La sinistra e l’autonomismo perduto [di Enrico Trogu]
Trasformare “il regionalismo, più che in un pretesto per recuperare (o inventare) diritti storici o presunti valori culturali soffocati, in uno strumento destinato ad attenuare l’immemore arretratezza dell’Estremadura”. Non usa mezzi termini Javier Cercas nel suo Tornare a casa. Parla di piccola borghesia a cavallo tra illuminazione e provincialismo, descrive piccoli paeselli la cui prospettiva cittadina è racchiusa nelle palazzine di un conglomerato urbano medio, afferma che “nel 1983, da quando è stato approvato lo statuto autonomo, le cose stanno cambiando”. Senza la guerra civile spagnola la Costituzione italiana non sarebbe stata quello che, da decenni, è; senza l’Italia l’ossatura politica dei fratelli iberici non sarebbe la stessa. Al netto delle missioni e dei finanziamenti occulti da parte di soggetti politici della penisola pre e post mortem di Franco, s’intenda. Cercas descrive casa propria da una spiaggia del Messico, frappone migliaia di chilometri per mettere a fuoco ciò che avrebbe potuto tenere sotto il proprio naso. Il medesimo procedimento è attuato dalle nostre comunità di sardi all’estero? Il sardismo d’oltremare nei decenni è riuscito a creare modelli da rimportare in patria? Alla luce di quanto citato sopra, la risposta naviga su un buon ottanta per cento di negatività: nonostante un fenomeno migratorio secolare, il mondo dell’emigrazione “istituzionale” pare incentrato ancora su tematismi folklorici e nostalgici -mentre i sardi salgono spesso gradini e gradini di status sociali e culturali, in Europa e nel mondo-. Vi è necessità di un sardismo forte e istituzionalizzato in Sardegna? Le recenti elezioni regionali hanno consegnato un arco consiliare in cui i partiti ad ispirazione indipendentista o sovranista, sommati ad una Sardegna Possibile -e passibile di tirata d’orecchi per non aver saputo leggere e interpretare la legge elettorale, o, a esser ipercritici, per aver avuto la presunzione di poter diluire i consensi in tre liste, partendo da zero poi!- fuori dai giochi e in crisi esistenziale, superano i dati del Psd’Az dei tempi d’oro. È però un dato frammentario, figlio del rating alto di temi malpancisti, sfruttato da atleti del salto in… largo! di indubbià capacita quali, ad esempio, Mauro Pili e Paolo Maninchedda. C’è poi la sinistra. Per descriverla diamoci un compito a casa: leggere le percentuali di consensi del Partito Socialista catalano nelle ultime tre consultazioni, e contemporaneamente analizzare il comportamento dei suoi dirigenti rispetto alla bomba indipendentista la cui miccia si va sempre più accendendo. I socialisti, congelati, crollano. La sinistra pragmatica, attenta a conciliare economia e diritti, non è stata in grado fornire una prospettiva autonomista seria ai propri potenziali elettori. Facciamo della Catalogna il Messico di Javier Cercas, guardiamo il PD sardo: che rielaborazioni dello statuto autonomo son state partorite? Che progetto culturale? Quale organicità con fasce giovanili acculturate che pretendono legittimità per le proprie produzioni intellettuali ed economiche locali? Non è Doddore Meloni strano a parlare in sardo, è Silvio Lai che se lo sarebbe dovuto ripassare. |