Di latte e di diversificazione, ancora una volta [di Nicolò Migheli]

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Uno dei grandi equivoci resistenti è che la realtà pastorale della Sardegna sia uniforme. L’unico fatto di unione è solo il basso prezzo del latte. In realtà è un settore variegato, si va dal pastore con cento pecore ad allevamenti con mille e più capi. Realtà differenti rispecchiate nel mondo della trasformazione. Vi sono impianti piccoli che producono formaggi freschi o cagliate come su casu agedu o cagiadu che spesso lavorano solo il latte del proprio allevamento, rivolti a un mercato di prossimità.

Minicaseifici aziendali che lavorano il latte crudo e hanno successo nei mercati internazionali vendendo nei negozi specializzati. Cooperative che fanno solo Pecorino Romano. Altre, le più grosse, multi prodotto e infine gli industriali, uno dei quali è leader in Italia.

Gli sforzi per la diversificazione dal Pecorino Romano risalgono ai primi anni ‘70. Fu l’allora IZC di Bonassai, oggi Agris, che sotto la direzione del compianto dott. Casu operò delle sperimentazioni su formaggi freschi e semicotti che vennero trasferite ai trasformatori per la produzione. Lo stesso pecorino Romano negli anni ha subito una evoluzione costante, si è passati da concentrazione di sale del 7% al 3%; da commodity a formaggio da tavola apprezzato dai  consumatori.

Peccato che  quella tipologia sia minore rispetto a quello classico che trova collocazione soprattutto negli Usa come formaggio da grattugia. Si fa spesso il paragone con il Roquefort francese dove il latte può essere pagato anche 1,20€ litro. Questo è un formaggio a latte crudo, prodotto con una materia prima con cariche microbiche quasi inesistenti. In Sardegna non è sempre così e per questa ragione il latte viene termizzato.

Diversificare con prodotti freschi non è facile, un caseificio deve avere una linea separata rispetto alla produzione del Romano. Quest’ultimo peraltro è un formaggio facile, la sua alta concentrazione di sale, la stagionatura, la bassa umidità lo rende sicuro rispetto a quelli ad alta umidità che più facilmente vanno incontro a  difetti di maturazione e conservazione.

Il Romano abbisogna di strutture produttive relativamente semplici, soffre di un calo di peso dell’8%.  Il Pecorino Sardo dop ha un calo del 18% in un anno. Una caciotta di  25-30 giorni subisce una diminuzione di peso del 20%. Chi produce fresco sa che vi è un grande ricambio del prodotto, date di scadenza stringenti, perché se non le si rispetta quel formaggio subisce una degradazione proteolitica; benché ancora edibile ha una variazione di gusto che il consumatore può non gradire.

I controlli della qualità del latte in entrata sono identici sia per i molli che per quelli a pasta dura. La propensione all’adulterazione del latte da parte degli allevatori, benché diminuita di molto, persiste. Un test per ricerca dei  latti anomali, inibenti e degli antibiotici costa 2€ e bisogna farlo tutti i giorni su ogni fornitore, altrimenti è a rischio tutta la produzione.

Se il distributore, ad esempio la GDO, trova tracce di antibiotico o latte vaccino o di capra in una partita, rescinde il contratto e sottopone il trasformatore a multe pesantissime. Senza contare i controlli del NAS. Peraltro i buyer verificano lo stabilimento costantemente, non solo i locali di produzione, ma la pulizia dei bagni e degli uffici, gli spogliatoi dei dipendenti, l’uso di camici, cuffie e sovrascarpe per i visitatori e per il personale di linea.

In più bisogna calcolare i costi del packaging per il confezionato, il peso fisso, che deve essere preciso al grammo, se no il distributore può rimandare indietro la fornitura. Sui grandi numeri la GDO è il cliente obbligato, ma sono loro a fare il prezzo; fanno gare al ribasso, occorre comprare gli spazi espositivi, pagano a 180 giorni. Una caciotta che costa 5€ al kg franco stabilimento viene venduta a 13-14€ il chilo.

Come tutti i prodotti agricoli è la distribuzione che ha i margini più ampi. Per una piccola struttura, poniamo una cooperativa che produce solo Romano, sono investimenti ingenti che i soci raramente possono sopportare, non sono più disponibili quelli pubblici perché vietati dai regolamenti Ue come aiuti di Stato. La presenza nel mercato bisogna guadagnarsela con un investimento continuo nel tempo.

Che fare? Il Pecorino Romano non può essere abbandonato, bisogna però che la produzione resti costantemente sotto i 270.000 quintali, anzi occorre diminuirla in modo che il prezzo raggiunga i 9 euro del 2015. La diversificazione se si trattano milioni di litri, potranno farla solo grandi centrali cooperative o grossi imprenditori che potranno disporre dei mezzi e professionalità per poter aggredire un mercato competitivo dove ogni anno si affacciano nuovi concorrenti.

La Sardegna con 3 milioni di pecore è obbligata a esportare.  Il surplus di latte si può trasformare in latte in polvere che ha un impiego in molti prodotti dell’agro industria. Perché non produrre yogurt pecorini? Oppure sperimentare l’uso alimentare del latte di pecora che ha un contenuto di vitamine più alto del vaccino e del caprino. Occorre poi insistere nel valorizzare le caratteristiche nutraceutiche come il CLA.

Scelte che impongono una diversificazione del prezzo, un latte da pascolo deve avere la stessa remunerazione di quello proveniente da allevamenti intensivi? Restano i pastori eroici, quelli che con piccole greggi resistono in aree marginali e di montagna. A loro dovrebbe essere riconosciuto l’impegno nella salvaguardia del territorio. Qualsiasi sia il prezzo del loro latte conferito a terzi, con armenti così ridotti non potranno sopravvivere.

La L.R. 12/2018 della Regione Toscana è la risposta; all’art. 5 dispone: Le attività di lavorazione, trasformazione e confezionamento dei prodotti di cui all’articolo 4 sono svolte presso i locali della propria azienda o abitazione. Ovvero in un piccolo locale attrezzato e viene consentita la vendita diretta. Un’attività simile dovrebbe essere preceduta da un corso di formazione in caseificazione che rilasci un attestato, seguite da autorizzazioni sanitarie e piani autocontrollo, così si potrebbe produrre in casa. In questo modo la remunerazione del latte per questi pastori potrebbe essere di 2€ al litro.

Il futuro è  complesso e difficile, occorrono scelte anche dure che impegnino tutti gli attori della filiera che debbono diventare parte attiva e consapevole: dal pastore al trasformatore. Dalla raccolta latte al prodotto finito. Non vi è alternativa se non la scomparsa del settore.

 

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