Memorandum 82. La Sentenza della Corte costituzionale 178/2018 è capitale per la tutela dell’ambiente della Sardegna [di Paolo Numerico]
www, sardegnasoprattutto.com 28 luglio 2018. 1.- E’ una sentenza capitale per la tutela dell’ambiente della Sardegna (la Sentenza si può leggere integralmente anche in www.sardegnasoprattutto.com il 26 luglio scorso). Riguarda la legge sarda n. 11 del 3 luglio 2017, recante disposizioni urgenti in tema di urbanistica ed edilizia, nonché modifiche a molte leggi regionali ambientali. Ovviamente qui non era in discussione il cosiddetto DdL Erriu- Pigliaru sul governo del territorio o meglio e sulla riforma della tutela del paesaggio e ormai più noto come Legge urbanistica – assai criticato da molti tecnici, studiosi, professionisti, esperti anche di recente nell’affollato Seminario / Conferenza stampa a Cagliari alla M.E.M. di via Mameli a cura del “Gruppo di lavoro per un’urbanistica sostenibile”. Ma la pronuncia del Giudice delle leggi ha dato “botte da orbi” sulle prospettive ambientalistiche della Regione sarda. Ed i principi enunciati dalla pronuncia agiranno da salvaguardia contro le intenzioni del governo sardo di sovvertire il Piano Paesaggistico Regionale approvato nel 2006 nel corso della XIII Legislatura. 2.- Gli oggetti delle censure governative. Ne ho già parlato in un articolo del 9 settembre 2017 su questa Rivista. Mi sembra tuttavia utile alla comprensione della stessa sentenza riprendere le norme censurate dal governo dell’epoca (Renzi-Franceschini, allora appartenente, si badi, alla stessa “famiglia” della governance sarda). Seguo la medesima pronuncia qui commentata. 2.1- Un primo gruppo di regole criticate è stato costituito dagli artt. 13 comma 1 e dall’art. 29 comma 1 lettera a) della L. sarda n. 11 del 2017. 2.1.a) – L’art. 13 comma 1 aggiungeva alcune previsioni ad una precedente L. reg., la n. 45 del 1989, anch’essa destinata a disciplinare l’uso e la tutela del territorio. Le disposizioni aggiunte escludevano dal vincolo di integrale conservazione dei vari “caratteri naturalistici, storico-morfologici e rispettivi insiemi” di zone, appunto, vincolate, le seguenti ipotesi: parcheggi e strutture a servizio della balneazione e ristorazione con finalità ludico-ricreative, ovvero infrastrutture a supporto turistico ricreativo per la nautica, sia pure con carattere di non stabilità e non alterazione permanente (chi ha visto, tuttavia, delle strutture provvisorie che non siano divenute definitive?). 2.1.b) – L’art. 29 comma 1 lettera a), a modifica della legge sarda n. 8 del 2015, stabilisce il trasferimento volumetrico di patrimonio edilizio demolito e da ricostruire in nuova localizzazione; patrimonio, questo, riferito a edifici ricadenti nelle zone omogenee E ed H dentro l’ambito dei beni paesaggistici. 2.1.c) – Il Governo ha ritenuto queste disposizioni lesive della potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia ambientale, in quanto interverrebbero, unilateralmente e non con la copianificazione condivisa, per i beni ambientali vincolati ai sensi degli artt 135 e 143 del Codice dell’ambiente n. 42 del 2004, legge statale cosiddetta “interposta” di grande riforma economica e sociale, applicabile anche alle Regioni a statuto speciale come la Sardegna. 2.2 – Un secondo gruppo di norme impugnate è costituito dagli artt. 37, 38 e 39 della L. reg. n. 11 del 2017. 2.2.1. – Essi modificano due statuizioni e ne aggiungono una terza nella L. reg. 12 del 1994 in materia di usi civici: lo scopo di dette norme è quello di subordinare il decreto di autorizzazione alla vendita, permuta e sdemanializzazione dei terreni civici ad un accordo che attesti l’assenza in atto dei valori paesaggistici connessi all’uso civico. 2.2.2.- Per il Governo impugnante dette norme sono in contrasto con la competenza statale esclusiva in tema di tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali [art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione] e con l’art. 3, comma 1, lettera n) dello statuto speciale sardo (in relazione all’art. 143 del Codice statale dell’ambiente), perché introduttive di un vincolo al potere dell’amministrazione statale di valutazione degli ambienti paesaggistici delle aree coperte da uso civico, magari da riconsiderare pur se degradate, rendendo la sclassificazione comunque sostanzialmente obbligata. 3.- I principali contenuti della sentenza del Giudice delle leggi. 3.1.- In rito La Corte ha in primo luogo respinto seccamente una batteria di eccezioni di inammissibilità opposta dalla Regione, e ciò con una elevata quantità di citazioni di precedenti, interessanti, spesso, proprio la medesima Regione sarda. Riassumo questa parte della decisione, perché molto significativa, fin dalle asserzioni cosiddette in rito, per distruggere ogni aspirazione della Regione a entrare a pié pari nel settore ambientale, senza fare i conti con la legislazione statale, costituzionale e di grande riforma, operante da baluardo in questo campo. 3.1.a) – Nulla contano le varie competenze esclusive dello statuto regionale, perché comunque la conservazione ambientale spetta allo Stato per l’art. 117 comma 2 lettera s) Cost. e per il Codice dell’ambiente. 3.1.b) – Non è necessario, per lo Stato “attaccante”, enunciare uno specifico interesse all’impugnazione, bastando la denuncia della violazione di una competenza asserita come propria del ricorrente. 3.1.c) – Le motivazioni del ricorso sono state giudicate sufficienti e non carenti. 3.2.- Nel merito Sono state accolte tutte, ma proprio tutte, le istanze del Governo. In termini calcistici, fra rito e merito, ci starebbe un bel sei a zero. 3.2.1. – La Corte muove da un excursus storico sulla legislazione statale e regionale in ordine ai piani paesistici, al fine dichiarato di dimostrare la stretta interrelazione logica e cronologica fra le due legislazioni. Mi limito alle grandi linee dei diversi passaggi: -. la legislazione Galasso del 1985, che ha introdotto i piani paesistici; -. la L. reg. 45 del 1989, che ha previsto questi piani, e la successiva L. reg. 23 del 1993, che ha introdotto i beni a vincolo integrale e inedificabili, salvo quelli esentati, fra cui vi sono le aggiunte della legge qui impugnata; -. il cosiddetto Codice dell’ambiente n. 42 del 2004 e successive modifiche, sull’esigenza, confermata, della pianificazione, che, nel 2008 (L. n. 63 del 2008), è stata imposta come pianificazione condivisa (artt. 135 e 143 del Codice novellato), intesa come elaborazione congiunta per i beni paesaggistici ex art. 143, ossia: –. immobili e aree dichiarati di notevole interesse pubblico ex art. 136 del Codice; –. le aree tutelate per legge, tra le quali, le coste, i territori circostanti laghi e fiumi, i parchi, gli usi civici, le zone umide e di interesse archeologico; –. ulteriori immobili di notevole interesse pubblico per l’art. 134 del Codice; -. la L. reg. n. 8 del 2004, art. 10- bis, che ha recepito il Codice dell’ambiente, con misure di salvaguardia per redigere il nuovo piano paesistico regionale, “principale strumento della pianificazione”, come da art. 135 del Cod. statale, e con i contenuti su accennati dell’art. 143 stesso Codice. 3.2.2. – Posto che i beni vincolati da Stato e regione, prosegue la Corte, partivano come identici nella sostanza, l’art. 13 comma 1 della legge reg. n. 11 del 2017, che esclude unilateralmente alcuni beni – quelli citati in questo scritto al paragrafo 2.1.a) – dal vincolo di piano, senza la pianificazione condivisa imposta dalla legge di grande riforma del Codice dell’ambiente (artt. 135 e 143), è incostituzionale. Aggiunge la Corte quanto già più volte enunciato nella propria giurisprudenza, che cioè, per l’appunto, il Codice è una grande riforma e che, anche se la Regione Sardegna ha una esclusiva competenza urbanistica e edilizia, l’intreccio con la competenza esclusiva ambientale dello Stato avrebbe comunque reso indefettibile una concertazione legislativa ed amministrativa, tanto più che la competenza esclusiva (i costituzionalisti e le stesse sentenze costituzionali dicono a carattere trasversale) ambientale produce effetti anche sulle Regioni a statuto speciale. Il principio della copianificazione violata è riassunto dalla seguente massima, che riporto, citando pedissequamente: “il legislatore della Regione autonoma della Sardegna non può esercitare unilateralmente la propria competenza statutaria nella materia edilizia e urbanistica quando siano in gioco interessi generali riconducibili alla predetta competenza esclusiva statale (n.d.r.: quella della tutela ambientale) e (le norme regionali censurate: n.d.r.) risultino in contrasto con norme fondamentali di riforma economico-sociale”. 3.2.3.- Le medesime violazioni sono state rilevate quanto all’art. 29 comma 1 lettera a), medesima L. reg. n. 11 del del 2017, in quanto, attraverso lo spostamento unilateralmente consentito della localizzazione degli edifici in zone pure vincolate entro il perimetro dei beni paesaggistici, si svuota la competenza esclusiva dello Stato volta a stabilire i criteri con cui poter intervenire negli ambiti ambientali e paesistici. 3.2.4.- Parimenti accolte sono state le censure sugli artt. 37, 38 e 39, in ordine all’assetto degli usi civici. L’intesa, fra Stato e Regione, che secondo la parte regionale resistente verrebbe salvaguardata, è giudicata del tutto formalistica, nella sostanza, dalla Corte. L’intesa deve precedere la trasposizione legislativa. E la competenza esclusiva sugli usi civici della Regione è impotente rispetto al principio di un necessario accordo sostanziale preventivo sui contenuti delle norme. Aggiunge la Corte un principio che non era stato neppure asserito a chiare lettere dall’Avvocatura dello Stato, cioè che la competenza regionale sugli usi civici, pur esclusiva, non può, però, intromettersi nell’esclusiva competenza statale di diritto privato, in quanto nella vigenza delle due leggi costituzionali – originaria e n. 3 del 2001 – “il regime civilistico dei beni civici non è mai passato nella sfera di competenza delle Regioni”, nel senso che “la disciplina della titolarità e dell’esercizio di diritti dominicali sulle terre civiche” non può risalire al settore dell’agricoltura (così la sentenza costituzionale, pure recente, n. 113 del 2018). In definitiva, la pur vigente competenza regionale sarda sugli usi civici può solo essere intesa come legittimazione a promuovere i procedimenti amministrativi finalizzati alle ipotesi tipiche di sclassificazione previste dalla mai superata normativa statale sugli usi civici del 1927 e 1928. I beni ad uso civico sono assimilati a quelli demaniali, con i relativi vincoli alla loro circolazione, irrilevanti restando pretese sdemanializzazioni di fatto (la Corte cita, al riguardo, varie pronunce, anche recentissime, della Cassazione). E neppure la recente legge nazionale n. 168 del 2017, in materia di domini collettivi, ha mutato l’assetto della legislazione di base degli anni ‘20, confermando l’inalienabilità, l’indivisibilità, l’inusucabilità, la perpetua destinazione agro-silvo-pastorale dei terreni ad uso civico. Ed anche il Codice dell’ambiente, oltre alla stessa legge sui domini, garantisce la conservazione degli usi civici per contribuire alla tutela del paesaggio. La normativa censurata contrasta, dunque , quanto alla disposta autorizzata e quasi libera sclassificazione, con il principio che, per mutare un uso civico, solo nelle fattispecie tipiche si può rimanere, in esse, per altro, essendo ora incluso il concerto fra Regione e Ministero dell’ambiente. La Regione non è legittimata “a pregiudicare normativamente contenuti e moduli procedimentali della ….copianificazione e neppure a imporre allo Stato l’esercizio del potere sostitutivo”, volto ad attuare le unilaterali prescrizioni regionali. Il concerto Regione-Stato sarà anche il locus” procedurale per gestire i siti ormai non più restituibili all’uso civico, comunque sempre che il mutamento dell’uso civico conduca ad un impiego utile alla collettività, che ancora ne resterà intestataria. 4.- Conclusioni. Che dire! E’ una sentenza estremamente rigida, che non lascia spazi di manovra alla Regione Sardegna in ordine ad un regime “allegro” dell’ambiente. Parafrasando una pubblicità dei tempi di Carosello alla TV, la Corte ha introdotto “tempi duri per i troppo cattivi”. E’ una specie di “avviso a chi tocca”. I sardi non sono tutti costruttori o albergatori (ma forse non ognuno di costoro è a favore del progetto paesaggistico Pigliaru-Erriu in esame al Consiglio regionale), né sono tutti iscritti ad associazioni varie (eufemisticamente parlando), né i turisti in visita sono tutti provenienti da qualche Paese medio-orientale. I Sardi che al popolo isolano veracemente appartengono – nel significato di popolo che ci ha appena suggerito l’articolo di Antonella Soldo – sperano in una resipiscenza della Giunta, magari anche se non ne sono certi. Concordo al riguardo con loro e con quanto i partecipanti al Seminario della MEM hanno compattamente sostenuto augurandomi che accada, seppure contra spem, da sardo di adozione più che da magistrato amministrativo che ha svolto un ruolo istituzionale in Sardegna. *Magistrato amministrativo a riposo già Presidente TAR Sardegna e già Vicepresidente di Sezione del Consiglio si Stato.
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