Salviamo la democrazia prima che diventi solo una chiacchiera in rete [di Massimo Cacciari]
L’Espresso 7 gennaio 2019. Lo svuotamento del Parlamento dai suoi poteri è il culmine di una crisi devastante che investe tutto l’Occidente. Ed è un fenomeno che va molto oltre i Salvini o i Di Maio ed è iniziato 30 anni fa. Che avranno pensato adolescenti e giovani assistendo allo spettacolo del Parlamento alle prese con la legge finanziaria? Sapranno distinguere tra protesta e cause della stessa, tra responsabilità della maggioranza e opposizione? E ammettendo che avessero sufficiente memoria storica lo potrebbero effettivamente? O non siamo all’ultimo atto di una lunga, per certi versi drammatica e per altri vergognosa, vicenda? Certo, si può dire che mai si era giunti a un tale livello di nefandezza, mai cosi palesemente si era irriso alle funzioni delle assemblee che si osa ancora chiamare legislative. Ma da quanti anni si procede al loro sfascio? Sarebbe proprio il caso di dire “ben scavato vecchia talpa!”. Da quanti anni pressoché ogni legge di qualche rilievo viene approvata a colpi di voti di fiducia? Il processo surrettizio di svuotamento del parlamento a favore dell’esecutivo è in atto anche da prima di Tangentopoli. Il crollo della prima Repubblica – “sostituita” soltanto dalla crisi della medesima, cui nessuna riforma delle nostre istituzioni è seguita – ha reso semplicemente inarrestabile il processo. Alla catastrofe si sarebbe potuto rispondere secondo diverse prospettive: con un ridisegno completo della struttura del nostro Stato, ridistribuendo poteri e funzioni tra centro, regioni e enti locali; con un rafforzamento delle assemblee legislative, riducendo drasticamente il numero dei rappresentanti, eliminando il senato, rivedendo i regolamenti cosi da rendere ancora più rapide le procedure,ma limitando a un tempo radicalmente la possibilità di ricorrere alla fiducia; oppure ancora in un senso decisamente e coerentemente presidenzialista. Potevano esserci proposte serie sia “da destra” sia “da sinistra”. E invece nulla. Tentativi penosi, abborracciati, dilettanteschi, privi di ogni sistematicità. E oggi ecco il risultato: un governo retto da forze politiche che o ignorano la profondità della crisi che investe la democrazia rappresentativa, o fanno della sua fine,nei fatti, il loro obbiettivo. Qui sta la svolta: dalla crisi della democrazia alla quale si assisteva, magari ignorandone le cause e nulla combinando per uscirne, tuttavia deprecandola, all’azione, consapevole o no poco importa, per distruggerla definitivamente. Per costoro democrazia deve diventare l’universale chiacchiera in rete, organizzata, diretta e decisa nei suoi esiti dai padroni della stessa, senza partiti, senza corpi intermedi, senza sindacati che disturbino la linea diretta, in tempo reale e interattiva, come recita il loro verbo, tra il Popolo e il Capo, espressione della volontà generale. Magari si trattasse soltanto dei Salvini e dei Di Maio e delle loro compiacenti foglie di fico! È un collasso che minaccia, in forme diverse, le democrazie occidentali tutte. Temo si sia giunti al bivio: o da parte delle culture liberali, popolari, socialdemocratiche che hanno fatto il Welfare e l’Europa del secondo dopoguerra vi sarà un contraccolpo netto alla colpevole inerzia con cui da un trentennio hanno ”accompagnato” i sintomi sempre più evidenti di tale collasso, o esso diventerà inarrestabile. Diventerà, cioè, senso comune presso tutti coloro che sono nati dopo la caduta del Muro l’inutilità delle istituzioni rappresentative, ogni forma di rappresentanza sarà a priori considerata come “casta”, ogni minuto speso a discutere al di fuori dei social sarà ritenuto buttato. Ritornare all’antico è utopistico oltre che reazionario; si risponde alla situazione solo mostrando che è possibile dare inizio a riforme di sistema, dalle istituzioni centrali a quelle periferiche, all’amministrazione dello Stato in tutti i suoi aspetti alle politiche di welfare, solo organizzando soggetti concreti che hanno interesse e lottano per queste riforme. La “svolta”, poiché tale è, che il nostro governo rappresenta (e che può davvero significare un esperimento europeo) sarà altrimenti ricordata come la prima esplicita dichiarazione di fallimento della stagione democratica conosciuta dai paesi europei dopo la Seconda grande guerra. |