Quel salto oltre le nuvole [di Veronica Rosati]

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Come sono lontane le nuvole. Ci sembrano vicine, perché accarezzano le montagne che contengono il nostro sguardo. Galleggiano sul mare, per proteggere i nostri occhi dall’incommensurabile vastità dell’orizzonte. Possono essere candide e dolci come la panna montata quando rallegrano una spensierata giornata estiva con un cielo limpido e azzurro sullo sfondo. Sono grigie e umide in tutte le giornate di pioggia di questo monotono febbraio appena iniziato.

Chissà com’erano le nuvole su Salt Lake City, qualche giorno fa, quando l’atleta brasiliana venticinquenne Lais Souza è stata vittima di un terribile incidente in una discesa di riscaldamento sugli sci. Si stava allenando in vista della sua imminente partecipazione alle Olimpiadi Invernali di Sochi 2014. Ora lotta per la vita con una frattura gravissima alla colonna vertebrale e contro lo spettro della paralisi. Nella cronaca di questa drammatica vicenda scopriamo che la Souza è un’atleta molto conosciuta nel suo paese d’origine. Dopo aver raggiunto l’olimpo della ginnastica artistica partecipando ai Giochi di Atene e Pechino, decide di cambiare sport inseguendo il sogno di una partecipazione anche ai Giochi Invernali. La ottiene nella disciplina dello sci freestyle. Quel sogno così vicino si infrange in quello schianto durante un banale allenamento, identico ad infiniti altri, in quelle giornate sempre uguali a se stesse fatte di fatica e di sudore, di tutti i grandi atleti di professione.

La presenza di un fato misterioso si confonde con la consapevolezza delle mille declinazioni della libertà umana. Quel destino che spesso pare già scritto sembra contraddire in apparenza la libertà individuale di fare o non fare qualcosa. Soprattutto scelte rischiose, inaspettate, pericolose.

È impossibile non pensare ad un crudele destino che colpisce subdolamente in un tranquillo riscaldamento e non nell’adrenalina a mille della gara di sci acrobatico. La stessa fatalità del recente incidente di Michael Schumacher. Un caso del tutto simile, fatta eccezione per il differente grado di clamore mediatico. Dopo anni di alta velocità negli abitacoli della Formula Uno, la tragedia avviene nella tranquillità di una giornata di vacanza sulla neve, insieme alla famiglia.

Vicende di questa natura possono toccare corde profonde dell’anima, oppure sfuggono nel fiume di informazioni e notizie che ci bombardano quotidianamente. Riflessioni si alternano ritmicamente fra gli orizzonti della normalità o dell’eccezionalità dell’evento. Qualcuno può nemmeno stupirsi per un incidente avvenuto ad una sciatrice free styler, può avere poca importanza circostanziare l’accaduto. Possiamo credere in un destino già scritto, dove la vita che scorre è simile ad un’antica pergamena che lentamente si srotola e svela il suo contenuto. Poco importano le scelte personali e quei bivi lungo il percorso finiscono per perdere di significato.

È bello, forse, sottendere questa affascinante visione del mondo ad un cieco caso. L’essere umano non si fa troppe domande e agisce in maniera istintiva. Non soltanto per cogliere il più possibile dal piacere di ogni singolo istante, ma perché è certo non ne valga la pena star troppo a ragionare e a ponderare delle scelte. Si ha soltanto voglia di godersi la vita. Non necessariamente si arriva agli estremi caricaturali dell’ubriacone o del dandy di turno. È sufficiente credere che tutto sia davvero già scritto in maniera indelebile per sminuire anche la più piccola scelta individuale. Il caso dell’istante s’infrange nella spada di Damocle dell’immutabilità delle cose e ogni singola persona ne esce lacerata e svilita nella sua umanità.

Secondo altre culture e tradizioni religiose esiste, invece, una sorta di segnale stradale che indica la via da percorrere. L’uomo è libero di seguirlo o meno. In entrambi i casi, la sua libertà di agire e di scegliere sarà determinante. Non per finire in un caotico vortice di esperienze, più o meno scellerate, ma per costruirsi, mattone dopo mattone, una vita felice. La sicurezza della direzione indicata non svilisce la necessità di essere felici oggi. Si può anche sbagliare o ci si può imbattere nella sventura. Essa fa parte della vita, ma spesso è talmente dolorosa da accettare che è preferibile considerarla dipendente da un’entità autonoma, forse intelligente o forse no. Una disgrazia terribile come quella che ha colpito la giovane Lais Souza. A volte dimentichiamo il senso profondo dello sport. Quando non si limita ad essere soltanto un modo per arricchirsi o per inseguire in maniera cieca la vittoria personale è uno strumento prezioso. Appiana egoismi e fortifica il senso di unità allenando, al contempo, lo spirito di sacrificio e riuscendo a far superare in maniera sana i propri limiti.

Spaventa il vortice di egoismo di chi osserva la sventura altrui. Anche quella che può colpire chi pratica uno sport di per sé pericoloso. Spesso ci si affretta a razionalizzarla, analizzandone le possibili cause, e le ipotetiche azioni preventive, per allontanare da se stessi i fantasmi della morte, della malattia o di una qualsiasi drammatica sventura. È solo un disperato quanto inutile tentativo della ragione umana di scacciare da sé il male. Non serve impegnarsi in questo esercizio intellettuale di egoismo personale che ci fa arroccare nella sicurezza delle nostre dimore perché questo finisce per prendere il posto di una presa di coscienza della nostra impotenza.

La malattia o la sventura e, in ultimo la morte, prima o poi saranno inevitabili per tutti. Forse tutto questo è davvero incomprensibile e doloroso per arrivare a concepirlo come parte della vita. È un pensiero che dà le vertigini. È anche adrenalinico e rischioso come le infinite possibilità di un salto oltre le nuvole.

2 Comments

  1. Ivan Perra Or

    Ammiro tantissimo Lais Souza è mi dispiace per quanto le è successo, ma solo chi è “malato” di sport estremi può capire il bisogno continuo di provare forti emozioni anche a discapito della propria sicurezza: è una questione fisiologica.
    Praticare questo tipo di sport piuttosto che altri non è questione di esibizionismo, come qualcuno potrà pensare, queste persone diversamente da chi è per natura “tranquillo” e quindi si limita nelle proprie attività, hanno (abbiamo) bisogno di livelli di attivazione fisiologica e mentale molto alti
    Non ci basta mai!!

  2. Ivan Perra Or

    rettifica: Ammiro tantissimo Lais Souza e mi dispiace per quanto le è successo, ma solo chi è “malato” di sport estremi può capire il bisogno continuo di provare forti emozioni anche a discapito della propria sicurezza: è una questione fisiologica.
    Praticare questo tipo di sport piuttosto che altri non è questione di esibizionismo, come qualcuno potrà pensare, queste persone diversamente da chi è per natura “tranquillo” e quindi si limita nelle proprie attività, hanno (abbiamo) bisogno di livelli di attivazione fisiologica e mentale molto alti
    Non ci basta mai!!

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