Tempi interessanti. Alla cinese [di Nicolò Migheli]
Per chi analizza i movimenti sociali e le loro manifestazioni politiche, questi sono tempi di grande interesse. Non è che quelli passati lo siano da meno, solo che esserne partecipi e in parte attori, fa in modo che la propria contemporaneità assuma un sapore differente. Gli scontri e le speranze le si vive nella propria carne, nel modo di leggere la propria presenza nel mondo. Un Das sein, un esserci nel tempo, da cui si vorrebbe fuggire, ma le circostanze fanno in modo che sia sempre sotto gli occhi, una camicia di forza da dove non si scappa. Il fantasma che si aggira nel mondo contemporaneo non è più quello del comunismo bensì quello delle etnocrazie, il dominio di una maggioranza etnica sulle altre che per esercitare il proprio potere ha bisogno di una dimensione autoritaria espressa in gradi progressivi: di una diversità di accesso ai diritti e ai benefici a seconda della propria provenienza; della regione del Paese dove si vive; dai segni esteriori come aspetto fisico, lingua parlata e accento; dal livello differente di istruzione. Una cosa diversa dalla conosciuta differenza di classe, una riproposizione delle differenze coloniali. In Italia non è condizione nuova, praticata dall’Unità in poi contro meridionali, rom, ebrei, minoranze etniche come i sardi. Una scala di diversità che si nutre dell’esaltazione nazionale della maggioranza, di adesione al modello del maschio eroico che difende l’ordine costituito e i confini della nazione, pratica la religione maggioritaria, ne difende i valori, ha in orrore ogni comportamento sessuale differente che definisce deviante, vive il mondo femminile come devoto al maschio, dipendente da lui, legato alla famiglia. Qualsiasi cosa voglia dire quest’ultima parola. Esaltazione dell’Uomo forte, quello che libera dalle responsabilità personali, che difende la nazione. Tutto il resto non esiste, o se insiste nel manifestarsi va represso duramente, una volta con la galera. Oggi basta non applicare le leggi, esporre chi devia alla gogna mediatica, alla pubblica riprovazione della maggioranza che altro non aspetta se non carne umana da ridurre in brandelli. Un modello che impedisce ogni autodeterminazione degli individui e dei popoli minoritari; l’unica speranza di una qualche salvezza è aderire al modello della maggioranza, blanditi con promesse di integrazione nel sistema costituito. La Storia non si ripete mai nello stesso modo, ma i modelli politici tendono ad aderire a quelli che si è ritenuti di successo. È interessante il comportamento del ministro dell’Interno, il quale non esista a condire i suoi discorsi con frasi tratte dal repertorio mussoliniano, prefigura una politica segregazionista verso i migranti; vellica gli italiani con frasi dure e scontri con l’èlite europea, la finanza, i poteri forti, colpevoli, a suo dire, di ogni nefandezza contro l’Italia. Tutto questo è fascismo? No risponde la maggioranza degli storici che quegli eventi politici situano in periodo ben determinato, dal 1922- qualcuno sostiene 1925 con l’instaurazione della dittatura – e il 1943, lasciando fuori la repubblica di Salò e le manifestazioni neofasciste del dopoguerra fino ai giorni nostri. Il fascismo è finito e non ritornerà. In questo hanno ragione, non tornerà in quei modi. Non vi è più bisogno di Marce su Roma o di carri armati nelle strade. Oggi il modo per conquistare il potere per forze politiche con ideologie autoritarie è molto più raffinato, basta alimentare timori, instillare insicurezza, esaltare ogni episodio deviante delle minoranze come minaccia sociale. L’aiuto dei social media e dei carnefici volontari farà il resto. Con inguaribile ottimismo si può affermare che fino a quando la costituzione repubblicana non verrà cambiata saremo salvi. La pensavano così anche in Ungheria, Polonia e in Turchia, ma i fatti sono andati diversamente. L’analisi di molti storici si ferma alla realizzazione politica, poco indaga sull’apparato valoriale fascista il più delle volte assimilato allo spirito del tempo, si guarda solo al totalitarismo e all’abolizione del multipartitismo, alle leggi razziali. È così? Umberto Eco nel 1997 pubblico, prima in inglese e poi in italiano Ur fascismus, il fascismo eterno. Un testo che indagava sulle costanti culturali italiane e come era stata declinata qui la propensione all’autoritarismo. Eco sosteneva che l’apparato valoriale fascista sia endemico, incarnato nello spirito nazionale, eterno appunto, che non aspetta altro che le condizioni storiche adatte per manifestarsi. A suo tempo quel libro venne accolto con poco dibattito contrario, limitato alla stampa di proprietà berlusconiana, neanche tanto però. I tempi non erano maturi, nessuno temeva un fascismo risorgente e la corazzata Eco faceva il resto. Succede però che la scrittrice Michela Murgia pubblichi per Einaudi Istruzioni per diventare fascisti, un pamphlet sulla traccia dei ragionamenti di Eco aggiungendo un’indagine sul metodo per diventarlo. Si può essere d’accordo o no sui contenuti del libro, tutto ciò poco conta. Contro la scrittrice che si è scatenata un’aggressione con pochi precedenti, solo Saviano è stato oggetto di una cura simile. In una Italia dove il governo verde giallo è in piena luna di miele con il corpo elettorale- 60% di consensi-, Michela Murgia agisce come cartina di tornasole. Il Re è nudo. Le reazioni sono classificabili in quattro posizioni. La prima: quella di chi ha un approccio storico e vede solo la realizzazione politica del fascismo limitata al ventennio. La seconda: quel termine è usurato, sono settant’anni che si urla al fascismo risorgente e la scrittrice sarda è solo l’ultima e non avrebbe neanche gli strumenti tecnici per poter fare simili affermazioni. La terza: fogli e siti di destra, che negano sempre il ritorno dello spirito del ventennio ma sono durissimi nelle accuse, scendono nel personale con apprezzamenti volgari. La quarta: i nemici di sempre, chi rimprovera a Michela il suo successo, l’essere scrittrice tradotta in molte lingue- la terza autrice sarda dopo Gramsci e Deledda – di essere un’intellettuale sopravvalutata frutto dell’industria culturale, di essere indipendentista e femminista radicale. Tra questi ultimi, è il caso di dirlo, si distinguono le donne. L’alta metà del cielo dovrebbe chiedersi perché quando una di loro raggiunge posizioni di prestigio, è sempre disposta alla negazione e demonizzazione dell’altra. Che Michela Murgia abbia toccato nervi scoperti, lo dimostrano le affermazioni del ministro dell’interno, che ha aizzato i suoi cani da social. Aveva ragione Piero Gobetti quando scrisse su Rivoluzione Liberale Fascismo come autobiografia di una nazione. E anche Pier Paolo Pasolini nel n° 36 di Vie Nuove: Non occorre essere forti per affrontare il fascismo nelle sue forme pazzesche e ridicole: occorre essere fortissimi per affrontare il fascismo come normalità, come codificazione, direi allegra, mondana, socialmente eletta, del fondo brutalmente egoista di una società.
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