Architetture Interrotte (X) [di Franco Masala]
Accanto ai progetti redatti da professionisti impegnati e consapevoli che nel corso di mezzo secolo hanno proposto a Cagliari sistemazioni urbane o edifici mai realizzati, esiste una sorta di “architettura dal basso” che ha visto la partecipazione popolare al dibattito su edifici da costruire. A più riprese la stampa quotidiana ospitò pareri estemporanei, suggerimenti più meditati, proposte insensate che sono testimonianza di passione e di incompetenza allo stesso modo. Ne sono prova diversi interventi legati alle polemiche sulla ricostruzione della parte centrale del Bastione di Saint Remy, fortemente danneggiato dai bombardamenti angloamericani del 1943. Era il 1957 e si era posto il problema del ripristino del grandioso monumento dopo la decisione del Consiglio Comunale di lasciare la torretta mutila a ricordo delle vittime della guerra. Alternative erano la conservazione del pilastro supestite centrale come ricordo dei bombardamenti; il ripristino dell’arco pareggiato però al resto della cornice del Bastione; la stessa soluzione con una lapide sovrastante in memoria delle vittime del 1943; la ricostruzione integrale. Dopo varie proposte ci fu un referendum con cartoline spedite dai cittadini, superato poi dalla decisione rapidissima del Consiglio riguardo alla ricostruzione integrale, ciò che poi avvenne. Tutto questo non impedì che ci fossero suggerimenti di tipo differente: il pittore Cesare Cabras suggeriva la ricostruzione dell’arcone ristretto sulla verticale del nicchione “per legarlo più armonicamente” al resto dell’edificio. Altri contestavano la collocazione di una scultura per le vittime della guerra nella niccchia, suggerendo in alternativa un gioco d’acqua o un monumento al sindaco Ottone Bacaredda. Per non dire del sogno di un ineffabile lettore che avrebbe visto volentieri una “collinetta di rocce e muschi” con zampilli “che s’incrociavano in mille giuochi d’acqua” e un nuraghe in miniatura sulla sommità, illuminato dal rosso e dal blu, colori della città. Va da sé che poi la ricostruzione fu effettuata “dov’era e com’era” l’edificio di un tempo. Se queste proposte erano frutto di una partecipazione popolare, ci fu anche un professionista, l’ingegnere Enrico Carboni, che tra il 1968 e il 1970 propose due soluzioni per la città. Nel primo caso l’isolamento della Porta Cristina con la demolizione di “un tratto dei fabbricati adiacenti che certamente non hanno nessun valore dal punto di vista architettonico”. Si suggeriva anche una breccia che rasentando la torre di San Pancrazio consentisse il passaggio verso il Terrapieno. Lo scopo era di separare il traffico veicolare e pedonale da aggiungersi a un terzo passaggio misto. Un disegno elementare e di poco pregio accompagnava la proposta che faceva piazza pulita di decenni di discussione nelle “Carte del Restauro” sulla inopportunità delle “liberazioni” dei monumenti da un contesto che invece era da considerare parte integrante dell’insieme. Successivamente lo stesso Carboni suggeriva la realizzazione di “una nuova attrattiva turistica” mediante una torre da collocare sulla sommità di Monte Urpinu con un belvedere e ritrovi pubblici (self-service, ristoranti, night-clubs) “con prezzi differenziati a seconda delle possibilità di ognuno”. Non se ne fece niente, fortunatamente ma il fotomontaggio rivelava una costruzione abnorme rispetto al contesto e ci induce a ringraziare per lo scampato pericolo. |