Essere razzisti non è più una vergogna [di Nicolò Migheli]
Il 5 di agosto del 1938 usciva la rivista La Difesa della Razza. Nella redazione il medico sardo Lino Businco, direttore Telesio Interlandi, che con Il Tevere si era distinto nelle campagne antisemite dal 1934 al ’37. Altro redattore importante fu Giorgio Almirante, teorico del razzismo della carne e del sangue in contrapposizione a quello esoterico e spiritualista di Julius Evola. Non fu una grande periodico sotto il profilo dell’accuratezza dei temi, vivacchiò scopiazzando le questioni affrontate dalle riviste tedesche; fu la base per il Manifesto della Razza che il fascismo trasformò in legge nell’autunno dello stesso anno. Tra gli estensori ancora Lino Businco, che così includeva i sardi nella razza ariana. Promozione che questi si sarebbero conquistati con il sacrificio di 13.000 morti durante la Prima Guerra Mondiale. Emilio Lussu dall’esilio rispose con uno scritto polemico in cui vantava l’origine semita dei sardi, schierandoli in difesa degli ebrei perseguitati. La vulgata revisionista sostiene che le leggi razziste furono un pegno che Mussolini dovette pagare per la sua alleanza con Hitler. Tesi smentita dal Duce medesimo, che in un discorso sostenne che il fascismo era intrinsecamente razzista fin dagli albori sansepolcristi. In realtà il razzismo è una delle componenti dell’identità italiana ed europea, si è mostrato nelle due accezioni: il razzismo di dominio e quello di esclusione. Entrambi funzionali alla costruzione forzata di una identità nazionale imposta a un paese arrivato tardi all’unità. Il razzismo di dominio si manifesta in pieno Settecento in Sardegna con la dominazione dei Savoia, gli scritti di De Maistre sui sardi sono memorabili per come abbiano costruito stigmi, pregiudizi destinati a durare nel tempo. Un razzismo funzionale a un’ottica paternalista in cui gli appartenenti alla razza superiore avrebbero insegnato ai selvaggi le vie della modernità e il rispetto dell’autorità che il dominio legittimava. Il modello di assoggettamento sulla Sardegna fu poi esportato nel Meridione d’Italia dopo l’Unità, durante la repressione che seguì della rivolta filo borbonica. Basti leggersi i rapporti del generale Cialdini e si ha la misura che quella fu una pura guerra di conquista, i cafoni meridionali trattati come subumani. Funzionale a queste credenze furono le teorizzazioni di Cesare Lombroso, che al seguito delle classificazioni di Joseph-Artur de Gobineau nel suo Saggio sull’ineguaglianza delle razze umane– testo fondante del razzismo moderno-, introdusse parametri morfologici dei crani e differenziazioni somatiche. Il razzismo di dominio diventa anche di esclusione con l’avventura coloniale, quando venne fatto divieto ai bianchi di avere rapporti sessuali con le donne di colore e nelle città dell’impero vennero costruiti quartieri riservati solo agli italiani. Una forma di apartheid non dissimile a quella realizzata da altre potenze coloniali. Con le leggi del 1938 improvvisamente cittadini italiani come gli ebrei si videro retrocessi a uno stato di non cittadinanza e subirono sulla loro pelle l’esclusione da ogni professione, dagli incarichi pubblici, dalle scuole. Storia terribile che ebbe sbocco nello sterminio di questi nei campi di concentramento nazisti. Vicende rimosse che hanno alimentato il mito dell’italiano brava gente e del colonialismo buono che costruisce città e strade, dimenticandosi di dire che quelle opere erano funzionali alla conquista e al trasferimento di ingenti masse di disoccupati italiani in quei territori. In questi anni con le innumerevoli aggressioni agli immigrati, alle persone di etnia diversa come i rom, ci si è chiesti più volte se l’Italia immemore del proprio passato fosse ridiventata razzista. In verità oggi chi ancora professa il razzismo biologico è un’infima minoranza, la scienza ha dimostrato che la categoria razza è inesistente, di conseguenza gli italiani non sono razzisti. È così? In una sorta di processo di nascondimento si è adottato il paradigma della xenofobia ritenuto più accettabile, una sorta di difesa del territorio connaturata alla natura dei gruppi umani. Dove la diversità è data dalla cultura differente e non dalla razza. In realtà è la riproposizione del razzismo di esclusione. Il diverso va evitato, isolato, emarginato ed escluso. È l’azione che determina il pensiero profondo. Se un individuo, viene insultato, aggredito per il colore della pelle, per i suoi tratti somatici, per la sua lingua, altro non è che razzismo. Bisognerebbe avere il coraggio di ammetterlo. Infatti lo si afferma sempre di più. Si è passati dal non sono razzista ma…, -dove il ma avversativo era solo la foglia di fico di un pudore ipocrita-, all’affermazione positiva, alla mancanza di vergogna. Il ministro della famiglia Fontana chiede l’abolizione della legge Mancino che proibisce ogni manifestazione fascista, nazista e di discriminazione contro le minoranze. Perché quel ministro fa quella proposta? Solo per accrescere la sua notorietà, o per notificare che il clima è cambiato? Si è passati dall’impensabile all’indicibile, fino all’affermazione sfrontata, sapendo che nella società italiana vi è un segmento sempre più vasto che condivide quelle affermazioni. Il non aver proceduto alla defascistizzazione dopo la Seconda Guerra Mondiale, non aver mai seriamente riflettuto sulla storia e sulle responsabilità italiane nel colonialismo e nell’Olocausto, ora presenta il conto. Un popolo senza memoria è destinato a ripetere gli stessi errori. Però rispetto al 1938 oggi vi è una consapevolezza maggiore, occorre contrastare questa deriva involutiva in ogni sede e con ogni mezzo lecito. Nessuno potrà dire: non sapevo. *Le categorie razzismo di dominio e razzismo di esclusione sono tratte da Valentina Pisanty, La Difesa della Razza, Antologia 1938-1943. Bompiani, 2006, Milano. |
La difesa della Razza!… cosa de pastores de bestiàmine: berbeghes chi rendhent pagu… a masellu! Sos anzones chi no sunt de pesare ca, ponimus fintzas solu, sunt tropu… a masellu! Animale cun carchi pecu… a masellu!
Masellajos de s’umanidade. Tzertu, pesendhe bestiàmine bi cheret “selezione”!
Criminales in guantes biancos. Oe a bortas “cum grano salis”? A su machine no bi at límite perunu. Solu sa veridade tenet límites, ca est su chi est e no su chi nos paret e piaghet. Ma si no nos piaghet sa veridade… machines cun motivos a chi più ne ha più ne metta!
Podet èssere su ratzismu una risposta irballada/disastru (pro chie est prus… ‘bestiàmine’) a unu “problema” veru? Tocat nessi a cumprèndhere cale est su problema veru.