Scienza e Società: una vecchia incomprensione tutta italiana [di Giuseppe Pulina]

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La patria di Galileo continua, dopo oltre 400 anni, e mostrare una certa incomprensione nei confronti della scienza e dei ricercatori (si vedano a proposito le recenti cronache di Stamìna, della sperimentazione animale e della previsione dei terremoti che hanno fatto inorridire la stampa scientifica internazionale).

Eppure i nostri scienziati sono fra i migliori del mondo in quanto, rappresentando solo l’1,1% dei ricercatori planetari, pubblicano il 3,8% di articoli e attraggono il 6% delle citazioni, ponendosi al terzo posto assoluto dopo Svizzera e Regno Unito e prima di USA, Francia e Germania. A conferma di ciò va ricordato che il drappello di nostri scienziati che ha partecipato al “Consolidation Grant” dell’European Research Council, si è piazzato al 2° posto con 46 progetti approvati (Germania 48, Francia 33); tuttavia il 57% dei vincitori andrà a spendere i soldi del finanziamento all’estero (contro il 13% dei tedeschi), vanificando il vantaggio economico e di contesto per il nostro Paese. Morale? I ricercatori italiani hanno stoffa, ma l’Italia non è un paese per  cienziati. Vediamo il perché.

Innanzitutto la solita storia (repetita iuvant)  della scarsezza dei finanziamenti: pur occupando l’8° posto nella graduatoria mondiale per PIL, l’Italia è solo 15a per investimenti in ricerca e sviluppo con uno scarso 1,15% sul PIL, molto distante dall’obiettivo di Lisbona del 3% siglato dagli stati membri della UE ormai un decennio fa. Ma è il fatto della scarsa considerazione sociale della scienza che genera un basso investimento in ricerca e sviluppo (R&S) e non viceversa, e da noi la disistima o la limitata considerazione degli ambiti scientifici assume dei contorni inquietanti. La distanza fra scienza e società, aumentata negli ultimi 40 anni come evidenziato dal bel saggio di Jerome Kagan  “Le tre culture” (Feltrinelli), si è amplificata ulteriormente nel recente passato per opera di alcuni fattori:

1) il ruolo ingombrante assunto dai cosiddetti “esperti” in tutte le attività, che ha occupato gli spazi una volta detenuti dai “saggi”;

2) il linguaggio esoterico della scienza che il cittadino stenta a capire;

3) l’attribuzione agli scienziati dei mali della modernità (inquinamento, malattie, armi distruttive, ecc.);

4) il fatto che l’dea di fondo delle scienze della natura contrasti con il senso comune;

5) la negazione da parte degli scienziati di implicazioni finalistiche ed etiche degli eventi naturali.

Di fronte a queste “incomprensioni”, nella società italiana (e in altre società occidentali) si è radicato un atteggiamento polarizzato fra due ideologie contrastanti,  l’Antiscientismo  e lo Scientismo, entrambe purtroppo frutto di ignoranza del mondo della ricerca e dei metodi e delle modalità di azione del metodo scientifico. La corrente depressione psicologica che ha colpito in massa gli italiani, ha consegnato la maggioranza dei nostri concittadini alla prima corrente di pensiero, quella degli antiscientisti o cercatori di “verità assolute”. Costoro sono animati da scetticismo cronico (la scienza non dispensa verità, ergo è inutile), diffidenza (tutti gli scienziati sono in qualche modo manipolati), rimozione (la scienza non è un argomento interessante) e relativismo assoluto (se esistono dispute nella scienza, allora il discorso scientifico è uguale a tutti gli altri discorsi).

D’altro canto, gli scientisti anelano a una società tecnocratica e sono animati da immediatezza (la scienza deve dare rapidamente risposte a tutto), utilitarismo (l’unica scienza utile è quella che serve a risolvere i problemi pratici della gente), iper-semplificazione (esistono sempre soluzioni facili a problemi difficili [e immancabilmente sbagliate!, nda]) e fideismo (se uno scienziato è bravo in un campo di studio è bravo in tutti i campi di studio, ovvero il ritorno al Principio di Autorità). Se scienza e democrazia sono collegate e investire in scienza conviene, come illustrano due bei saggi rispettivamente di Gilberto Corbellini (Scienza quindi Democrazia – Einaudi) e di Ignazio Visco (Investire nella conoscenza – Il Mulino), quanto costa sotto i profili sociale e economico l’ignoranza scientifica all’Italia? Per prima cosa occorre riflettere sul fatto che la nuova ricchezza creata nel mondo si ottiene per l’80% da prodotti immateriali, ricchi in conoscenza scientifica e tecnologica, e solo il 20% da quelli materiali; seconda cosa è da sottolineare che, secondo un’indagine dell’Associazione dei Contribuenti Italiani, il fatturato nazionale di maghi, fattucchiere e cartomanti, nel nostro Paese, è cresciuto nel 2013 del 11%, arrivando alla stratosferica cifra di 18 mld di euro, poco al di sotto della spesa complessiva per R&S che si è attestata nel 2012 intorno ai 20 mld di euro.

Insomma, l’Italia è attraversata da una sorta di schizofrenia: di fronte a un’elite di ricercatori che disperatamente cerca di restare a passo con il resto del mondo producendo valore scientifico 6 volte superiore alla media mondiale e 4 volte più economico, abbiamo una società che ignora o disprezza la Scienza e che ricorre sempre più massicciamente a metodi “alternativi” per aggirare le regole della natura, dalle cure al controllo della propria esistenza, spendendo privatamente in incantesimi la stessa cifra che pubblicamente destina alla ricerca scientifica.

A parziale giustificazione dell’attuale stato di ignoranza scientifica diffusa, va detto che questa ha un padre nobile: Giovanni Gentile, autore della ben nota riforma fascista degli studi medi e universitari. Il bel saggio di Giorgio Israel, pubblicato sul Bollettino dell’Unione Matematica Italiana nel 1998 ci rivela l’arcano. Vito Volterra, insigne matematico, fondatore del CNR e Senatore del  Regno, si scagliò, in qualità di presidente dell’Accademia dei Lincei, contro la riforma Gentile con una parere pubblicato nel 1923 dal titolo “Sopra i problemi dell’insegnamento superiore e medio. A proposito dell’attuale riforma”.

Nello specifico, egli sostenne con forza il ruolo trainante della matematica e delle scienze della natura nella formazione scolastica e culturale degli italiani, ma fu sconfitto e le materie umanistiche (simbolo supremo di romanità) divennero il vero e l’unico faro della Cultura, relegando matematica e scienze al ruolo ancillare di supporti alle tecnologie applicate di cui si nutriva abbondantemente l’ideologia futurista diventata subcultura del Fascismo.

Per inciso, Vito Volterra fu uno dei 12 professori, su oltre 1200,  che si rifiutarono di giurare fedeltà al regime [vale sempre la pena ricordare gli altri: Giorgio Levi Della Vida, Gaetano De Sanctis, Ernesto Buonaiuti (tutti dell’Università di Roma), Edoardo Ruffini Avondo (Università di Perugia), Bartolo Nigrisoli (Università di Bologna), Mario Carrara, Francesco Ruffini, Lionello Venturi (tutti dell’Università di Torino), Giorgio Errera (Università di Pavia), Piero Martinetti (Università di Milano), Fabio Luzzatto (Regia Scuola Superiore di Agricoltura di Milano)], perdendo il posto e morì povero e dimenticato nel 1940: si può dire che Gentile e i gentili (nel senso di fascisti) si accanirono sull’uomo e sull’ebreo. Il risultato? Oggi l’Italia è l’unico Paese al mondo in cui persone di (cosiddetta) cultura di vantano pubblicamente di non capire nulla di matematica. Contente loro… poveri noi.

Post scriptum. Giovanni Gentile fu uno degli intellettuali di punta italiani del ‘900. Fu coerente con le sue idee fasciste fino all’adesione alla Repubblica Sociale Italiana.  Fu ucciso da un commando dei GAP  il 15 aprile del 1944. La sua riforma di scuola e università continua a permeare profondamente la cultura italiana.

*Direttore del Dipartimento di Agraria, Università di Sassari. Intervento nella Tavola Rotonda Le tre culture . Orizzonti formativi per lo sviluppo della Sardegna: La Formazione scientifica nel corso dell’iniziativa Sardegna: Terra della conoscenza e della comunità educante, organizzata il 27 gennaio alla MEM di Cagliari da LAMAS,

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