Cambieranno anche i Sardi? Forse [di Marcello Fois]
Papa Francesco è appena partito dalla Sardegna e ancora risuonano le sue parole “piene di grazia”. Una grazia non solo confessionale. Papa Bergoglio non è un vescovo qualunque: ha priorità e se ne prende carico. Il viaggio in Sardegna, che ha fortemente voluto, è come la prima pagina di un libro tutto da scrivere ma del quale s’intravede con chiarezza il plot: non c’è possibilità di coltivare la grazia se si spegne la speranza. Sembrano passati anni luce dalla visita del Papa precedente. Benedetto è stato un Papa ligio alla sua funzione di guardiano della cristianità con la solennità un po’ distante che un tale ufficio richiedeva. Amabile, ma non caloroso. Ha atteso l’invito urgente di Monsignor Mani prima di decidersi a varcare il Tirreno. Invito che aveva come scopo celebrare il centenario della Madonna di Bonaria come Patrona di Cagliari, ma anche l’urgenza pre-elettorale di portare il focus mediatico sulla Sardegna alla vigilia del duello Soru – Cappellacci. Perché, se Ratzinger non è Bergoglio, Monsignor Mani non è l’attuale, super partes, vescovo di Cagliari Monsignor Arrigo Miglio. C’è da dire che in quell’occasione, 7 settembre 2008, Monsignor Mani si peritò di scrivere direttamente a Silvio Berlusconi per invitarlo ad accogliere il Papa non considerando che la Regione Autonoma della Sardegna un Governatore ce l’aveva e scavalcarlo, a pochi mesi dalle elezioni, rappresentava un assist al suo avversario di non poco conto. La memoria storica ha i suoi dazi da pagare. Era un momento in cui si usciva dall’esperienza soriana con ancora addosso la speranza di un cambiamento. Papa Ratzinger fece il Papa, con grande generosità si adattò, inconsapevolmente, a svolgere una parte in commedia dove, per la prima volta nella storia istituzionale di questo Paese, il primo Ministro in carica accoglieva un capo di stato straniero in una terra amministrata da un Governatore eletto che veniva, come dire, by-passato. Come se ad accogliere Bergoglio, il 21 Settembre 2013, ci fosse andato Enrico Letta e non il governatore dei sardi Ugo Cappellacci. Sono passati solo cinque anni e a questo Papa, uomo in grazia, non basta più nemmeno il sospetto di non essere del tutto comprensibile: e dice con chiarezza estrema che il viaggio in Sardegna, da lui preteso come primo viaggio pastorale del suo pontificato, corrisponde ad affrontare una malattia direttamente dalla sua piaga più profonda, senza finzioni e soprattutto senza consolazioni di sorta. Un discorso terribile il suo che ci mette di fronte alla perdita di senso per tutti e di fede per chi ci crede. Quel suo saluto in sardo ai sardi farà per la nostra lingua più di quanto anni di parassitarie commissioni abbiano mai fatto. Quella selezione precisissima di interlocutori, tutti marginali, tutti esclusi dalla tavola solo cinque anni or sono, la dice lunga su quanto anche il significato di questo pontificato sia rotondo, non monodirezionato, rivolto agli uomini e donne di questa terra prima che ai cristiani. Sono trascorsi cinque anni in cui siamo passati dall’illusione del benessere alla certezza del malessere; dalla speranza fine a se stessa, magari nutrita di slogan senza sostanza, alla chiara certezza dell’abisso in cui siamo precipitati. Papa Bergoglio non ha voluto vedere quei pochi che, da sempre, se la ballano sull’orlo del precipizio, ma è voluto scendere e guardare negli occhi quei tantissimi che in Sardegna hanno toccato il fondo. La memoria storica pretende la giustizia che le spetta e proclama che questi cinque anni, tra un Papa grazioso e un Papa in grazia, sono stati, soprattutto per la Sardegna, un totale, incommensurabile, disastro. Dicono che Papa Bergoglio sia il pastore che porterà fuori dal dirupo il gregge belante della sua Chiese e dicono che la grazia e la speranza sono figlie del coraggio di cambiare. E’ cambiato il Papa, nel suo approccio, nel senso che ha dato al suo apostolato. E’ cambiata la Chiesa. Cambieranno anche i sardi, forse. |
E’ vero. Il messaggio in sardo del Papa era molto più credibile di qualsiasi messaggio scritto in LSC. Era una lingua vera quella del papa perché sentita e perché veicolava contenuti profondi. Altro che uffici per la lingua sarda o punti in più ai concorsi a chi sa il sardo certificato da chissà chi.
Forse!
E’ una cortese tradizione, quando si va in un luogo, utilizzare qualche parola locale. Se si va a Napoli si dice che “chist’è o paese d’o sole”. A Milano si accenna “O mia bella madunnina”. A Roma si chiede di non fare la stupida e così via. E così tutti si portano nel cuore l’idea di essere stati in contatto con il mondo e di essere stati oggetto di attenzione. Se poi questa gentilezza te la fa il Papa allora l’effetto si moltiplica.