La sfida di Ada Colau: “Le donne fermeranno la barbarie”. Intervista a Ada Colau [di Steven Forti e Giacomo Russo Spena]
MicroMega.it. 7 marzo 2019. A poche settimane dalle nuove elezioni, nazionali e municipali, una lunga conversazione con la alcaldessa che traccia il bilancio del suo mandato: “Barcellona sta lottando contro i poteri forti e le speculazioni, tanto è stato fatto ma tanto bisogna ancora fare per questo mi candido nuovamente”. Un occhio anche al vento di destra che soffia in Spagna e in Europa: “Bisogna ripartire dalle città e dal femminismo”. Infine loda Mimmo Lucano e parla dell’internazionale progressista lanciata con Bernie Sanders. “Mi riconosco nei valori della Rivoluzione francese, nelle lotte operaie, nei movimenti sociali, nelle rivendicazioni femministe. Di certo non credo nei partiti di sinistra socialdemocratici degli ultimi quarant’anni in Europa: sono i partiti di sinistra che hanno messo in pratica le stesse politiche economiche della destra. L’unico cambiamento possibile passa per il neomunicipalismo: questo sarà il secolo delle città e delle donne”. Se qualche tempo addietro con Ada Colau si discuteva del movimento degli Indignados e della sua irruzione nelle istituzioni di Barcellona – da occupante di case a sindaca – ora parla da leader affermata tanto che la sua notorietà è ormai internazionale. Le nuove elezioni a Barcellona sono alle porte, il 26 maggio, ed è tempo di bilanci, ma anche di guardare avanti in un contesto, come quello attuale, segnato dall’avanzata delle destre in Europa e in gran parte del mondo. L’alcaldessa ci sta aspettando al quartier generale di Barcelona en Comú. Ci accoglie in una delle sale riunioni della sede della Calle Marina, a pochi metri dalla Monumental, la vecchia plaza de toros della Ciudad Condal. Sta per terminare il suo primo mandato da sindaca di Barcellona. In tutta franchezza, in cosa fa autocritica e in che ambito chiede una seconda chance agli elettori? Il problema della casa ha segnato il suo passato come attivista. È stato anche uno dei temi chiave dell’ultima campagna elettorale. Che cosa ha fatto, in concreto, in questi quattro anni? Sappiamo che questo non è sufficiente dopo decenni di assenza di diritto alle politiche abitative: per questo stiamo pressando il governo centrale affinché modifichi il regolamento sugli affitti e permetta di porre dei limiti ai contratti di locazione abusivi. La stragrande maggioranza della popolazione è nelle mani del mercato privato e della speculazione sfrenata che esiste in tutte le grandi città. Il capitale vede nelle città una grande opportunità di business: si tratta di un plusvalore garantito. Poiché non ci sono regolamenti statali ed europei, le lobby possono saccheggiare senza alcun problema le nostre città. Inoltre, il Partido Popular (Pp) ha regalato incentivi fiscali ai costruttori, norma rimasta invariata anche col governo socialista. Per la prima volta il Comune prende una posizione chiara: affermiamo che gli speculatori sono i nostri nemici e che faremo tutto il possibile per rendere loro la vita impossibile. I consigli comunali hanno poteri limitati. Considera di essere riuscita a tener testa ai poteri forti? Oltre alla questione abitativa, ci fa qualche altro esempio? La sua storia dimostra l’importanza delle pratiche di mutualismo, siete riusciti ad andare “oltre il noi” e ad aggregare non solo nei settori ristretti della sinistra radicale. È questo il segreto del vostro successo? Quando abbiamo fondato la Plataforma de Afectados por la Hipoteca (Pah) il mio obiettivo era incidere nella società, cambiarla veramente, e per farlo sei obbligato a relazionarti con la massa, ovvero anche con persone che si definiscono né di destra né di sinistra, senza una forte ideologia o conoscenza del passato. Altrimenti è impossibile, a meno che non si voglia applicare una forma di dispotismo illuminato. Quindi non si è mai posta, nemmeno alle origini di Barcelona en Comú, il problema di “unire la sinistra” per poter attuare un reale cambiamento nella società? La figura di Ada Colau quanto è servita per la crescita di Barcelona en Comú? Qual è la sua opinione sul sistema dei partiti dopo quattro anni nelle istituzioni? Eppure in base ai sondaggi alle elezioni comunali di maggio 2019 nessuno avrà la maggioranza assoluta. Sta già pensando ad un’alleanza? I socialisti possono essere un riferimento politico, specialmente dopo la tappa del governo Sánchez? Possiamo rappresentare il perno centrale di un nuovo governo progressista a Barcellona. Quello che non è chiaro è cosa faranno gli altri. Erc ha trascorso anni a governare in Catalogna con la destra approvando bilanci di tagli e austerità insieme a un partito attraversato da scandali di corruzione. I socialisti, purtroppo, hanno avuto una deriva che li ha portati persino ad allinearsi con Pp e Ciudadanos nel commissariamento della regione catalana. Credo che siamo un incentivo affinché entrambi priorizzino la propria anima progressista rispetto ad altri criteri. E lo abbiamo dimostrato: quando i socialisti si sono sganciati dalle destre, noi abbiamo appoggiato la mozione di sfiducia a Rajoy che ha portato Sánchez al governo. Abbiamo dimostrato attraverso le nostre azioni che siamo sempre coerenti: ciò che diciamo, lo facciamo. Chiunque voglia fare politiche progressiste di cambiamento che privilegino gli interessi della gente sa che può contare su di noi. Se Barcelona en Comú non arriverà prima e non potrà indicare il sindaco, lei cosa farà? Si può ipotizzare una Ada Colau, consigliera di un altro primo cittadino o dell’opposizione nel consiglio comunale? Di certo, alle urne, ci presentiamo per chiedere alla gente di dare continuità al nostro progetto: non abbiamo intenzione di fermarci proprio ora. Barcellona, tra l’altro, sta divenendo sempre più un punto di riferimento internazionale in un momento di regressione dei diritti e delle libertà: da Trump a Bolsonaro passando per Salvini, Le Pen e Orbán. Ha parlato dell’avanzata della destra a livello internazionale: Salvini, Le Pen e Orbán guadagnano voti per le loro campagne contro gli stranieri o per la chiusura delle frontiere dando una risposta ai cittadini che reclamano sicurezza, legalità e protezione sociale. Come si contrasta questa strategia che, per il momento, sembra egemonica nelle società? Ci dimostra che gli stranieri non sono una minaccia, come vorrebbero i discorsi basati sulla paura di Salvini e di quelli come lui, ma al contrario: quando tratti gli altri esseri umani con rispetto e dai loro una seconda opportunità, non soltanto non minano il tuo stile e modo di vita, ma lo possono persino migliorare. Le città sono il luogo della prossimità dove l’Altro non è un’astrazione, ma è il mio vicino di casa. È nella vita di tutti i giorni che si vive la solidarietà e si contrasta la xenofobia. Ho parlato dell’esperienza di Riace persino a Bernie Sanders: dobbiamo costruire un’internazionale progressista contro i populismi xenofobi. Intanto anche in Spagna, il prossimo 28 aprile, si voterà per le elezioni nazionali e si prospetta il boom elettorale di Vox, la peggior destra… In tutto il mondo crescono i movimenti di donne che reclamano diritti e cambiamento. Il femminismo può essere la risposta? Dobbiamo per questo difendere un femminismo che non disprezzi la diversità, ma che la veda come una ricchezza. Un femminismo che sia antirazzista, anticoloniale, antiomofobo, che sappia creare ponti tra le diverse lotte che hanno in comune l’uguaglianza, la libertà, i diritti umani. E che abbia anche un messaggio positivo per gli uomini. Dopo il voto contrario degli indipendentisti alla finanziaria di Pedro Sánchez – che è costata la caduta al premier socialista – quali saranno i prossimi scenari per la crisi catalana? Qual è la sua ricetta? Ho sempre sostenuto la necessità di un referendum concordato sul modello scozzese, ma è chiaro che ci sono molti problemi che impediscono un sereno confronto e che sta prevalendo una forte polarizzazione. Di questo responsabilizzo soprattutto il governo di Rajoy per la risposta autoritaria, repressiva e giudiziaria che non offre alternative, ma radicalizza solo le posizioni. Anche se mi hanno accusato di essere equidistante, rivendico più che mai la mia posizione: dobbiamo cercare punti comuni ed incoraggiare il dialogo, specialmente chi ha responsabilità governative. È un mio obbligo, sebbene possa avere costi elettorali. È un problema etico e di democrazia. Ultima domanda, di carattere più culturale. Quali sono i suoi autori di riferimento, quelli che più l’hanno formata con i loro scritti…
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