Divisi su tutto, anche sulla politica estera [di Nicolò Migheli]

Di-Maio-Salvini-Conte-

Nove mesi e il contratto di governo mostra i suoi limiti. M5S e Lega sono in disaccordo sulle Grandi Opere, di cui il Tav è feticcio simbolico, ogni misura di governo deve avere una controparte che accontenti i rispettivi elettorati. Finché si resta negli ambiti della politica interna poco male, anche se dentro la Ue, ogni atto domestico ha rilevanza internazionale. Fino all’avvento del governo giallo-verde vi era continuità nella politica estera italiana, nessuno aveva mai messo in dubbio l’appartenenza del Paese alla Ue e alla Nato.

Lo stesso Enrico Berlinguer per portare i comunisti al governo accettò l’Alleanza Atlantica e l’allora Cee. I paesi democratici non cambiano facilmente gli alleati, non lo fanno perché sanno che i rapporti internazionali si basano su di un bene intangibile: la fiducia; infrangerla significa entrare nell’inferno dell’inaffidabilità con tutto quello che comporta negli ambiti dell’economia e nella sicurezza del Paese.

L’Italia durante la guerra fredda ha potuto godere di una certa libertà nei suoi rapporti con il Medio Oriente e l’Urss; la fine del comunismo l’aveva lasciata orfana di quei rapporti, ma non mise mai in dubbio le appartenenze dal dopoguerra in poi. Oggi invece si assiste a degli slittamenti che passo dopo passo stanno portando l’Italia verso altri interlocutori. A termine del Consiglio Superiore di Difesa il presidente della Repubblica ha diramato un comunicato particolarmente incisivo. In esso si ricorda che l’Italia aderisce alla Ue e Nato, capisaldi della sicurezza.

I punti di frizione che si intravvedono nel comunicato sono tre. L’annunciato ritiro dall’Afghanistan senza che questo sia stato discusso in sede Nato. Materella ricorda: “Le criticità e le incertezze dello scenario internazionale impongono di disporre di uno strumento militare moderno, efficace e pienamente integrato nella dimensione europea e transatlantica”. In esso è leggibile una critica per il rallentamento dell’acquisizione degli F35.

Nelle audizioni dei militari fatte dalle commissioni parlamentari è risultato che l’aereo più che un caccia è uno strumento di dominio dell’aria, il più avanzato esistente al mondo, tanto che l’Aeronautica Militare oggi con Eurofighter e F35, si trova ad avere il mix più competitivo d’Europa pari solo a quello dei britannici. L’aereo viene fabbricato nella Faco di Cameri, l’unica fuori dagli Usa. In quello stabilimento si stanno assemblando i 30 caccia olandesi e probabilmente lo saranno anche quelli belgi oltre a quelli italiani. Il costo unitario si è ridotto a 80 milioni di dollari per esemplare- un Eurofighter ne costa 100-, secondo il Pentagono i costi di gestione saranno inferiori a quelli della generazione precedente.

L’aereo è coprogettato dalla Leonardo con ritorni tecnologici che fanno di quell’impresa una delle più avanzate al mondo. Ridurre l’acquisizione degli F35 comporta rischi industriali e politici: oggi Leonardo, in virtù del mercato Usa è diventato il maggior produttore mondiale di elicotteri civili;  Trump insiste perché i paesi Nato aumentino le spese della difesa al 2%, la riduzione del bilancio operata in Italia viene vista male, il taglio dell’F35 peggio.

Le criticità e incertezze sottolineate dal comunicato richiamano la Libia, dove il generale Haftar ha conquistato il Fezzan esautorando il governo di Tripoli e con esso l’Italia.  Vi è l’adesione dell’Italia alla  Belt and Road Initiative (BRI)  cinese. Il 22 marzo il presidente Xi Jinping sarà in Italia per la firma di un accordo. L’Italia è il primo paese del G7 ad aderirvi, la Cina vorrebbe investire somme ingenti nei porti di Genova e Trieste facendone i terminali delle sue rotte commerciali.

L’Italia è già stata messa sull’avviso dagli Usa sui rischi per la sicurezza delle comunicazioni se venissero adottate le tecnologie delle Huawei e Zte per le reti 5G, l’internet delle cose. Curtis Scaparotti, il comandante Nato in Europa dice che chi adotterà le tecnologie cinesi non potrà più contare su manovre congiunte con gli Usa. Per l’Italia è un problema di non poco conto visto che molti sistemi sono stati sviluppati congiuntamente con i cinesi, qui da noi a Sardegna Ricerche c’è un centro che si occupa di Smart City.

Le imprese cinesi sono obbligate per legge a passare al proprio governo ogni informazione che questi richieda. Il governo vorrebbe far diventare l’Italia il partner privilegiato della Cina in Europa. Aspirazione legittima che si scontra con l’opposizione della Ue e degli Usa. L’Unione è contraria alla fuga in avanti italiana perché vorrebbe essere lei l’interlocutrice per tutta l’Europa del gigante asiatico però apre a Huawei dicendo che verrà istituito un centro comune che eviti il trasferimento di dati a Pechino.

Per gli Usa è in atto una Guerra Fredda 2.0 e vedono al BRI come strumento geopolitico e non commerciale e hanno ingaggiato con la Cina una competizione sui dazi e di potenza. Il governo italiano si divide anche su questi aspetti. L’M5S è favorevole alla BRI e ha incaricato il sottosegretario al Mise, Michele Geraci di condurre la trattativa, con disdoro della Farnesina che si è vista esclusa. Geraci è un sinologo, ha pure insegnato in una università cinese, siamo sicuri che sia l’interlocutore migliore?

La Lega per bocca di Salvini : “Facciamo parte di un’alleanza che prevede la difesa dei dati sensibili e la sicurezza dei singoli prevalga sull’interesse economico”. Il ministro si dimostra sensibile ai richiami americani, è favorevole agli F35 mentre i pentastellati non lo sono. L’adesione alla BRI viene messa in dubbio.

A questo punto ci si chiede cosa venga a fare Xi Jinping in Italia il 22 di marzo. Già Francia e Germania non sono in sintonia con l’Italia, si vuole urtare anche gli Usa? Se non si firma sarà invece la Cina ad essere scontenta. Un bel problema per un governo diviso che sembra non aver valutato le conseguenze delle sue iniziative.

 

 

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