“Mussolini urbanista” e il pensiero di Cederna [di Mauro Baioni]
Eddyburg.it. 9 aprile 2019. In occasione del quarantennale del Progetto Fori, riprendiamo dall’archivio di eddyburg un estratto della postfazione al libro di Antonio Cederna “Mussolini urbanista” in cui si ripercorrono la storia, le speranze e il tradimento. L’urbanistica del ventennio torna d’attualità. “Mussolini urbanista” viene pubblicato in un momento particolare per Roma, nel quale storie passate, cronache del momento e destini della città si intrecciano nuovamente (21). Luogo di incontro è il Foro Romano, la cui sistemazione impressa in epoca fascista con la costruzione della via dei Fori Imperiali (22) è direttamente chiamata in causa allorché, il 21 dicembre del 1978, i giornali riprendono un appello del soprintendente ai beni archeologici, Adriano La Regina, riguardante le «gravissime condizioni» in cui versano i monumenti dell’area archeologica centrale. L’incipit dell’appello è memorabile: “Una serie di accurati rilievi e controlli sui monumenti del centro di Roma hanno dimostrato che, senza ombra di dubbio, nel giro di pochi decenni, perderemo tutta la documentazione della storia dell’arte romana” (23). La corrosione dei marmi antichi è la conseguenza diretta dell’inquinamento dell’aria dovuto alle industrie, al riscaldamento delle abitazioni e ai gas di scarico delle automobili. Per capire come si era giunti ad una tale situazione, occorre ricordare che le sistemazioni dell’epoca fascista avevano mutato radicalmente l’assetto dell’intera città. Via dei Fori Imperiali era divenuta nel secondo dopoguerra l’apice di una consistente direttrice d’espansione e l’area dei fori, da periferica qual’era nel 1870, si era venuta a trovare al centro di un nuovo grande quadrante urbano, sempre più soffocato dal traffico e perciò inquinato. Negli anni in questione si calcola che oltre 50.000 veicoli, lo stesso numero di automobili che oggi interessa l’autostrada del Sole nel tratto fra Bologna e Firenze, percorrano quotidianamente via dei Fori Imperiali, aggirando il Colosseo, ridotto a gigantesco spartitraffico (24). “Via del Mare e via dell’Impero [oggi via dei Fori Imperiali, ndr]… due strade che hanno rovesciato tutto il traffico dei quartieri meridionali di Roma, dai colli e dal mare, su piazza Venezia, allora scambiata per ombelico del mondo e quindi sul corso Umberto (cioè su una strada tracciata venti secoli prima), congestionando tutto il centro di Roma fino alle inverosimili parossistiche condizioni attuali di completa paralisi della circolazione” (25). L’allarme del soprintendente è raccolto immediatamente da Cederna, in un articolo pubblicato sul «Corriere della Sera». “Stiamo dunque pagando, come era da aspettarsi, la nostra lunga incuria e la nostra tenace indifferenza per la conservazione del patrimonio storico-artistico e per i problemi dell’ambiente in generale” (26). Il rammarico per ciò che è accaduto prelude, come d’abitudine, ad un’indicazione sul diverso indirizzo che deve essere impresso alle politiche urbanistiche, nazionali e locali. “È un problema che coinvolge tutta la politica nazionale, stato regioni comuni, purché ci si renda conto che la salvaguardia del nostro patrimonio storico e artistico può essere garantita solo da un governo del territorio, dell’ambiente che sia finalmente nell’interesse pubblico” (27). Nel concludere l’appello, il soprintendente è altrettanto esplicito: la conservazione dell’area archeologica non richiede una semplice opera di salvaguardia, bensì una più complessa modifica dell’assetto urbano. “Il problema fondamentale non è tanto quello dei fondi per il restauro dei monumenti, perché ciò che costerà enormemente sono gli interventi di riorganizzazione della città” (28). Torna così d’attualità la proposta, nata nel secolo precedente, di costituire un grande parco archeologico che comprenda l’intera area dei Fori, tra il Campidoglio e il Colosseo e si protenda verso la campagna romana, lungo il tracciato della via Appia (29). Il grande cuneo Campidoglio-Fori-Appia Antica taglia in due l’intero settore sud della città e costituisce una vera e propria pausa di silenziosa e immutata bellezza nella sterminata e caotica periferia costruita negli anni Cinquanta e Sessanta. È il cosiddetto progetto Fori: non una specifica proposta di piano, bensì un complesso di idee, studi e proposte progettuali presentate a cavallo tra il 1979 e il 1985 riguardanti l’area archeologica centrale di Roma compresa tra il Campidoglio e il Colosseo e le sue connessioni con la sistemazione più generale della città. Rispetto all’originaria ideazione, il «parco archeologico più grande e più importante del mondo» (30) acquista necessariamente un significato più ampio: elemento di attrazione per turisti e visitatori da tutto il mondo, museo di se stesso, possibile luogo di incontro per i romani, area verde di incommensurabile valore per una città priva delle dotazioni minime, elemento unificante il centro storico, la periferia e la campagna circostante. Gli interventi principali riguardano: Lo smantellamento della via dei Fori Imperiali (32) e di parte delle strade circostanti il Colosseo mette in discussione l’assetto viario a scala urbana, sollecitando un deciso decentramento delle funzioni attrattrici di traffico, dal centro storico verso il settore est della città, in un’area appositamente dedicata dal piano regolatore (33). La portata del problema e i termini della sfida travalicano di gran lunga l’archeologia e la conservazione dei beni culturali e richiedono un ripensamento complessivo e una forte azione di governo della città. Alla guida del governo cittadino, per la prima volta nel dopoguerra, c’è un’amministrazione di sinistra, guidata da Giulio Carlo Argan, storico dell’arte. Argan, e ancor più il suo successore Luigi Petroselli, funzionario del partito comunista, percepiscono la possibilità di mutare il volto della capitale attraverso il progetto Fori. Roma si può affrancare dalla sua immagine degradata, al centro come in periferia, per proporsi al mondo ed essere vissuta dai propri cittadini in modo completamente diverso, realizzando così una sintesi tra la sua connotazione popolare e il rango di metropoli internazionale cui essa aspira. Nei giudizi di alcuni dei protagonisti delle vicende di allora, si coglie l’ampio respiro delle proposte. Così si esprime Antonio Cederna: “Col grande parco da piazza Venezia all’Appia antica, la cultura, l’archeologia diventano determinanti per l’immagine di Roma: l’urbanistica moderna riscopre la funzione strategica dei vuoti, degli spazi liberi dell’ambiente paesistico” (34). Così l’urbanista Italo Insolera: “Il progetto Fori propone una sintesi ambiziosa quanto inedita tra il patrimonio archeologico e il tessuto urbano che lo circonda: l’antico non vi è più inteso come “monumento” né come quinta evocatrice di illustri memorie, ma come parte storica potenzialmente equiparabile ad altre parti storiche – medievali, rinascimentali, barocche – che la città non ha mai smesso di usare” (35). Così il soprintendente Adriano La Regina: “Il grande parco archeologico compreso entro il perimetro delle Mura aureliane di fatto esiste già… e occorre solamente organizzarlo diversamente. Occorre in primo luogo sottrarlo alla sua condizione di spazio utilizzato per l’attraversamento veicolare e, in alcuni ambiti, come riserva di esclusivo interesse turistico. […] Si dovranno nuovamente rendere agibili gli spazi già in antico destinati all’uso pubblico: le piazze quali luoghi di sosta e di attraversamento, le strade come viabilità ordinaria pedonale”(36). Così l’assessore alla cultura Renato Nicolini: “Tutto al contrario di quello che credono i superficiali e i dogmatici, la difesa attiva del patrimonio storico e dell’identità culturale di una città, può coincidere con la sua affermazione come metropoli. […] Questo è, secondo me, il senso vero del progetto Fori, almeno nella forma che aveva assunto per la giunta Petroselli. Al centro di Roma, proprio a rendere evidente la trasformazione della città, da città burocratico-industriale in qualcosa d’altro, città di servizi, metropoli postindustriale, non ci debbono più essere i ministeri, ma il grande parco archeologico che partendo dall’Appia Antica arriva fino al Campidoglio” (37). Il sindaco Luigi Petroselli è colui che più di tutti coglie l’importanza della posta in gioco e comprende «la ricerca e la possibilità di conquista e di riconquista di una nuova identità cilate 2.Dalla discussione all’abbandono della proposta. Per quanto ampia, l’adesione di urbanisti, archeologici, storici dell’arte, architetti e altri uomini di cultura non si rivela tuttavia sufficiente per costruire il necessario consenso attorno alla proposta (39). Mentre il degrado dei monumenti aveva acceso lo sdegno di tutti e favorito un altrettanto unanime consenso sulla necessità di intervenire urgentemente, né il progetto di sistemazione dell’area archeologica, né tanto meno l’idea di trasformazione della città ad esso legata vengono compresi appieno e condivisi. Al contrario, un lungo e acceso dibattito accompagna l’elaborazione dei progetti. Lo smantellamento della via dei Fori Imperiali, perno dell’operazione, diventa ben presto il punto attorno al quale si coagula il dissenso. Nonostante il successo della chiusura domenicale al traffico, avvenuta per la prima volta il 1° febbraio 1981, il dibattito sul destino della strada aperta da Mussolini prende una piega indesiderata: la demolizione è ritenuta un provvedimento troppo radicale, inessenziale al recupero dei monumenti e foriero di conseguenze indesiderabili sul traffico e sulla vita quotidiana della città (40). A nulla valgono le considerazioni dei due sindaci, né l’opinione di Giulio Carlo Argan, che aveva coniato l’espressione «o i monumenti o le automobili», né quella di Petroselli, che si era domandato retoricamente: “si devono accettare i livelli e le condizioni del traffico e della circolazione come dati immutabili ai quali piegare la vita dei cittadini, o piuttosto la vita dei cittadini si deve organizzare finalizzando le condizioni e i livelli del traffico … ad un nuovo rapporto tra sviluppo e progresso civile che costituisce il terreno privilegiato della sfida sulla modernità di Roma?” (41) Comincia ad insinuarsi l’idea che la rimozione della strada nasconda una sorta di rivalsa o di accanimento nei confronti di quanto realizzato sotto il fascismo42. Il quotidiano «Il Tempo» lancia una campagna di forte opposizione, dando risalto alle polemiche sollevate da alcuni studiosi che si richiamano al Gruppo dei Romanisti (43). “La chiusura della ex via dell’Impero e la restituzione del tracciato degli antichi Fori fu, ne convengo, soltanto l’indizio di un organico disegno urbanistico: era senza dubbio opportuno, per alleggerire la congestione del centro, chiudere quello che Cederna chiama, giustamente, un tronco di autostrada nel cuore di Roma, com’era senza dubbio opportuno ridare ai Fori l’antica spazialità mutilata. Ma Petroselli, che ideò l’operazione, vi annetteva un senso politico: cancellare un macroscopico segno della retorica fascista che con quella via destinata alle parate militari s’immaginava di ricalcare la via dei trionfi imperiali. Che la progettata chiusura di quello scenario di maccheronica romanità implicasse un’idea politica si rese conto l’amministrazione pentapartita, che s’affrettò a bloccarla e a restituire quel condotto stradale al fasto delle parate militari. Un brutto, ma eloquente, segno” (44). Non sorprende, dunque, che il governo centrale neghi ogni sostegno economico a proposte che eccedano la mera conservazione dei monumenti (45). Non è solo la diatriba ideologica ad alimentare il dissenso. Altrettanto decisivi sono il mancato appoggio del mondo della cultura e il sostanziale disinteresse della politica nazionale. L’acme del dibattito si raggiunge nei primi mesi del 1981, in concomitanza con alcune iniziative di grande significato prese dall’amministrazione comunale che fanno presagire un’accelerazione degli eventi in favore della costituzione del parco e della rimozione di via dei Fori imperiali: nel dicembre del 1980 si dà inizio allo smantellamento di via della Consolazione e si approva la chiusura parziale di piazza del Colosseo; nel febbraio, come detto, comincia la chiusura domenicale di via dei Fori Imperiali. Diversi archeologi, storici dell’arte, architetti e giornalisti esprimono le proprie perplessità (46). Bruno Zevi e Paolo Portoghesi contestano l’idea di città sottesa al progetto Fori. Mario Manieri Elia, Vittorio de Feo, e Carlo Aymonino chiedono più tempo per discutere le priorità e i contenuti delle proposte: «Nessuno deve montare in cattedra: un’idea di città, oggi, la si può costruire tutti insieme e in un tempo non breve» (47). Anche nel mondo politico le proposte non trovano la necessaria sponda: come ricordato, il governo nazionale è contrario e lo stesso partito comunista, che pure guida l’amministrazione comunale, guarda con «sostanziale disinteresse» al dibattito sulla questione dei Fori (48). L’improvvisa morte di Petroselli, nell’ottobre 1981, costituisce lo spartiacque per l’avvenire del grande progetto urbanistico legato alla sistemazione dell’area archeologica e l’inizio del suo abbandono. La nuova amministrazione guidata da Ugo Vetere si muove inizialmente in sostanziale continuità con la giunta precedente, ma gradualmente si fa strada l’idea che sia preferibile ricondurre il progetto Fori nell’alveo strettamente conservativo assicurando, grazie ai finanziamenti statali, gli interventi di manutenzione del patrimonio archeologico e rimandando tutte le altre operazioni ad un tempo successivo che non verrà mai. Le proposte della Soprintendenza e del Comune divergono progressivamente: il percorso congiunto si conclude con il Progetto per la valorizzazione dell’area dei Fori imperiali e dei Mercati Traianei, elaborato nell’ambito del Coordinamento settore archeologico, presentato pubblicamente dal sindaco Ugo Vetere il 12 gennaio 1983 (49). La Soprintendenza prosegue lo sviluppo dell’idea iniziale. Incarica un gruppo di esperti coordinati da Leonardo Benevolo di elaborare una proposta definitiva. Benevolo si avvale della collaborazione dei funzionari della Soprintendenza, coordinati da Francesco Scoppola, nonché di progettisti di eccezionale valore: lo studio Gregotti per la parte più strettamente architettonica, Guglielmo Zambrini per la parte trasportistica, Ippolito Pizzetti per il verde. Cederna e Insolera sono esplicitamente ringraziati da Benevolo per la «lunga consuetudine di lavoro comune». Contestualmente Italia Nostra promuove la redazione di una proposta di Piano per il Parco dell’Appia Antica, curata da Vittoria Calzolari. Le due proposte vengono presentate al pubblico ma rimangono prive del necessario sostegno amministrativo e urbanistico: per la loro realizzazione infatti devono essere finanziati e coordinati interventi statali e comunali, raccordando tra loro politiche dei trasporti e pianificazione urbanistica (50). L’amministrazione comunale, impegnata su un numero impressionante di fronti (lavori pubblici, periferie abusive, case popolari, completamento della metropolitana), prende tempo. Si consolida la posizione di quanti negano che la trasformazione dell’area archeologica centrale sia l’indispensabile premessa per una riqualificazione complessiva della città. L’assessore al centro storico Aymonino ritiene che la «complessità culturale e le difficoltà di gestione» del «più importante problema di scienza urbana che si sia presentato in Italia dal dopoguerra» rendono indispensabile un tempo lungo (51). Piero e Roberto Della Seta sottolineano il sostanziale ripensamento: “Il progetto Fori abbandona i binari di una incisiva iniziativa politica, che lo aveva caratterizzato all’inizio, per acquietarsi in una stanca attività burocratica, in cui man mano si smarrisce” (52). A conti fatti, la lentezza con cui si procede si rivela esiziale. Il Comune sceglie la strada di un concorso internazionale di idee, ma la giunta cade prima che sia indetto il concorso e, alle elezioni, viene sconfitta (53). 3. Gli sviluppi successivi. Nei vent’anni che separano il 2006 dagli avvenimenti sopra ricordati, nessun amministratore ripropone il progetto Fori al centro della politica urbanistica comunale. Non lo fanno i sindaci delle giunte a guida democristiana (Signorello, Giubilo) e socialista (Carraro), né quelli di centro-sinistra (Rutelli e Veltroni, attualmente in carica). Con il passare del tempo si consolida la convinzione che «l’utopia di una renovatio urbis»54 basata sul progetto Fori sia destinata a rimanere tale, per le troppe resistenze che essa incontra e per l’impegno, economico e amministrativo, che essa richiede. Non è un caso isolato: a Roma come in tutto il resto d’Italia, con rare eccezioni, si registra il “progressivo appannarsi di ogni «progetto per la città»: inteso questo non come disegno redatto a tavolino o sommatoria di singoli progetti, ma come idea generale capace di assommare le singole volontà e mobilitare al meglio le varie spinte particolaristiche, come insieme di norme comportamentali fissate per assicurare un migliore uso dell’aggregato urbano e sole capaci di dare contenuto al concetto stesso di convivenza”(55). Liberata dall’abbraccio “fatale” con la trasformazione urbanistica immaginata nel progetto Fori, la sistemazione dell’area archeologica prosegue il suo corso, seppure con grande lentezza. I finanziamenti sono assai modesti e i tempi di realizzazione non seguono la tabella di marcia prevista. Nel 1988 il programma iniziale viene finanziato nuovamente ma, come lamenta Cederna, le risorse sono ridotte (56). Vengono avviati i primi sondaggi archeologici nel Foro di Nerva che preludono al successivo scavo, iniziatosi nel 1995, con il quale si dà concretamente avvio al progetto per la realizzazione del Parco archeologico dei Fori Imperiali, inserito nell’ambito del Piano per il Giubileo del 2000, e proseguito con gli scavi dei fori di Traiano e di Cesare. Si interviene anche per migliorare la fruizione pubblica dell’area, altro elemento qualificante delle proposte nate alla fine degli anni Settanta. Sono presi alcuni provvedimenti significativi, in particolare dalla giunta Veltroni, le cui iniziative possiedono una certa continuità con il programma dell’«Estate romana» ideato da Renato Nicolini (57). L’apertura gratuita della via Sacra, avvenuta nel 1997, che permette tuttora una magnifica promenade dall’Arco di Tito al Campidoglio, può essere vista come il primo passo per restituire al Foro quella funzione urbana ipotizzata vent’anni prima dal soprintendente La Regina “È stato il modo di restituire al Foro una funzione veramente urbana. Questo è un modello di ampliamento di cui tenere conto per l’assetto futuro, mettendo a tacere chi vuole sempre e comunque mercificare tutto” (58). È in questa prospettiva che la Soprintendenza ripresenta, nel 2005, una nuova proposta di sistemazione, affidata all’architetto Massimiliano Fuksas. Diversamente dal passato, non si prevede l’eliminazione della via dei Fori Imperiali, tuttora presente e utilizzata dalle auto, sebbene crescano di anno in anno le limitazioni alla circolazione a causa dell’inquinamento atmosferico (59). Come aveva ipotizzato anche Cederna, gli scavi sono potuti proseguire per anni senza creare alcun problema, e questo ragionevole compromesso avrebbe lasciato aperta ogni soluzione, se il Ministero per i beni e le attività culturali, il 20 dicembre 2001, non avesse apposto un vincolo di tutela all’insieme delle sistemazioni viarie operate durante il fascismo tra piazza Venezia e le mura aureliane, riconoscendovi un valore culturale. Quali ragioni hanno portato a conferire al simbolo della «maccheronica romanità» un valore storico, al pari di molte altre realizzazioni della prima metà del Novecento che certamente lo possiedono, considerandolo come un elemento intangibile da restaurare e curare con attenzione? Certamente hanno avuto un peso coloro che riconoscono un valore all’insieme delle opere realizzate nel ventennio, giudicate il tentativo di conferire a Roma «il volto di una capitale»: capitale laica per Giorgio Ciucci, politica, morale e culturale (sic!) per Vittorio Vidotto (60). Un’importanza non secondaria deve essere anche attribuita al fatto che, sebbene nata come «macabra scenografia», via dei Fori Imperiali si è trasformata nel dopoguerra in un importante teatro di manifestazioni pacifiche e democratiche (61). Probabilmente, più di ogni altra cosa, ha prevalso un certo spirito di conciliazione con il passato, lasciando in secondo piano le considerazioni urbanistiche, una volta di più incomprese o ritenute inessenziali (62). La conclusione di questa vicenda lascia un velo di amarezza. La politica e la cultura non hanno compreso il messaggio contenuto in Mussolini urbanista. È stato abbandonato progressivamente, senza nemmeno un esplicito rifiuto, il progetto che più di ogni altro poteva trasformare il volto della capitale attraverso la pianificazione urbanistica in modo esemplare per il resto della nazione. Tuttavia, se è vero che «non c’è futuro senza memoria del passato» e «nulla di peggio dell’assuefazione agli errori commessi», i moniti e i ragionamenti, i sarcasmi e le proposte di Cederna continuano ad essere un riferimento, tanto attuale quanto indispensabile. Note 21 Il principale testo di riferimento per la comprensione delle vicende accadute tra il 1978 e il 1983 e delle cronache relative al dibattito allora suscitato è I. Insolera, F. Perego, Archeologia e città. Storia moderna dei Fori di Roma, Laterza, Roma-Bari, 1983. Gli avvenimenti sono sintetizzati con grande efficacia anche in De Lucia, Tratto da Baioni M (2006), Mussolini urbanista e il pensiero di Cederna, in A. Cederna, Mussolini urbanista, Venezia, Corte del Fontego. Il quarantennale sarà ricordato il prossimo 16 aprile dallo stesso Adriano La Regina, con una conferenza organizzata dall’Associazione Ranuccio Bianchi Bandinelli. portasse di nuovo la velocità a valori medi o massimi registrati negli ultimi decenni. |