Santa Maria in Trastevere, la prima a Roma [di Federico Castelli Gattinara]
Il Giornale dell’Arte numero 368, luglio 2018. Restaurata la facciata della più antica chiesa romana. Roma. Cuore del rione, piazza di Santa Maria in Trastevere è dominata dalla splendida omonima chiesa fondata nel III secolo, forse la prima a Roma aperta ufficialmente al culto, ricostruita nel XII da papa Innocenzo II e rimaneggiata nel 1863-74 da Virginio Vespignani per volere di Pio IX. Contiene capolavori di ogni genere ed epoca, dalle 21 colonne antiche di granito a cui si aggiungono due mosaici romani in sagrestia, alle tarsie cosmatesche, ai mosaici medievali del XII secolo e di Pietro Cavallini del secolo successivo, agli affreschi cinquecenteschi, al soffitto a lacunari disegnato dal Domenichino, alle tele del pittore e di Maratta. Quindici mesi di lavori sulla facciata hanno ridato piena leggibilità agli affreschi ottocenteschi di Silverio Capparoni e lucentezza al mosaico del XII secolo con la Madonna in trono con il Bambino affiancata da cinque figure femminili per lato: la difficoltà del restauro, ha spiegato Francesco Prosperetti (alla guida della Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma) che lo ha curato, è stata trovare il giusto equilibrio tra questi due elementi così distanti per esecuzione (sette i secoli che li separano) e materiali impiegati. Il restauro ha coinvolto anche statue e strutture in travertino e granito del portico, sostituito da Carlo Fontana nel 1702 per papa Clemente XI. Si è partiti come di norma dallo studio delle fonti e da un’approfondita campagna diagnostica sugli intonaci e sul mosaico, per passare poi al consolidamento, al restauro e alla pulitura delle superfici attuati con tecnologie innovative e reversibili. Per il portico, oltre alla pulitura delle colonne in granito, si sono resi necessari interventi conservativi sulle parti lapidee, e in particolare sulle statue in travertino. Per la facciata vera e propria l’intervento è stato più problematico. In pieno accordo col gusto dell’epoca, Vespignani fece riaprire i tre finestroni ad arco della facciata che erano stati tamponati, mentre Capparoni, pittore romano legato alla Curia, dipinse «in stile medievale» ogni tratto d’intonaco intorno al mosaico di facciata per esaltarlo: il timpano, la parete tra i tre finestroni e i due salienti delle navate. Col tempo però le pitture dilavate erano diventate illeggibili e il mosaico completamente opacizzato. Quest’ultimo, oggetto nei secoli di una serie di restauri (forse già dallo stesso Cavallini) e parziali rifacimenti, è stato consolidato, reintegrato delle tessere mancanti e pulito. Le pitture sono state pulite, riprese le decorazioni seriali mentre per le parti figurative si è intervenuti caso per caso, chiudendo ad acquarello le piccole lacune di colore oppure sfumando il tono originario per quelle più estese. I fondi dipinti, con doratura a tessere su intonaco in stile mosaico medievale, sono stati puliti o trattati con una velatura ocra in sottotono dove perduti. Alla fine si è proceduto alla stesura di protettivi e alla realizzazione di un nuovo sistema di smaltimento delle acque piovane. La spesa totale si è attestata sui 400mila euro circa. I lavori, diretti da Elvira Cajano, sono stati eseguiti da R.o.m.a. Consorzio. , |