Sant’Efisio tra sacro e profano [di Maria Antonietta Mongiu]
L’Unione Sarda 7 maggio 2019. La città in pillole. “Le vecchie società cui manca la fede sono prive dell’allegrezza del cuore. Il cuore è solamente lieto quando crede ancora in qualche cosa”, così Enrico Costa, per Sant’Efisio, copiando Antoine Claude Pasquin, conservatore della Biblioteca di Versailles, noto con lo pseudonimo Valery e autore di un “Viaggio in Sardegna”, secondo volume del “Voyages en Corse, à l’île d’Elbe et en Sardaigne”, diario delle sue esplorazioni in quel continente esotico che furono per gli europei alcune isole mediterranee. Valery prese la citazione da Saint Marc Girardin a sintesi delle emozionanti suggestioni suscitategli dalla sagra di Sant’Efisio “il più singolare degli spettacoli per la ricchezza, la varietà dei costumi, l’allegria dei balli, e la gioia degli abbondanti spuntini sull’erba” e dalla Sardegna, visitata tra aprile e maggio del 1834. Qualche anno dopo padre Antonio Bresciani, colpito da quanto accadeva nell’isola e a Cagliari durante la sagra, soggiungeva nel suo “Dei costumi dell’isola di Sardegna comparati con gli antichissimi popoli orientali”, edito nel 1850, “Vale bene un percorso di mare anche maggiore di quello dalla Penisola in Sardegna pur di vedere tanta bellezza”. All’opera del gesuita si devono molti stigmi sui sardi. Alcuni sono diventati autostigmi per l’effetto a specchio che riflette caratteri ritenuti dominanti e non piuttosto l’adeguamento al punto di vista dell’osservatore esterno, spesso in Sardegna esclusivo strumento di autoconoscenza. Enrico Costa, ritenuto mentore della sassaresità ma, per biografia e per il romanzo-monstre “La bella di Cabras”, con Giovanni Spano, suo assiduo interlocutore, insuperato novellatore dello spirito dei quartieri di Cagliari e del suo martire guerriero. Nel romanzo, la cronaca della relazione tra Efisio e la città racconta di un palinsesto, sacro e profano, che include piccoli e grandi disguidi che accadono pure oggi. La lettura tuttavia accresce il rimpianto per il mercato di Stampace e le baracche con pantagrueliche cibarie per “festini d’ogni genere” specie alla Scafa e “feste straordinarie, miste di civile e di religioso” perché “Cagliari è città festaiuola per eccellenza, e di feste non ha penuria”. Che amore da un sassarese a conferma che le pretese separatezze tra la capitale e il resto dell’isola sono dovute all’inadeguatezza dei governanti. Atrus annus mellus, cun saluri – Atteros annos menzus, chin saludu. |