L’ex primario: “Così i partiti hanno distrutto la sanità pubblica” intervista a Mario Ruffin [di Giacomo Russo Spena]

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MicroMega.it 30 Aprile 2019.  In un libro-verità le rivelazioni di un medico che racconta l’economia di mercato negli ospedali: “Io e i miei colleghi abbiamo assistito al proliferare di operazioni inutili, con annesse asportazioni di organi, in cambio di profitti personali”. Fino alla lottizzazione della politica che ha smantellato, passo dopo passo, il Sistema sanitario nazionale: “Per qualche anno in Europa siamo stati un modello virtuoso, adesso è lo sfacelo generale”.

“Tutti sapevamo che in tanti ospedali c’erano fior di delinquenti che operavano persone che sarebbero guarite con semplici terapie mediche e lo facevano per guadagnare soldi: asportavano tonsille e uteri per mero profitto personale”. Mario Ruffin è un ex primario di quasi 90 anni, uno che ha trascorso una vita nelle corsie ospedaliere. Ha iniziato la carriera nella prima divisione medica all’ospedale di Treviso, come assistente poi come aiuto, sempre in seguito ad un concorso pubblico.

Oggi ha deciso di denunciare tutto, per questo ha scritto “La Villa di tonsille. Dalla medicina di mercato alla medicina politica” (Piazza Editore, 2018): un libro-verità che narra le criminali realtà attraversate dalla medicina ospedaliera d’Italia, vissute personalmente da amici medici e da lui stesso. L’ex primario lancia un monito anche sul presente: “La sanità italiana – spiega – è oggetto di un insidioso assedio liberista che nuovamente vuol privatizzarla e riprendere ad applicare le odiose leggi del mercato sul malato e sulla malattia. Ne fanno le spese gli ammalati, l’onore dei medici e quello della grande, vera, medicina clinica”.

Nel suo libro denuncia i vecchi metodi dei medici che guadagnavano lautamente moltiplicando gli interventi chirurgici, asportando tonsille, uteri, o altri organi per soldi. Scrive che “ogni letto rendeva come un campo di terra”. È veramente questa la sanità pubblica che per anni ha potuto vedere dall’interno?

Ci fu a Padova, nei primi anni ’60, un congresso della Società Italiana di Medicina nel quale si affermò l’inutilità di tanti interventi di gastroresezione per ulcera, che determinavano uno stato di pesante disabilitazione jatrogena. I chirurghi presenti si scagliarono con urla scomposte a disturbare le relazioni. Il clero ospedaliero, assunto senza concorso a differenza di tutti i dipendenti (in base a leggine del tutto incostituzionali) svolgeva un’intensa attività mistico-confessionale, con lunghe filastrocche religiose ed etiche spesso puerilmente banali e cervellotiche. Gestivano il prestigio di medici e di infermieri a seconda della fedeltà.

Alcune infermiere sposate erano perseguitate perché dovevano “stare a casa accanto al loro marito”. Molte carriere ospedaliere erano precedute, favorite o invece gravemente ostacolate da accorte espressioni del viso della suora caposala, durante il giro medico sui malati, o anche con sabotaggi, o diffamazioni agli amministratori. Posso dire che molte carriere furono addirittura create da Suore che operavano sottobanco creando prestigio o dannazione. Molti medici obbedivano. Tipico l’episodio della leucotomia prefrontale praticata a consorelle perché, impazzite, bestemmiavano. Certo, vi furono anche ottime brave suore ma a comandare prevalevano le integraliste.

 Sempre nel libro ha utilizzato più volte il termine “medicina di mercato”. Cosa intende esattamente?

Ogni ricovero era compensato con una compartecipazione dalle mutue: gli interventi chirurgici venivano remunerati a seconda se erano di prima, seconda o terza categoria. Ogni posto letto rendeva profitti, specialmente se la degenza era breve e il letto rioccupato immantinente. Il malato ideale era dunque il quasi sano, quello dalla degenza brevissima, o anche meglio il sano. Furono creati dei reparti bis per scaricarvi i malati lunghi, che venivano trasferiti in fretta dopo i tre giorni necessari per avere il compenso dalle mutue. Gli assistenti restavano dopo il concorso in ruolo 4 e 8 anni. Se erano stati buoni la corporazione locale dei Primari si accordava per far loro vincere il concorso in una condotta lontana dall’ospedale.

Successivamente, se quel medico inviava nei loro reparti molti malati “clienti” allora egli veniva premiato vincendo concorsi per condotte viciniori alla città. Naturalmente ho conosciuto anche fior di galantuomini, e ho voluto descrivere casi estremi, ma era il sistema dei “compensi”, era organizzato in questo modo. I baroni delle Università mandavano i loro collaboratori a fare i primari.

Nel 1970 però avvenne quello che lei considera la svolta perché entrò in funzione la “Legge Mariotti”, grazie alla quale fu stroncata la meccanica del profitto applicata all’arte della medicina. Ci fu veramente un sostanziale miglioramento per la sanità pubblica?

Dopo una dura e difficile lotta di noi allora giovani medici ospedalieri l’on. Mariotti portò a compimento la potente riforma che stabilizzava i ruoli degli aiuti e degli assistenti fino a 65 anni di età; assegnava in tutta Italia identici stipendi per ogni grado di carriera; istituiva il “tempo pieno” del servizio. Posso dire che il giorno dopo cessarono improvvisamente le appendicectomie, le gastroresezioni, le isterectomie, le tonsillectomie, ecc. a meno di vera urgenza o necessità. I letti nei reparti si andarono riducendo progressivamente ex non usu.

La medicina italiana ebbe uno slancio e un entusiasmo nuovo. I malati erano curati e operati solo se era necessario. I medici si sentirono liberi e felici di lavorare solo su indirizzo scientifico, e per il piacere e l’onore per i quali avevano scelto fin da ragazzi la facoltà di Medicina. L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) classificò il Servizio Italiano secondo, dopo la Francia, per qualità nel mondo seppur la scienza medica italiana rimase abbastanza sotto l’influsso delle multinazionali dei farmaci.

 Dopo che successe?

Fummo subito traditi. I partiti si gettarono nella lottizzazione degli ospedali: dieci infermieri alla Dc, quattro al PSI, due al PCI, due al PSDI, uno ai Repubblicani etc.. Per poter guadagnare elettoralmente la Dc e, soprattutto, la CISL si atteggiarono alla demagogia cattocomunista di protezione degli infermieri contro di noi (i baroni), mentre si lasciavano i grossi evasori fiscali, indisturbati – e forse persino incoraggiati – esportare soldi (come lo IOR vaticano) all’estero in paradisi fiscali, da dove poi volavano in USA a Wall Street.

La conseguente organizzazione gerarchica del servizio ne subì sconcerto. Talvolta fu sovvertita anche la disciplina: il relativo Consiglio venne abbandonato o convocato e poi non riunito. Ho esempi nei quali le colpe di dipendenti furono rovesciate su primari.

 Ora sta riavanzando quel che lei definisce “il sabotaggio liberista” per tornare al mercato e alla speculazione sul malato o quei tempi sono ormai passati?

L’arrogante burocratizzazione ha ridotto medici e infermieri in operatori addetti ai computer. Spesso raccolgo il lamento di vecchi amici che mi protestano di non aver più tempo per gli ammalati. Le orchestrate accuse e lamentele, giustificate o no, contro i medici, sobillate dalla marea soverchiante degli avvocati e dei legulei, probabilmente con la regia delle agenzie d’assicurazione hanno messo sulla difesa i medici. Frequenti denunce e avvisi di garanzia, aggressioni anche fisiche, colpirono moltissimi colleghi.

Ne seguì la prassi di delegare la propria responsabilità ad altri “specialisti”. Si moltiplicarono le cattedre corporative universitarie di specializzazione fino alle specializzazioni nelle specializzazioni. L’arte diagnostica e terapeutica sofferse dell’unità olistica della storica grande clinica. Apparve cioè una costosissima medicina difensiva. Si sprecano gli esami di laboratorio, le TAC, Le RMN, la Medicina nucleare ecc. Nessuno nega la parcellizzazione specialistica della ricerca, ma l’uso di quei ricercatori, dovrebbe servire solo per consulto per i casi rari e non per scaricare il barile, di tutti i malati.

In questo clima – stanchi di battersi e di subire sconfitte – ormai i medici si ritirano o, i più giovani, vanno all’estero perché spesso le assunzioni in Italia avvengono con un contratto precario e a stipendio ridotto. È notizia proprio di questi giorni che nella sanità pubblica mancano chirurghi ed altri specialisti.

 Nel Paese la sanità pubblica è in ginocchio. Secondo lei, di chi sono le principali responsabilità?

Come ho detto la responsabilità è del debolissimo potere dei politici italiani obbedienti e indeboliti dal governo effettivo. L’Italia è stata governata dal Vaticano con la loro “democrazia” e “cristiana”, con la loro “cosa nostra” e con la CIA e servizi collegati. In questo modo gli ospedali in mano al clero sono rimasti come nel XIX secolo “Opere pie”, i cui scopi sono ben altro che l’efficienza.

Per mancanza di medici ambulatoriali si sono spaventosamente allungate le prenotazioni e ha preso nuovamente piede la libera professione privata. Oltre a tutto ciò, regna il corporativismo con il numero chiuso delle iscrizioni alle facoltà mediche. Ciò ha rarefatto le lauree, per aumentarne la necessità e conseguentemente difenderne il prestigio e gli “emolumenti”. Nel solo Veneto mancano circa 1.300 medici ospedalieri.

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