato, su Repubblica, Carlo Petrini raccontando in un bellissimo e struggente articolo di come, in pochi anni, le botteghe alimentari siano sparite dalle vetrine delle città le quali sono diventate dei grandi deserti per far posto a quelle lande desolate che tutti chiamano “i nuovi luoghi di incontro”. Non mi piacciono. Non mi sono mai piaciuti. Una volta, proprio a Città mercato, a Sassari, ho visto una fila lunghissima davanti al tabaccaio. Giocavano al superenalotto. Una tristezza infinita. Non ci sono più gli alimentari e neppure i profumi e gli odori di una città pulsante. Si chiama “globalizzazione” quella che permette di acquistare una maglietta di una nota marca internazionale in qualsiasi aeroporto del mondo. Tanto i non luoghi son tutti uguali. Marantona, di questi tempi non avrebbe senso. Parlava con noi ragazzini. Ci chiedeva della scuola, ci domandava cosa facevamo il pomeriggio. Era una splendida impicciona ma emanava vita, raccoglieva parole e le restituiva. Oggi, nelle casse delle città mercato fuori della città, ci sono solo cassiere in attesa di concludere quel turno massacrante ed alienante che ti chiedono sempre e soltanto: “tessera?” e al mio solito “no” (non riesco a capirne l’importanza di queste tessere) ti guardano con compassione, ma non sorridono. Non c’è più Marantona e neppure gli altri piccoli negozi, luci soffuse, dove il fare la fila era una scusa per chiedere, informarsi, conoscere. Era anche provare con la furbizia dei ragazzini a prendere una caramella in più, una mentina colorata, quelle da una lira, o provare a farsi regalare da qualche signora amica di tua mamma il gelato di zucchero. Altri tempi. Certo. Altri tempi. Lenti e tortuosi. Il problema però è lo sventramento della città che, lentamente scivola verso una periferia ruvida, con colori acidi e veloci. Dove tutti si incontrano e nessuno parla. In qualsiasi “non luogo”, dentro ogni mega center , l’unica cosa importante è “avere la tessera”. Ma per parlare con Marantona bastavano gli sguardi, piccoli sorrisi e fugace speranza che sbagliasse il conto delle mentine. Impossibile nei mercati di oggi dove tutto è terribilmente contato, misurato, costruito, impacchettato. Dove, per sopravvivere mica ci vogliono gambe veloci e disposte al gioco. In questi silenzi pieni di gente basta una stupida e inutile tessera. |
Gli “alimentari erano la dispensa delle famiglie.
Vicino a casa c’era signor Giulio, dove andava la gente “bene”, aveva un bancone altissimo, inarrivabile e lui dietro su una pedana in legno che serviva indifferentemente affettati, pane, pasta sfusa, acciughe sotto sale, aringhe e baccalà, e dopo aver impacchettato tutto, una veloce strofinata di mani nel grembiule grigio di tela spazzina, incassava il denaro o scriveva nel libretto.
Ma il vero alimentari, quello alla nostra portata era il negozio di zia Severina, una vecchietta minutissima con una voce stridula, quasi da bambina, ma sempre allegra e sorridente e parlava rigorosamente in dialetto.
Aveva ormai oltrepassato abbondantemente gli ottant’anni, ma col marito, ziu Mimmia, poco più “anziano” di lei, teneva una sorta di magazzino buio, con il banco basso a “elle” su cui c’era l’affettatrice, la grattugia elettrica, il macinacaffé, e una bilancia verdolina a due piatti, moderna! La merce era dietro in scaffali con cassetti più o meno gradi a seconda della merce che contenevano, e nei cassetti le sassole in legno, solo negli ultimi anni le aveva sostituite con delle lucidissime sassole in alluminio.
Era famosa zia Severina, talmente tanto che dopo oltre dieci anni dalla sua chiusura, mio fratello, che era andato a lavorare a Piombino, un giorno mi mandò una cartolina e non ricordandosi l’indirizzo scrisse:
“Famiglia Corrias,
via vicino a zia Severina.
07046 Porto Torres (SS)”
La custodisco ancora gelosamente.
Interessante. E molto graditi questi ricordi del tempo andato. C’è nostalgia, ma ben venga! Mi chiedo come sarebbero oggi le città se si ripopolassero di botteghe. Meglio? Peggio? Non so essere obiettivo, ma continuo a ripetermi che, visto il deserto dei rapporti sociali (impossibili nei centri commerciali), sarebbe meglio. Urbanisti, sociologhi, politici, date il vostro punto di vista: si possono rifondare le città mutuando modelli che si sono rivelati validi? E allora facciamolo…
Sono il solito idealista (e perdipiù senza tesserine dei market).