A Cagliari la situazione di Piazza del Carmine si è affrontata come una questione di ordine pubblico e non con politiche finalizzate alla accessibilità e alla convivenza [di Antonietta Mazzette]
Il sindaco di Cagliari ha tolto la rete wi-fi in Piazza del Carmine, diventata un punto di ritrovo per molti migranti approdati in città dopo viaggi estenuanti, con la duplice speranza di migliorare la loro condizione di vita e di avere un permesso per andare fuori dall’Isola. La rete wi-fi accessibile gratuitamente è probabilmente l’unico modo perché questi ragazzi possano mantenere un legame con le loro famiglie. Il sindaco, togliendo la rete, ha risposto alla richiesta dei residenti e degli esercenti della zona di porre fine ad assembramenti di stranieri che erano percepiti come fonte di insicurezza, problema che si è aggiunto ai diversi elementi di degrado preesistenti nella piazza. Ma se è comprensibile il fatto che la colonizzazione di un luogo da parte di una specifica popolazione (in questo caso i migranti) sia sempre ragione di allarme sociale, perché il sindaco non ha moltiplicato e diffuso i punti di accesso Internet, in modo da spalmare nel territorio la presenza di queste persone? Magari dopo aver spiegato loro le ragioni di questa distribuzione. Il caso di Piazza del Carmine è comunque marginale rispetto alle dinamiche urbane più complessive, lo utilizzo soltanto perché è sintomatico di un’idea di città che sta perdendo la sua valenza pubblica. Ovvero, la città (astrattamente intesa) appare non più in grado di costruire spazi pubblici (aperti e chiusi) dove persone diverse – per età, genere, cultura, status, etnia, etc. – possano mescolarsi e coesistere. Ciò riguarda non solo Cagliari, ma gran parte dell’esperienza urbana italiana che si va caratterizzando per contatti sociali che si sviluppano tra individui tra loro simili e centralità del consumo nell’azione sociale. Tutto ciò che fuoriesce da queste caratteristiche diventa fonte di insicurezza. Inoltre, è interessante constatare che, a qualunque latitudine e di qualunque segno politico sia il sindaco di turno, non si abbandona la pratica di risolvere in modo semplicistico – che nell’immediato è di sicuro effetto elettorale – problemi complessi. È successo in molte città americane a partire dai primi anni ’80 del secolo scorso, dove si è iniziato a privatizzare molti parchi, proprio con la finalità di mandar via popolazioni considerate scomode come homeless o pacifisti, per poi giungere a forme estreme di regolamentazione dell’accesso come sono i Business Improvement Districts, sorti in relazione ai diffusi problemi di degrado, ma soprattutto per garantire sicurezza ai residenti più abbienti: attualmente, solo a New York se ne contano oltre 1500. È successo in molte città italiane dove, ad esempio, si sono eliminate le panchine dalle aree centrali (comprese le stazioni ferroviarie), proprio al fine di impedire alle suddette popolazioni (anche in questo caso, per lo più, senza fissa dimora, immigrati e venditori informali) di stazionare negli spazi pubblici, per arrivare a vere e proprie forme di architettura ostile, finalizzate a controllare comportamenti ritenuti inappropriati, come il dormire: ad esempio, gli spuntoni anti-clochard, il braccio metallico nel mezzo di una panchina, persino panchine senza seduta, per cui si è costretti a stare in piedi appoggiando la schiena. Questo modo di intendere la città, nel migliore dei casi, ha spostato altrove i problemi, compresi quelli legati alla sicurezza. Infatti, i migranti che prima andavano in Piazza del Carmine, considerato che non è svanito il loro bisogno di accedere alla rete wi-fi, ora si sono spostati in altre piazze, suscitando ovviamente le reazioni di altri residenti. Insomma, cambiano le città, gli amministratori e le domande sociali, ma le soluzioni individuate per sanare i problemi di degrado e di lacerazione sociale, sono affrontate più come questione di ordine pubblico che con politiche finalizzate a garantire luoghi sicuri, puliti, multifunzionali e accessibili a tutti; luoghi dove persone diverse possano coesistere, senza che ciò comporti conflitto sociale. |
Sono d’accordo. Felice Todde