Tacita Muta. L’uguaglianza fra uomini e donne è ancora lontana [di Francesca Sanesi]

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MicroMega 3 gennaio 2019. Come dimostrano diversi studi, il divario di genere fra uomini e donne è ancora intollerabilmente grande, anche nei paesi occidentali. Una questione che ha bisogno di interventi strutturali sia sul piano strettamente politico ed economico, sia su quello culturale.

Il gender gap – il divario fra uomini e donne in termini partecipazione alla vita politica, sociale ed economica – resta allarmante. Ancora nel 2018, non vi sono stati rilevanti segnali di una sua riduzione. Al contrario, la complessità della questione è stata spesso affrontata in modo superficiale e perfino il linguaggio del potere sembra aver subito una involuzione.

Nonostante alcuni passi avanti siano stati compiuti, anche dal nostro Paese, nella rappresentatività di genere in Parlamento, nei consigli regionali e nei consigli di amministrazione delle società quotate in borsa a partire dal 2013, secondo l’ultimo Rapporto sul Benessere Equo e Sostenibile rilasciato da Istat il 18 dicembre 2018, l’Italia resta lontana “dal raggiungere la Gender Balance Zone, cioè la percentuale di donne elette compresa tra il 40% e il 60%, soglia raggiunta dai Paesi Scandinavi, ma anche in Francia e Spagna grazie alla significativa presenza di donne tra gli eletti al Parlamento Europeo”.

Recenti sono anche i dati del Gender Gap Report 2018 del World Economic Forum. Nella graduatoria globale, l’Italia è al 70esimo posto (al 38esimo nella classifica riguardante l’area di partecipazione politica), in quella dell’Europa Occidentale al 17esimo, seguita solo da Grecia, Malta e Cipro.

Il WEF si occupa di questo tema sin dal 2006 per comprendere le disparità di genere, tenerne traccia nel tempo e focalizzare l’attenzione sulle sfide e sulle opportunità che possono derivare dalla riduzione di tali divari. Nell’edizione di quest’anno colpiscono, in particolare, due dati.

Il primo: nei 106 Paesi analizzati da WEF dall’avvio dell’indagine, si prevede che – senza interventi precisi il gap di genere sarà colmato in 108 anni, mentre serviranno 202 anni per chiudere il divario economico e 107 per quello politico. Dunque, secondo le previsioni basate sulla lettura dei dati attuali, saranno necessarie diverse generazioni prima che donne e uomini raggiungano finalmente uguali opportunità.

Il secondo dato riguarda l’intelligenza artificiale, new entry nel Report del WEF che si preoccupa di monitorare, con l’aiuto di LinkedIn, l’impatto sui divari economici di genere determinato dai cambiamenti prodotti dall’espansione di nuove tecnologie e dalla divisione del lavoro fra uomo e macchina. In particolare, si valutano gli effetti dell’Intelligenza artificiale quale driver principale delle trasformazioni portate dalla Quarta Rivoluzione Industriale.

Solo il 22% dei professionisti di intelligenza artificiale a livello globale sono donne, rispetto al 78% che sono maschi. Ne deriva un divario di genere del 72%, ancora da chiudere. In Italia il gap è pari al 61%: le professioniste dell’IA sono il 28%. Più che un soffitto di cristallo, sembra un muro di gomma.

Questo grave disequilibrio è stato, del resto, già evidenziato dallo studio preparato da Iclaves per la Commissione Europea – DG Connect: “Woman in the digital age” (2018), che identifica le principali caratteristiche e le tendenze di partecipazione delle donne nel settore delle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione.

Il Report analizza le pratiche che possono facilitare il loro ingresso nel mondo del digitale, concludendo, fra l’altro, che le disuguaglianze di genere in questo comparto sono “essenzialmente il risultato del persistere di forti pregiudizi inconsci riguardo a ciò che è appropriato e a quali capacità ciascun genere possiede”.

Il divario di genere nel digitale, oltre a rappresentare un danno per l’economia, amplifica e perpetua gli stereotipi. Ciò è tanto più vero, ad esempio, con riguardo all’Intelligenza Artificiale, se progettata e programmata solo o principalmente da uomini.

Il processo finalizzato a colmare il gap non è limitabile a pur auspicabili politiche strutturate di intervento, ma ha bisogno di una lettura pure psicologica e sociologica che consenta di comprendere i bias esterni e le suggestioni individuali e collettive cui le donne – ma anche gli uomini – sono sottoposte sin da bambine.

Uno dei condizionamenti più temibili è la percezione di non essere in grado di entrare in campi e affrontare temi tradizionalmente riservati all’altro genere, percezione spesso rafforzata dal modo in cui prevalentemente gli uomini reagiscono quando le donne esprimono il loro pensiero.

In un suo piccolo, splendido saggio del 1985, intitolato “Tacita Muta”, Eva Cantarella richiamava la dea Lara, privata della lingua da Giove quando era una ninfa garrula e stuprata da Mercurio (ne nacquero i Lari), e la prendeva ad emblema della condizione femminile nella Roma arcaica: una storia di silenzio.

Ancora oggi è necessario parlare ed agire di più, poiché i progressi verso la chiusura del divario di genere sono troppo lenti. Quella storia di silenzio e di pregiudizi, anche autoindotti, deve essere interrotta.

* Responsabile dell’area economico promozionale della Camera di commercio di Taranto, si occupa di trasformazione digitale e nuova comunicazione. Fondatrice e vicepresidente dell’Associazione nazionale Ecosistema Camerale, componente del Comitato promotore di PA Social e coordinatrice di PA Social Puglia e Basilicata. Scrive su Noi Camera, blog ufficiale della Camera di commercio (www.noicamera.com) e sul suo blog “A Room”.

 

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