Il servizio e l’impegno politico è la più alta forma di carità cristiana [di Paolo Matta]

Paolo VI

Mi hanno molto colpito le recenti parole di Papa Francesco intervenuto sul tema della partecipazione dei credenti alla vita politica: «La complessità della vita politica italiana e internazionale necessita di fedeli laici e di statisti di alto spessore umano e cristiano per il servizio al bene comune». Mi è sembrata l’unica voce che si è alzata, solenne e credibile, su questo tema. Ma anche, purtroppo, voce che è rimbombata in un assordante silenzio.

Mi chiedo allora: nell’attuale momento storico, vigilia elettorale per il rinnovo del Consiglio regionale, dov’è la Chiesa sarda? Possibile che, i vescovi in prima persona, non abbiano sentito il bisogno – salvo ripetere e ripeterci fino alla noia la solita litania di problemi irrisolti – di far sentire la voce delle comunità ecclesiali, delle associazioni e movimenti, in occasione di questo delicato passaggio elettivo?

«La Chiesa non fa politica», ho sentito dire da poco in una predica. Una colossale stupidaggine. Laddove per politica si intenda la cura e la prossimità al cittadino, declinato in tutte le sue variabili, annunciare e testimoniare il Vangelo è politica. Lo stesso Paolo VI, oggi santo e una sorta di patrono in pectore della classe politica di ispirazione cristiana, ebbe a ribadire più volte che «il servizio e l’impegno politico è la più alta forma di carità cristiana».

Non riesco pertanto a darmi ragione del silenzio, del distacco – quasi supponente e infastidito – che questa chiesa sarda, a partire delle sue gerarchie, mostra verso il tema. Salvo poi rifugiarsi, e in modo neanche tanto sotterraneo, nel sostegno a questo o quel candidato purché garante di presenti e futuri benefit.

Possibile che la Conferenza Episcopale Sarda, così attenta – solo per fare un esempio – all’uso della lingua sarda nella liturgia non lo sia anche nel ricercare nuove forme e modi di presenza nelle istituzioni (oggi regionali, domani nazionali, dopodomani comunali) di quelle intelligenze e capacità, certamente presenti nelle diocesi di loro competenza?

Possibile che da questi territori non emergano iniziative, anche dichiaratamente elettorali – perché no? – che esprimano personalità in grado, come dice Papa Francesco («voce che grida nel deserto», sempre di più) di garantire quell’alto spessore umano e cristiano all’interno delle nostre assemblee elettive?

Facile, pilatescamente, laversene le mani e lasciare che siano altri a «occuparsi» di queste cose. Io sono convinto che, oggi più che mai, sulla comunità ecclesiale sarda incomba come un macigno un’enorme responsabilità, che non può essere disgiunta dalla cura pastorale delle anime.

Per anni ci si è stracciate le vesti per una Chiesa collaterale al potere politico, addirittura condizionante e determinante nella formazione di Giunte come nell’elezione di presidenti di regione e sindaci.

Mi scandalizza enormemente di meno quello scenario – con tutte le tentazioni e i rischi conseguenti – rispetto a una Chiesa arroccata nelle curie e nelle sacrestie, profumata d’incenso e terrorizzata dall’incontro e dal confronto con le pecore, per quanto sporche e puzzolenti, del proprio gregge.

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