Auschwitz. Riflessioni su un viaggio della memoria [di Sergio Vacca]

Auschwitz-gateway-631

Cracovia, domenica 3 febbraio, ore 0545. Sveglia. Dopo un’ora sarei partito per Auschwitz assieme ad 80 ragazzi sardi e altri ottocento  provenienti da tutta Italia.  Lì, con tre colleghi sindaci dell’Unione del Montiferru Alto Campidano per accompagnare i 22 giovani del nostro territorio in questo percorso della memoria, per sostenerli in un momento molto delicato, ma soprattutto  per testimoniare con loro il dovere di non dimenticare.

Con questi pensieri nella testa, in una giornata scura e nebbiosa, dopo un’ora e mezza di viaggio, mi ritrovo, con tutti gli ottocento giovani, davanti ad un cancello con la scritta, ARBEIT MACHT FREI,  Il lavoro rende liberi,  vista decine di volte in foto o in filmati. Scritta bugiarda e beffarda nei confronti di quel milione e oltre di persone, mandate a morire in quella terra. Polacchi, Ebrei, Sinti, Rom, tante  altre nazionalità. Uomini, donne, bambini. Umiliati, fino a cancellarne in vita la dignità, sfruttati con il lavoro fino massacrarli ed infine sterminati con i sistemi più brutali.

Visito padiglioni, dove questi Esseri Umani, disumanizzati, hanno vissuto, dove hanno sofferto, dove sono ora i loro poveri ricordi. Perché i loro ricordi ricchi, l’oro dei denti, i gioielli e tanti altri oggetti di un qualche valore sono stati subito sottratti loro con l’inganno. Così come con l’inganno erano mandati a morire. “ Lasciate qui i vostri bagagli. Dovete fare le docce”, era l’ordine, “poi, ripasserete di qua, riprendere le vostre cose e potrete bere  un bel caffè caldo”.

Fiduciosi entravano nelle camere a gas! I loro corpi, ammassati, prendevano la via dei forni crematori.

Trecentocinquanta corpi inceneriti nelle ventiquattro ore per ogni forno. Il ritmo nei primi impianti di Auschwitz numero 1. La tragica statistica migliora a Birkenau, il vicino campo di sterminio, notevolmente più grande e più efficiente. Tanto più efficiente che inizialmente avevano tralasciato di realizzare le latrine, perché inutili. Il ritmo dello sterminio era talmente veloce da rendere non necessario il soddisfacimento del bisogno corporale.

E intanto, un delizioso laghetto in un bel bosco di betulle veniva colmato con le ceneri delle povere vittime! Efficienza del metodo. Efficacia dell’azione di sterminio. Tutto era scientificamente programmato. Tutto era scientificamente attuato! Era perfino previsto l’aiuto psicologico ai soldati addetti alle esecuzioni di massa. Questo per non permettere il rallentamento dell’azione di sterminio.

Già negli anni trenta, nella lucida follia della selezione della razza, che non poteva ammettere l’esistenza in vita in Germania dei diversi, fossero essi portatori di handicap fisici o mentali, fior di scienziati, soprattutto medici, sperimentavano in corpore vili farmaci o procedure mediche. Con artifizi legali, perciò  nel rispetto delle leggi ancora vigenti, si attuava l’annientamento psicologico e fisico dei poveri  handicappati.

Tecniche raffinate in migliaia di sperimentazioni che furono poi trasferite con teutonica precisione nel complesso di Auschwitz.

Sotto una pioggia, leggera ma incessante, a Birkenau, in ottocento seguiamo il percorso della ferrovia che si snoda in modo tale da rendere ancora più efficiente l’azione di sterminio. Camere a gas allineate lungo l’asse ferroviario. Forni crematori a breve distanza per rendere più veloci le operazioni di trasporto dei cadaveri.

Guardo i ragazzi. Meravigliosi! In silenzio, come in una chiesa durante la funzione religiosa, attenti alle spiegazioni di una bravissima guida. Ogni tanto una sosta per la lettura di brani di “Se questo è un uomo”  meditata testimonianza di Primo Levi di un evento storico e tragico. Sopravvissuto alla prigionia in uno dei campi satelliti di Auschwitz.

“Considerate se questo è un uomo, che lavora nel fango, che non conosce pace, che lotta per mezzo pane, che muore per un si o per un no”. E’ l’incipit della sua opera, nella quale descrive l’inferno in terra. Molta commozione nei ragazzi. Qualcuno non trattiene le lacrime. Sotto una pioggia battente torniamo a Cracovia. In silenzio.

*Sindaco di Milis

One Comment

  1. Franco Masala

    Proprio il silenzio è la reazione più naturale davanti a scempi di quel genere.
    Anche se purtroppo non manca qualche minus habens che si fa fotografare davanti alla bocca del forno crematorio come mi è capitato di vedere.

Lascia un commento