Una “riforma” della sanità regionale irrazionale, figlia di un paradigma: tagliare ed accentrare [di Massimo Dadea]
Oramai non c’é da stupirsi più di niente. In una società in cui a primeggiare è la furbizia, il trasformismo, l’incoerenza, rimane poco spazio per la verità, la lealtà, la coerenza, il merito. Virtù, queste ultime, che sembrano appartenere solo agli stupidi. Quegli inguaribili romantici, un po’ patetici, testimoni di un tempo passato, che continuano a credere in valori desueti. Però c’è un limite a tutto. Prendiamo ad esempio la cosiddetta “riforma” della sanità sarda. Sono in molti coloro che oggi criticano con durezza le sciagurate scelte del governo regionale. Paradossalmente anche chi quelle opzioni le ha elaborate e perorate, come ad esempio i Riformatori – chi non ricorda la esaltazione delle magnifiche sorti e progressive della ASL unica – o ancora peggio, chi quelle scelte le ha votate stando comodamente seduto sugli scranni della giunta, come il Partito dei sardi. Oggi tutti a stracciarsi le vesti: “smonteremo la sanità”, “spazzeremo via la sciagurata riforma”. Un plastico esempio di trasformismo. La verità è che allora furono veramente pochi coloro che fecero sentire la loro voce per mettere in guardia dalle drammatiche conseguenze della cosiddetta “riforma”. Ha un senso oggi attardarsi a riflettere sui guasti provocati da quelle scelte? Può servire a qualcosa provare ad immaginare un’organizzazione sanitaria diversa, capace di rispondere ai bisogni di salute dei cittadini? E soprattutto, ha un senso farlo a pochi mesi dalle elezioni per il rinnovo del Consiglio regionale? Io credo proprio di sì, e comunque bisogna almeno provarci. La disparità dei cittadini di fronte al diritto alla salute è una delle disuguaglianze più insopportabili. Non è un caso se la mancata lotta alle disuguaglianze sia una delle motivazioni più importanti della sconfitta della sinistra il 4 marzo. Tutto questo è ancora più bruciante visto che quest’anno il SSN (Servizio Sanitario Nazionale) compie quarant’anni, ma il suo stato di salute non è per niente buono. Anzi. I tagli lineari operati sulla spesa sanitaria stanno vanificando il principio universalistico, e con esso l’accesso gratuito ai servizi sanitari. Sono 11 milioni i cittadini (sopratutto giovani ed anziani) che rinunciano alle cure mediche perché non possono pagare i ticket. Ed allora perché stupirsi se nel meridione l’aspettativa di vita è più bassa di quattro anni rispetto al resto del Paese? In Sardegna, poi, tutto questo ha degli effetti dirompenti. Una regione segnata da un tasso di invecchiamento tra i più alti in Italia e in Europa, da un’alta prevalenza di patologie croniche e degenerative – tra tutte il Diabete e la Sclerosi multipla – un’alta incidenza di patologie tumorali legate all’inquinamento industriale. Non è un caso che in Sardegna la principale causa di morte siano i tumori (29,1%) e non le malattie cardio-vascolari (28,6%), come avviene nelle altre regioni. A fronte di questi dati epidemiologici è sconcertante che non sia ancora operativo il Registro regionale dei tumori e non siano assicurati adeguati Percorsi diagnostico-terapeutico-assistenziali per i pazienti affetti da Sclerosi multipla. Infatti, secondo il rapporto CREA, la tutela della salute nell’isola è la peggiore in Italia. Una organizzazione sanitaria tanto costosa quanto inefficiente: la spesa farmaceutica tra le più alte tra le regioni italiane; liste d’attesa inaccettabili per un paese civile (192 giorni per una mammografia, 208 per una colonscopia, 111 per una visita urologica). Un sistema ospedaliero inadeguato: oltre il 70% degli accessi in pronto soccorso è inappropriato; il tasso di ospedalizzazione, a causa dei ricoveri ingiustificati, è tra i più elevati. I presidi ospedalieri sono così impossibilitati a svolgere la loro funzione primaria – la diagnosi e la cura più fine e sofisticata – perché appesantiti dalla routine e dalla mancanza di servizi territoriali che facciano da filtro, dalla assenza di una adeguata continuità terapeutica ed assistenziale. Oltretutto, uno sperpero di risorse visto che un ricovero ospedaliero costa tra i 700 e gli 800 euro al giorno. Solo l’inadeguatezza del governo regionale poteva non accorgersi che il nodo cruciale è il territorio: l’assenza di una efficace rete di servizi territoriali. Una “riforma” della sanità regionale irrazionale, figlia di un paradigma inaccettabile: tagliare ed accentrare. Da qui la scelta di creare una macrostruttura (ATS) che genera sprechi ed inefficienze, come stanno sperimentando sulla loro pelle gli operatori sanitari. Una “riforma” che viene percepita dai cittadini, dagli operatori sanitari, dagli amministratori locali, come penalizzante perché finalizzata ad una mera riduzione della spesa sanitaria: si svuotano i piccoli ospedali, si chiudono i servizi, si spostano gli operatori sanitari. Nel contempo, i grandi ospedali, quelli di alta specializzazione, vedi ad esempio il Brotzu, lamentano una pericolosa perdita di efficienza e della qualità delle prestazioni. In compenso la cosiddetta “riforma” riesce a dare un contributo decisivo all’accentuarsi degli squilibri territoriali: si svuota il territorio di servizi essenziali; si aggrava il processo di spopolamento delle aree più deboli; si favorisce la “desertificazione” sociale, economica e culturale di ampi territori della Sardegna. La tutela del diritto alla salute, il superamento delle diseguaglianze, saranno il banco di prova per misurare capacità della sinistra, delle forze progressiste, dei movimenti che si richiamano all’autodeterminazione, di rappresentare un’alternativa di governo, concreta e praticabile, all’avanzare della destra populista, xenofoba e razzista.
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Lo stesso farmaco a esclusiva somministrazione ospedaliera rel Lazio è erogato in day hospital, in Sardegna in ricovero. Mi dicono- al Centro di Riferimento per la patologia – per problemi organizzativi. Cge aggiungere?