Io, Lise Meitner: fisica, ebrea e sfuggita ai lager nazisti [di Pietro Greco]
Left. L’unico giornale della sinistra. 5 settembre 2018. È solo il 9 maggio 1938 che Lise Meitner si rende conto che, anche per lei, tutto è cambiato. Definitivamente. Meno di due mesi prima, il 12 marzo 1938, c’è stata l’Anschluss: la sua Austria è stata annessa da Adolf Hitler. E lei è diventata a tutti gli effetti cittadina tedesca. E, quindi, senza più diritti. Perché lei, anche se di religione cristiana protestante, è ebrea. Lise è una signora di 60 anni che vive e lavora a Berlino. E da quando Marie Curie è morta, quattro anni prima, è la donna che meglio conosce, in tutto il mondo, la fisica nucleare. Sta appena approntando un esperimento decisivo per capire davvero cosa succede nel nucleo di uranio quando lo bombardi con neutroni lenti. Ma la storia incombe e non c’è più tempo. I nazisti stanno diventando sempre più feroci ed è ora di lasciare la Germania. «Posso venire?», chiede al nipote Otto Frisch che lavora con il grande fisico e grande amico Niels Bohr a Copenaghen, in Danimarca. Ma certo che puoi, risponde il nipote. Ma, si sa, spesso gli scienziati vivono sulle nuvole. E quei tre non si sono accorti che i paesi liberi e democratici di tutto il mondo stanno elevando barriere insuperabili per gli ebrei che vogliono fuggire dalla Germania. Lise e il nipote camminano, appunto, sulle nuvole. Così lei, spensierata, l’indomani si reca all’ambasciata danese a Berlino e chiede, come ha sempre fatto, un visto per andare a Copenaghen. Ci dispiace, le dicono, gelandola: il suo vecchio passaporto, quello austriaco, non è più valido. Ma io non ho un altro passaporto. Allora ci dispiace, lei non può ottenere il visto per la Danimarca. Gelata, esce dall’ambasciata. Poi decide: chiedo un nuovo passaporto, tedesco. In fondo sono una scienziata e devo rispondere a numerosi inviti che mi vengono continuamente dall’estero. Si reca così nella sua città natale, Vienna, dove conosco quel tale funzionario … Niente da fare. Anche a Vienna una doccia gelata: occorre aspettare, vedere, verificare. Sai, tu sei ebrea di nascita e non puoi ottenere il passaporto. Però magari se le autorità, lì a Berlino. Lise mette in campo tutte le sue conoscenze di grande e riconosciuta scienziata. Ma niente da fare: anche se arriva indirettamente a Wilhelm Frick, il ministro degli Interni del Reich, non ottiene risposta. Intanto i giorni passano. E lei e i suoi amici sono sempre più preoccupati. Presto sarà troppo tardi. Magari sarà più facile uscire se dimostri di avere un lavoro in un paese straniero. Chiediamo a Bohr. Risposta: mi dispiace, cara Lise, ma la Danimarca non può offrirti nessuna posizione E senza un lavoro anche se esci dalla Germania sarai respinta alla frontiera. È quanto potrebbe accadere anche alla frontiera Svizzera. Troppo pericoloso. E con l’Olanda? I suoi colleghi olandesi interpellano le autorità. Ci dispiace, senza un posto di lavoro non accettiamo nessuno, neppure gli ebrei che hanno bisogno di lasciare la Germania. Alcuni amici olandesi cercano di racimolare 20.000 fiorini per darle una posizione di almeno cinque anni in un qualche centro privato. Niente da fare: ne raccolgono appena 4.000. Infine anche Wilhelm Frick, il ministro degli Interni nazista, risponde alle sollecitazioni degli amici tedeschi di Lise. La signora è ebrea e non può avere il passaporto. Tanto più che il Reich ha varato una norma specifica, che vieta agli scienziati “non ariani” di lasciare il Paese. Lise è intrappola. Non c’è via d’uscita. Il suo caso sta per passare nelle competenze di Heinrich Himmler, il capo delle SS. Finalmente la buona notizia. Manne Siegbahn le offre una posizione in Svezia, presso l’istituto che sta creando a Stoccolma. Poi, l’11 luglio, finalmente la seconda e decisiva buona notizia: le autorità olandesi chiuderanno un occhio e non la rimanderanno indietro alla frontiera, se lei in Olanda metterà piede solo per un transito veloce verso la Svezia. Bene, nel muro dei paesi liberi e democratici si è aperta una breccia. Ma ora si tratta di attraversare la frontiera. Come impedire che la polizia tedesca la controlli alla dogana? La soluzione è, per così dire, all’italiana. Lei tenterà di attraversare la frontiera in un luogo poco frequentato. E i doganieri olandesi parleranno con i colleghi tedeschi, con cui hanno familiarità, perché quel giorno non ci siano controlli. Il rischio è altissimo. Ma è l’unica opzione possibile. Il 13 luglio Lise parte con un amico olandese da Berlino e, dopo sette ore in treno, con il cuore a mille raggiunge la frontiera. Il treno rallenta. Si ferma. I tedeschi non controllano. Si riparte. È in Olanda. La migrante clandestina Lise Meitner ce l’ha fatta. È stata fortunata. Molti altri ebrei, in quei mesi, in quei giorni, non ce la fanno. Nei Paesi liberi e democratici sanno bene i pericoli che corrono. Si organizza persino una conferenza internazionale per discutere che fare con gli ebrei in fuga dalla Germania. In tutto, gli ebrei in Germania, sono mezzo milione. Il mondo è grande e potrebbe certo accoglierli. La conferenza internazionale per assumere una decisione si chiude a Evian-les-Bains, in Francia, il 15 luglio: due giorni dopo la fortunata fuga di Lise. I cuori sono duri. E la decisione è raggelante. Nessun Paese, tranne la Repubblica domenicana e la Bolivia, è disposto a rivedere i propri limiti sulle politiche di immigrazione. Chi non rientra nelle regole – pericolo o non pericolo – è rispedito indietro. In Germania. Non sono solo proclami. Succede alle frontiere di molti Paesi. Non solo europei. Pochi mesi la fortunata fuga di Lise, il 13 maggio 1939, salpa da Amburgo un transatlantico, il St. Louis che ha a bordo 937 profughi, quasi tutti ebrei, e un comandante eroico, un tedesco, Gustav Schröder, che li vuole salvare. La nave attraversa l’Atlantico e arriva a Cuba. Respinti. Solo in 22 riescono a scendere. Si fa rotta verso gli Stati Uniti. Respinti. Il 17 giugno 1939, un mese e quattro giorni dopo la partenza, i “clandestini” possono sbarcare. L’Inghilterra ne accoglie 288, la Francia 224, l’Olanda 181 e il Belgio stesso 214. Di questi sopravvivono alla guerra solo in 365. Il resto muore. Molti nei campi nei campi di concentramento di Auschwitz e a Sobibor. Questa e altre macchie pesano ancora sulla coscienza dei Paesi liberi e democratici. Ha bombardato il nucleo di uranio con neutroni lenti e ha ottenuto strani risultati. Tra i prodotti di reazione c’è il bario, un elemento molto più leggero dell’uranio. Hahn non sa darsi una spiegazione. E, via lettera, chiede lumi a Lise. L’austriaca, insieme al nipote Otto Frisch che l’ha raggiunta, la spiegazione la trova. Hai ottenuto la fissione dell’atomo: hai spaccato il nucleo di uranio. E hai liberato una quantità enorme di energia. In capo a pochi giorni i fisici nucleari dei paesi liberi e democratici, che si trovano per caso tutti a New York, comprendono che è possibile applicare quella scoperta per ottenere un’arma di distruzione di massa di inusitata potenza. Verrà realizzata, quella bomba. Ma Lise, interpellata, si rifiuta di partecipare alla sua costruzione. Fosse anche vero che è un deterrente verso i nazisti, che l’hanno perseguitata e a cui è sfuggita per un pelo, lei non può piegare la fisica alla logica militare. Non può contribuire alla creazione di un’arma di distruzione di massa. Nel 1945 a Otto Hahn verrà conferito il premio Nobel per la scoperta della fissione dell’atomo. Alla clandestina che è riuscita a trovare un buco nel muro con cui i Paesi liberi e democratici hanno risposto alla domanda disperata dei profughi ebrei non va alcun riconoscimento. (da Left n.28 del 13 luglio 2018)
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