La Sardegna tra insularità e spopolamento: Il punto di vista del Lions Club Nuoro Host [di Redazione]
Premessa. Il Club Nuoro Host fa parte del Lions Club International che è un’associazione umanitaria fondata oltre cento anni or sono da Melvin Jones, un americano saggio e profondamente convinto della necessità che le persone di buona volontà possano e debbano riunirsi per operare in forma organizzata al miglioramento della propria comunità e del mondo nella sua globalità. Il Club Lions Nuoro Host, opera dal 1959 per cui ha una tradizione ormai sessantennale non solo nell’attività lionistica in generale ma anche nel campo sociale e culturale, avendo tra i propri obiettivi fondamentali quello della sensibilizzazione delle istituzioni nei confronti di temi di interesse comune. Nell’ambito della programmazione delle attività da svolgere nell’annata Lionistica 2018-2019, si è ritenuto che il dibattito pubblico riguardante la problematica della condizione di insularità della Sardegna offrisse l’occasione per avviare attività specifiche finalizzate a trovare soluzioni ai problemi che gravano sulla popolazione della Sardegna resi particolarmente gravi dalla condizione di insularità. La Sardegna tra insularità e spopolamento. Analisi dei problemi e possibili soluzioni. Il tema insularità si richiama alla campagna referendaria per l’inserimento del principio dell’insularità nella nostra Costituzione mediante una raccolta di firme a livello nazionale per la modifica dell’art. 119 della Costituzione, finalizzata al riconoscimento del grave e permanente svantaggio naturale derivante dall’insularità. Concretamente la proposta riguarda una modifica all’articolo 119 della Costituzione per inserire, dopo il quinto comma, il seguente: “Lo Stato riconosce il grave e permanente svantaggio naturale derivante dall’ insularità e dispone le misure necessarie a garantire una effettiva parità ed un reale godimento dei diritti individuali e inalienabili.” Un dibattito incentrato solo su questo specifico argomento ci porterebbe su un percorso molto tecnico in senso giuridico, per specialisti. Inoltre, anche in caso di successo dell’iniziativa, occorre evitare che manchino le necessarie azioni concrete tese a creare nuove opportunità per i nostri giovani ossia che venga meno quello che dovrebbe essere il vero obiettivo del riconoscimento dello svantaggio costituito dal fattore geografico. Per questo motivo l’attività dei Lions del Club Nuoro Host, e auspicabilmente l’attività di altri Club di servizio operanti sul nostro territorio, attraverso l’analisi del problema concreto dell’insularità e dello spopolamento, soprattutto con riferimento alla situazione dei centri minori, può indirizzarsi a proporre la ricerca di contributi orientati alla costruzione di un nuovo modello di sviluppo che sia partecipato, condiviso ed esaustivo. L’auspicio è che questa azione ottenga il risultato di una forte sensibilizzazione dell’opinione pubblica e delle istituzioni alle quali spetta trovare soluzioni utili. Il tema che si intende approfondire riguarda specificatamente l’impatto dell’insularità sul fenomeno dello spopolamento dei centri minori, le cause e le possibili soluzioni. Il tema dello spopolamento, a ben vedere, rappresenta per la Sardegna un aggravamento del problema dell’insularità, infatti la situazione di molti centri è quella di essere isole nell’isola, per la difficoltà di accesso ai principali servizi, per la mancanza di efficaci collegamenti stradali o ferroviari, per la chiusura di uffici postali, sportelli bancari, ridimensionamento persino delle istituzioni scolastiche compresa la chiusura di scuole dell’obbligo. Il tema non riguarda solo la Sardegna, ma anche molte altre zone d’Italia e non solo quelle insulari, influendo negativamente sulle possibilità di formazione della fami-glia da parte dei giovani e su tutta la prospettiva di vita anche della popolazione in generale. Paradossalmente il solo riconoscimento del fattore insularità potrebbe persino ag-gravare la problematica dei piccoli centri in quanto il beneficio potrebbe ampliare lo squilibrio, già esistente oggi, avvantaggiando solo le pochissime città dotate di ampia possibilità di collegamento (porti ed aeroporti) lasciando invariato l’isolamento sostanziale delle zone interne. L’effetto finale potrebbe essere quello di un’ulteriore emarginazione e svuotamento a favore dei grandi centri nel caso malaugurato di assenza di altre concomitanti azioni specifiche che valgano a compensare gli svantaggi di natura territoriale. Come si vede il problema è molto complesso e richiede un approccio ampio che necessità di contributi da esperti di varia professionalità ed esperienza. Mi sembra opportuno valutare che l’art. 119 della Costituzione nel quale si dovrebbe inserire il riconoscimento dell’insularità contiene in se già molti elementi giuridici finalizzati ad intervenire per sanare gli squilibri, infatti nel V° capoverso è scritto “Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei di-ritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni.”. Nella Relazione del Presidente della Commissione per la Costituzione Meuccio Ruini che accompagna il Progetto di Costituzione della Repubblica italiana, 1947 si legge che “Nell’atto di dare il via a così rilevante riforma strutturale della vita italiana, la Commissione non si è celate le complessità e le difficoltà di pratica attuazione. Basta pensare all’autonomia finanziaria, non agevole a congegnarsi, e che non potrà fare a meno d’un riparto delle imposte che implichi un contributo di solidarietà delle Regioni provviste di maggiori mezzi a quelle che con le proprie risorse non sarebbero in grado di adempiere i loro servizi essenziali. Pericolo da evitare è che, mentre si tende ad un alleggerimento della macchina amministrativa, il decentramento non dia origine ad una nuova moltiplicazione di burocrazia nelle Regioni, senza toccare quella centrale.” Come si vede i Padri Costituenti avevano ben chiara la situazione della nazione. Oggi più di prima i problemi di base sono comunque quelli finanziari e di programmazione per stabilire priorità che non sacrifichino la parte debole del paese a favore delle aree più forti nelle quali gli investimenti sembrano più produttivi di risultato ma con il rischio di causare danni irreparabili a quelle realtà che restano escluse dallo sviluppo armonioso per un errato concetto di risparmio. Noi, come Lions e come cittadini, possiamo e dobbiamo contribuire a far luce su questa situazione di sostanziale e progressiva decadenza che deve essere arrestata ed invertita prima che i danni diventino irreparabili. Il tema ha dato luogo ad una serie di confronti, all’interno del Club Nuoro Host in varie riunioni del Direttivo ed in una Assemblea per coinvolgere quanti più soci possibile, le considerazioni emerse dal contributo di tutti gli interventi sono con-fluite in questo documento di sintesi. E’ chiaro che lo spopolamento delle zone interne è un fenomeno progressivo che ha conosciuto un incremento decisivo a partire dal dopoguerra e quindi dagli anni cinquanta non solo in Sardegna ma in tutta Italia come conseguenza dell’evoluzione economica e sociale complessiva. Lo sviluppo dei settori terziario e secondario hanno richiesto personale ed offerto reddito e garanzie di stabilità ad un numero crescente di persone, contrapponendosi alla precarietà del settore agropastorale, questo ha determinato condizioni favore-voli all’inurbamento e la tendenza all’abbandono delle tradizionali attività agricole e forestali ad andamento familiare tipiche dei piccoli centri che, di conseguenza, sono andati in progressivo declino. In Sardegna questo fenomeno ha assunto caratteri in parte differenti rispetto al resto dell’Italia per fattori diversi molti dei quali riconducibili alla difficoltà di comunicazione sia tra zone interne e centri maggiori sia tra l’isola ed il continente in conseguenza del fattore insularità. L’attrazione determinata dalle zone di concentrazione del potere economico, industriale e politico è una inevitabile conseguenza del modello prevalente di sviluppo degli ultimi decenni, quindi costituisce un fattore storico ormai consolidato e sul quale è possibile intervenire solo per guidarne l’evoluzione, con prudenza e valutando le possibili implicazioni negative o positive di qualsiasi azione correttiva. La riduzione di natalità rilevabile a livello nazionale determina perdita ed invecchiamento di popolazione che, nei centri maggiori, sono parzialmente mascherati dai flussi migratori mentre nelle zone interne risultano esaltati per effetto della perdita costante di forze giovani e, di conseguenza, portano ad una sensibile elevazione dell’età media con una netta prevalenza della fascia di età oltre i sessantacinque anni. Questo crea effetti concreti nella progressiva riduzione di attività agricole a basso reddito particolarmente nelle zone montane e collinari nelle quali non è possibile ricorrere alla meccanizzazione e persino in aree a buona vocazione colturale nelle quali la parcellizzazione, determinata da secoli di suddivisione ereditaria e conduzione a carattere familiare, ostacolano l’applicazione di tecniche moderne per conseguenza della elevata incidenza dei costi di attrezzatura e per la sostanziale impossibilità di pervenire ad una ricomposizione fondiaria che ne renda possibile l’economico utilizzo. Un effetto visibile immediatamente si evidenzia nell’aspetto del paesaggio che su-bisce variazioni sensibili di anno in anno agevolmente documentabili se si confrontano immagini degli stessi luoghi con fotografie panoramiche o aeree del passato. Si notano bene le vigne sostituite da zone cespugliose, la viabilità rurale resa im-percorribile dal degrado e dalla crescita incontrollata delle infestanti la cui rigogliosità ancora ne rende riconoscibile gli originari percorsi, i terrazzamenti degradati per effetto del crollo dei muri di sostegno e la scomparsa degli orti lungo i pendii dei torrenti dai quali si traevano le necessarie risorse idriche mediante modeste opere di captazione e canalizzazioni ricavate a margine delle sponde e tenute in esercizio solo a prezzo di una continua manutenzione collettiva oggi impossibile da attuare. La cosa più grave è che questo degrado non si limita a produrre una modifica del paesaggio che, di per sé, potrebbe essere anche un fattore neutro la cui percezione dipende da fattori soggettivi, ma determina conseguenze concrete per la conservazione del suolo che ne risulta compromessa per effetto della perdita di controllo di fattori erosivi che erano salvaguardati dalla sistemazione dei versanti finalizzata alla coltivazione. La crescita di vegetazione infestante sui suoli degradati non sempre è preludio alla formazione di un bosco, ossia alla naturalizzazione dell’ambiente ed alla realizzazione di un equilibrio idraulico forestale che garantisca contro il rischio di erosione ed instabilità dei versanti. Infatti la crescita incontrollata della vegetazione arbustiva, anche a causa della impraticabilità delle vie di accesso, spesso determina un maggiore pericolo di incendi con pregiudizio per le foreste di aree limitrofe con un incremento, quindi, del rischio di frane e inondazioni. L’abbandono delle zone interne, in prevalenza ad andamento montano o collinare, ha, di conseguenza, un progressivo effetto per la sicurezza dei territori di fondovalle, delle pianure e, in definitiva, per le stesse città causando, indirettamente, l’esaltazione dei fenomeni erosivi del suolo conseguenti alla mancata conserva-zione delle opere di regolazione che accompagnavano le antiche coltivazioni e alla mancanza di un’efficace opera di controllo e di guida per favorire la formazione di una copertura forestale stabile, efficiente, ben accompagnata e protetta nel suo sviluppo. Lo spopolamento di questi territori, in casi estremi, può arrivare a causare l’abbandono totale dei borghi minori, che risultano quindi destinati alla rovina insieme alle strade di accesso ed ai sentieri dell’agro, rendendo più difficile, per mancanza di risorse umane e materiali, qualsiasi riconversione produttiva del territorio circostante. Per contro l’inurbamento verso i centri maggiori, alla ricerca di una vita migliore, causa ulteriore consumo di suolo per far fronte all’incremento di opere di urbanizzazione e volumetrie edilizie in quei centri. La situazione critica delle zone interne della Sardegna è simile a quella delle zone alpine ed appenniniche dell’Italia peninsulare, dove il fenomeno è in atto da molto tempo prima, per cui è facile istituire confronti e fare delle proiezioni basate su quanto è già successo in quelle zone. Il ritardo con cui noi oggi ci confrontiamo con questo fenomeno dipende dalle diverse condizioni ambientali e probabilmente proprio dal fattore insularità che ha agito da freno sullo sviluppo e quindi persino sulle conseguenze indesiderate conseguenti alla crescita delle aree più vantaggiate a spese della decadenza dei centri minori. Si è tentati quindi di ritenere che la tendenza in atto sia un prezzo inevitabile da pagare per il progresso, ma occorre rendersi conto che vi sono conseguenze economiche, sociali ed ambientali negative per tutti. Il prezzo di questo stato di cose è infatti costituito sul fronte ambientale dal degrado del paesaggio, dal crescere del rischio di incendi e del dissesto idrogeologico. Sul fronte sociale dall’aumento per tutti dei costi dei principali servizi sociali, dalla riduzione in molte zone dei servizi sanitari e scolastici, dall’inadeguatezza dei collegamenti e del trasporto, dalla difficoltà di accesso persino ai servizi bancari, postali e ai presidi di sicurezza che rap-presentavano la presenza rassicurante dello stato e che vengono inesorabilmente ridotti e concentrati nei centri maggiori. Centri che, di conseguenza, risentono negativamente della concentrazione in termini di qualità di vita e congestionamento. L’atteggiamento prevalente delle istituzioni infatti è stato nella direzione di tagliare i servizi nelle aree marginali e concentrare gli investimenti dove era maggiore la densità di popolazione, privilegiando le grandi aree urbane con crescita del differenziale infrastrutturale che scoraggia persino l’investimento privato nelle aree periferiche. Azioni correttiva. Lo squilibrio economico complessivo è evidente, e dovrebbe essere altrettanto evi-dente l’importanza di individuare ed adottare politiche idonee a creare le condizioni affinché i residenti rimasti cessino di abbandonare i piccoli centri ed anzi siano per primi i giovani a trovare le condizioni favorevoli a stabilirvisi. Un primo obiettivo, valido a coniugare la riduzione dei costi sociali con l’incre-mento di efficienza amministrativa, potrebbe essere quello di agire sull’organizza-zione burocratica dei piccoli Comuni ai quali oggi si applicano sostanzialmente le stesse regole valide per le grandi città. E’ chiaro che un sistema di regole è necessario, ma in un mondo sempre più interconnesso non è pensabile che le attività necessarie ad amministrare una piccola comunità non possano essere svolte in forma condivisa tra centri vicini ed omogenei per esigenze e caratteristiche ambientali. Occorre che le regole vengano modulate in misura proporzionata alle esigenze del territorio e non con riferimento ad ipotesi del tutto generali ed astratte. Di recente è stata approvata una legge sui piccoli comuni (L. n. 158 del 6 ottobre 2017) che sembra costituire un primo passo in direzione della riduzione delle con-dizioni di svantaggio per i piccoli centri e della ricerca di un migliore equilibrio tra centri e periferie. A questo riguardo lo stesso Presidente della Repubblica ha detto “Assicurare una buona qualità della vita nei centri di minori dimensioni vuol dire combattere le diseconomie tipiche delle aree urbane affollate e proporsi un modello di vita sostenibile. Occorre evitare lo spopolamento e il depauperamento dei territori, fenomeni forieri di disgregazione e dissesto: è questa una condizione di coesione sociale, oltre che di tutela dell’integrità dei nostri territori. L’abbandono delle peri-ferie provoca rovina anche dell’ambiente circostante, mentre la riqualificazione e il rilancio portano invece una crescita di valore e di opportunità in un territorio più ampio”. (Messaggio inviato in occasione della XVIII Conferenza Nazionale ANCI Piccoli Comuni). Sembra quindi che si possa confidare nel fatto che, a livello politico, stia nascendo la consapevolezza della gravità di un fenomeno che, sino ad ora, non era stato va-lutato in tutta la complessità dei suoi risvolti e delle conseguenze di lungo periodo. Non si spiega, diversamente la politica di tagli ai servizi e alla manutenzione e rinnovo delle infrastrutture alla ricerca di risparmi che, in un’ottica più estesa, si rivelano danni e diseconomie non solo per le zone direttamente interessate ma anche per il resto della nazione trattandosi di un impoverimento collettivo. Eppure in Italia sin dagli anni venti del novecento era stato individuato il pericolo conseguente all’abbandono delle valli alpine che ha dato inizio al fenomeno ora così esteso. Nel caso dei territori alpini esiste la Commissione Internazionale per la protezione delle Alpi (CIPRA) che dovrebbe vigilare sulla salvaguardia delle popolazioni e sulla valorizzazione delle attività tradizionali in un’ottica di sviluppo sostenibile mediante protocolli attuativi. Questo approccio, che in Italia è ben poco attuato, all’estero ha determinato l’emanazione di leggi specifiche di ratifica. E’ il caso dell’Austria, nazione spiccatamente alpina, che è riuscita ad evitare lo spopolamento dei suoi territori più svantaggiati con azioni mirate di riequilibrio che sono riuscite a produrre non solo stabilizzazione ma persino effetti di crescita. Non sarà un caso che in Italia solo nelle Provincie Autonome di Trento e Bolzano siano stati ottenuti effetti simili grazie ad interventi finanziari consistenti e ben calibrati. La nuova legge sui piccoli Comuni (L. n° 158/2017) può rappresentare l’occasione per rendersi conto che il fenomeno che riguarda le valli alpine, interessa molti altri territori, non necessariamente montani, per motivi del tutto analoghi e che richiedono eguale attenzione e simile approccio, pur nella consapevolezza che la casistica è estremamente variegata e che le azioni, per essere efficaci devono essere calibrate sulla realtà e sull’analisi attenta dei casi concreti. In Sardegna, ad esempio, agli altri fattori si aggiunge quello dell’insularità che agisce da aggravante causando un ulteriore differenziale di rendimento a parità degli andicap operanti su territori simili per economia e popolamento delle zone peninsulari. Ma la sola compensazione del deficit attribuibile all’insularità non basta essendo necessario intervenire su un insieme di fattori per arrivare ad instaurare un processo di sviluppo territoriale omogeneo e sostenibile che riesca a bloccare i processi di spopolamento delle aree interne ed invertire l’attuale tendenza di concentrazione in poche aree urbane privilegiate. Questo comporta molteplici interventi, in primis sul sistema dei trasporti per agevolare gli spostamenti tra centri periferici e agglomerati urbani, migliorando la qualità del servizio di trasporto pubblico e la percorribilità della viabilità esistente anche a vantaggio dell’utenza automobilistica. La rete ferroviaria a scartamento ordinario dovrà necessariamente essere oggetto di ammodernamento e potenziamento sia sulla dorsale esistente da Cagliari a Sassari sia sulle diramazioni tra le quali spicca per la sua assenza il collegamento con Nuoro (unico capoluogo di provincia non servito dalle ferrovie statali) e la prosecuzione da Nuoro verso Olbia più volte ipotizzata mai concretizzata. Nel sistema dei trasporti non possono mancare, infine, i semplici camminamenti, piste ciclabili, percorsi pedonali o per equitazione che permettano, senza stravolgere paesaggisticamente il territorio, di rendere agevolmente raggiungibili i diversi attrattori turistici si tratti di emergenze archeologiche o di alberi monumentali o di vedute panoramiche, di luoghi di culto o quanto altro meriti di essere conosciuto e fruito per la gioia della mente e per soddisfare la sete di conoscenza. Poi è necessario adeguare le reti telematiche per rendere possibile il collegamento in modo tale da eliminare la barriera della distanza tra produttori e consumatori. Questo presuppone un concomitante rafforzamento delle competenze nel campo della formazione e dell’istruzione mirato all’ alfabetizzazione informatica diffusa per rendere accessibili le nuove tecnologie non solo alle persone più avanti negli anni e prive di questa formazione, ma rivolgendosi anche ai più giovani per metterli in condizioni ottimali di dialogo e convincerli che è possibile vivere nelle zone interne senza dover pagare costi insostenibili in termini di isolamento grazie alle possibilità offerte da un’utilizzazione appropriata della telematica. Gli stessi abitati dovranno essere oggetto di interventi di riqualificazione attenti alla salvaguardia delle caratteristiche storiche e paesaggistiche, oltre che della garanzia di adeguata disponibilità e sostenibilità di servizi idrici, fognari, depurativi ed energetici. Occorrerà comunque un’attenta analisi delle risorse umane e materiali disponibili per indirizzare lo sviluppo in maniera sostenibile con il convinto consenso delle popolazioni locali che non devono sentirsi isolate in una sorta di riserva indiana, ma parte di un sistema integrato dove il loro patrimonio culturale e naturale viene apprezzato e valorizzato. In Sardegna, in maniera quasi generalizzata la pastorizia resta l’attività più radicata e quindi in grado di contribuire, in misura adeguata alla valorizzazione dell’ambiente agrario, specie nelle zone montane, contribuendo in parallelo con un’appropriata silvicoltura alla conservazione dei paesaggi e alla valorizzazione turistica attraverso i suoi prodotti tipici che si prestano a riconoscimenti qualitativi per la loro caratteristica di alta qualità. Anche l’agricoltura, può contribuire, specialmente nelle zone maggiormente vocate per tipologia e giacitura dei suoli e quindi nelle aree pianeggianti e collinari che molto spesso, esattamente come le zone montane, si presentano in condizioni di non competitività a causa della ridotta dimensione aziendale e della frammentazione della proprietà. Il recupero può avvenire qualora si punti sulla qualità biologica e sulla valorizzazione dei prodotti che si prestano alla tipizzazione per le loro peculiarità. Un efficientamento può essere conseguito anche attraverso azioni normative che agevolino la ricomposizione fondiaria ed incoraggino le forme associative per ovviare alle diseconomie determinate dall’inadeguatezza o dall’ assoluta carenza delle strutture aziendali dei singoli produttori. Pastorizia, allevamento, agricoltura e silvicoltura dovrebbero rappresentare il presidio del territorio per salvaguardarne anche gli aspetti paesaggistici ed ambientali, agendo anche da prevenzione del dissesto idrogeologico e da protezione contro gli effetti degli eventi estremi resi più frequenti e di maggiore gravità dallo stato di abbandono delle attività tradizionali. Occorre anche valutare l’importanza della silvicoltura per quanto riguarda la capacità di assorbimento dell’anidride carbonica attraverso le superfici ricoperte da boschi che rappresentano, sotto questo aspetto, un fattore determinante nel contrasto ai cambiamenti climatici e una fonte di reddito per la resa in legname ed in biomassa utilizzabile come fonte di energia rinnovabile. Il territorio così rivitalizzato potrebbe rappresentare un’interessante attrattiva per il turismo oggi eccessivamente concentrato sulle coste e su un ristretto arco temporale. L’esperienza positiva delle manifestazioni del tipo “Cortes apertas” nel pe-riodo autunnale in diversi paesi dell’interno dell’isola fanno ben sperare per un’attività turistica, diversa da quella balneare, non concentrata sulla stagione estiva e che possa essere alimentata dalla riscoperta dei piccoli centri, delle emergenze ambientali ed archeologiche, dei costumi e delle culture tradizionali. Affinché questo si possa verificare è chiaramente necessario che le istituzioni siano capillarmente presenti sul territorio, non potendosi verificare un solido e durevole sviluppo in assenza dei servizi che dovranno essere garantiti nelle forme più adatte per coniugare l’economicità con l’efficienza al fine di fornire adeguate prestazioni anche alle comunità minori. La politica di sussidi comunitari all’agricoltura non si è, sinora, dimostrata efficace per evitare l’abbandono dei territori montani o comunque svantaggiati, che rappresenta un fenomeno in fase di aggravamento. Sembra infatti più opportuno puntare sulla valorizzazione delle produzioni di questi territori dando ad esse riconoscimenti e visibilità, oltre che sostegno strutturale attraverso la riduzione dei vincoli e degli oneri che oggi rappresentano un freno all’attività ed un costo aggiuntivo che ne condiziona le possibilità di accesso al mercato. Non è possibile che la tassazione su immobili e terreni gravi su questi territori svantaggiati in misura simile a quella applicata nelle zone più fortunate, in questo modo il differenziale di rendimento continuerà a crescere escludendo totalmente l’interesse imprenditoriale e portando all’abbandono delle strutture per reazione all’onerosità del loro mantenimento. Non è possibile che abitazioni vuote o utilizzate saltuariamente in questi piccoli centri per effetto della riduzione di popolazione vengano considerate alla stregua di seconde case e tassate come beni di lusso, indicatori di maggior reddito e che persino i relativi servizi idrici, elettrici e di smaltimento dei rifiuti vengano gravati di maggiorazioni tali da incoraggiarne l’abbandono o da scoraggiare qualsiasi iniziativa di recupero. Siamo in presenza di un immenso patrimonio la cui salvaguardia è necessaria anche per ragioni paesaggistiche oltre che per rendere possibile la rinascita del territorio circostante, si tratta di parti integranti del tessuto sociale e produttivo che rappresentano la storia e la vita di quelle comunità che, per risorgere, deve partire dalle proprie radici. Questo richiede interventi attentamente ponderati, utili a favorire il ripopolamento dei centri storici, finalizzati al recupero abitativo del patrimonio edilizio, attualmente degradato, da attuare con il massimo rispetto delle caratteristiche edilizie identitarie che potrà così svolgere un ruolo determinante per accogliere il turismo qualificato. Un grande biologo e naturalista americano, il Premio Pulitzer Edward O. Wilson, è arrivato alla conclusione che il mondo vivente si trovi in condizioni disperate, sull’orlo di una vera e propria estinzione di massa di un numero enorme di specie in conseguenza dell’attività umana. Per porre rimedio ipotizza la necessità di dedicare metà della terra alla realizzazione di una grande ed inviolabile riserva naturale dove possano svilupparsi le specie animali e vegetali senza il disturbo della pre-senza umana alla quale resterebbe a disposizione la restante metà della terra. Questa teoria è illustrata in un libro intitolato “Metà della terra” (Half-Earth: Our Planet’s Fight for Life del 2016 di EO Wilson). Occorre riflettere quindi anche su questi problemi perché gli squilibri dello svi-luppo che da noi hanno dato luogo allo spopolamento ed al degrado di estese zone, devono essere visti sotto una prospettiva molto ampia. Infatti queste zone, che oggi appaiono come marginali, sono invece veri e propri tesori, consentono un recupero razionale attraverso la salvaguardia della biodiversità, e migliorano la qualità della vita anche per le zone a maggiore intensità di sviluppo. Costituiscono una sorta di zona di transizione tra le aree del pianeta meritevoli di protezione integrale, a motivo della loro ricchezza in biodiversità dove sarà necessario concentrare gli sforzi di protezione integrale, e quelle a forte impatto antro-pico dove si concentrano le attività di maggiore impatto sulla natura. Conclusioni. L’insularità è una caratteristica geografica con la quale in Sardegna occorre confron-tarsi con determinazione, senza complessi di inferiorità ma con la convinzione che un fattore certamente condizionante come questo possa trasformarsi in una risorsa di sviluppo. Il mare oggi sembra una barriera, ma non è sempre stato così, in passato il mare era la principale via di collegamento, ben più vantaggiosa di quella terrestre. E’ famosa l’arringa di Catone al senato romano “Carthago delenda est “: Cartagine doveva essere distrutta perché costituiva un pericolo reale e vicino in quanto, attra-verso la navigazione marittima, era così vicina a Roma da potervi far arrivare in pochi giorni persino i fichi freschi per la tavola dei benestanti e quindi anche i suoi eserciti. Anche oggi le distanze non sono una barriera incolmabile, le moderne tecnologie permettono di attuare collegamenti tra le più sperdute località, l’economia dei tra-sporti, sia marittimi per le merci pesanti, sia aerei per i prodotti più deperibili e per le persone, ha raggiunto uno sviluppo tecnico tale da poter risolvere perfettamente i problemi dell’insularità. Occorre però che la politica italiana ed europea sappiano attivare normative adeguate per individuare i monopoli di fatto e correggere le con-seguenti inevitabili diseconomie che causano distorsioni della concorrenza nei settori il cui sviluppo dipende dalla certezza, dalla frequenza e dall’economicità dei collegamenti. E’ indubbio che l’insularità richieda misure politiche europee in coordinamento con quelle nazionali e regionali e si comprende come, per l’inadeguatezza dei risultati sotto questi aspetti, siano sorti dei movimenti che puntano al riconoscimento dell’insularità in Costituzione. E’ sempre valido il principio che “occorre pensare globalmente e agire localmente” in quanto la crescita nazionale ed europea nel suo insieme non può prescindere dalla valutazione e soddisfazione delle esigenze delle zone territorialmente o storicamente meno favorite che devono essere solidalmente aiutate a valorizzare la loro specificità a vantaggio di tutta la comunità della quale sono parte integrante. I trasporti non sono l’unico fattore che condiziona negativamente la possibilità e libertà di sviluppo, un ruolo determinante è svolto dalla carenza di dotazioni infra-strutturali, dai costi energetici superiori alla media, dall’azione frenante svolta dalla eccessiva burocratizzazione dell’attività amministrativa. Occorre anche intervenire sugli squilibri di un prelievo fiscale che non sempre si limita a prelevare una quota ragionevole di reddito reale ma pretende di tassare anche i redditi ipotetici e figurativi di un patrimonio immobiliare in fase di svalutazione e gravato da costi di gestione e manutenzione non riconosciuti, esasperando così le diseconomie già presenti e scoraggiando auspicabili iniziative di recupero. E’ ben nota la fuga dei giovani sardi dall’isola, nel 2016 si contano circa 3.000 par-tenze e poco meno nel 2017. L’anagrafe dei residenti all’estero (AIRE) attesta che negli ultimi dieci anni la Sardegna ha perso ben 24.000 residenti. Questa tendenza all’emigrazione si riscontra anche nella penisola con un trend di crescita sensibile negli ultimi anni soprattutto in Puglia, Emilia e Liguria. Il fenomeno, contrariamente al passato, quando la partenza alla ricerca di lavoro riguardava particolarmente la manodopera meno qualificata, attualmente riguarda specialmente i giovani con livelli di istruzione elevati. La formazione specialistica non si rivela utile a trovare impiego nelle zone di origine, ma anzi, quanto più è elevata tanto più spinge a spostarsi verso le grandi città della penisola o all’estero alla ricerca di collocazione e remunerazioni adeguate. Si tratta di dinamiche in gran parte inevitabili che determinano una vera è propria emorragia di risorse materiali (le risorse investite nella formazione perse a vantaggio di altre realtà) e intellettuali (la perdita di forze lavorative valide e per giunta spesso con alta preparazione). Nel caso dei giovani con i titoli di studio più elevati esiste un collegamento tra la tendenza all’esodo lavorativo e il fatto che le esigenze di formazione inducono a frequentare sedi di studio prestigiose, orientando verso realtà diverse da quelle di origine. Tutto questo non solo non può essere contrastato, ma anzi potrebbe essere visto per-sino in termini meno negativi se si riuscisse a mantenere vivi i legami tra questi giovani e la terra di origine in modo da agevolare il mantenimento delle relazioni interpersonali e degli interessi, anche economici. Per questi giovani la Sardegna deve restare il buon rifugio, dove poter tornare non solo per pochi giorni, con difficoltà e spese elevate, ma anche per vivere e produrre, per riscoprire il patrimonio di storia, di cultura e di risorse ambientali e paesaggistiche dalle quali ha avuto inizio la loro storia personale. Occorre quindi che i giovani che restano possano contare sul contributo dei giovani che sono partiti e che talvolta si sono ben affermati all’esterno della Sardegna, perché proprio da loro può venire un contributo innovativo di idee e di risorse per una continua rinascita e sviluppo di quella terra che è anche la loro. Il legame tra gli emigrati e la terra di origine è forte e, a volte, supera anche la distanza tra generazioni, bisogna quindi rendere desiderabili e praticabili i percorsi di ritorno. Si potrebbe pensare persino a quanti anziani sono disposti a lasciare l’Italia per stabilirsi in località straniere dove vivere piacevolmente, con costi inferiori e condizioni fiscali di vantaggio. Non solo la Sardegna, ma tante località della penisola potrebbero svolgere un ruolo di accoglienza, almeno per una parte dell’anno, se vi fossero adeguate ed economi-che infrastrutture di collegamento, servizi, assistenza e un regime fiscale appropriato per non mortificare questo tipo di residenza secondaria che potrebbe esercitare una valida azione di contrasto allo spopolamento dando nuove prospettive ai piccoli centri. Agli amministratori pubblici spetta un compito di alta responsabilità in quanto dovranno farsi assistere da tecnici qualificati che operino con un approccio interdisciplinare necessario per valutare le implicazioni di qualsiasi intervento sul territorio, sull’ambiente e sul tessuto sociale. E’ indubbio che la ricerca e l’adozione delle soluzioni ritenute ottimali richiederà comunque dei compromessi che dovranno essere capiti e spiegati non potendosi prescindere dal coinvolgimento e dalla collaborazione di tutta la comunità residente, degli imprenditori, della pubblica amministrazione, del mondo accademico, del mondo del volontariato e di tutti i soggetti che a vario titolo potrebbero agire in sinergia per il conseguimento dell’obiettivo della felicità collettiva. In questo contesto assume particolare rilevanza l’azione formativa ed educativa della scuola che, agendo su un arco temporale esteso a tutta la fase dell’istruzione primaria e secondaria, è particolarmente idonea a veicolare le idee più moderne ed in linea con i valori fondamentali necessari per rapportarsi con successo con il resto del mondo pur senza perdere la propria identità e la ricchezza dei valori ereditati dalla tradizione. |